Il dialogo con un amico su Atti 10, riportato nel post “Ping pong 16. Atti 10: una “variante” del Vangelo per i Gentili” appena inserito, mi ha stimolato a questa revisione generale del problema che è emerso. Il Vangelo scritto è in quattro varianti complementari: Matteo, Marco, Luca e Giovanni; in quello predicato le varianti sono più numerose perché si adattano agli uditori e alle circostanze. Noi, dopo una breve Introduzione, ci concentreremo su sei varianti, che rappresentano sei tappe fondamentali e che sono riferibili a: 1)Giovanni Battista; 2)Il Gesù delle parabole; 3)Pietro; 4)Stefano; 5)Paolo; 6)l’Apocalisse.
Introduzione.
In questo studio riprenderemo alcuni concetti che abbiamo iniziato a precisare nelle “Note al Vangelo di Matteo” e altri sui quali ci siamo soffermati nel libro sugli Atti degli apostoli. Desideriamo seguire lo sviluppo dell’idea di Vangelo che si nota nel Nuovo Testamento, delineandone un quadro complessivo. Nell’impero romano, per favorire la compattezza sociale, colui che prevaleva sugli altri concorrenti si proclamava imperatore, delegittimando con ciò ogni altro aspirante. Nel convocare il primo concilio ecumenico di Nicea, nel 325, Costantino si proponeva di compattare la vasta cristianità che si era andata formando, al’interno della quale si manifestavano contrasti anche forti. Visto che i vescovi non riuscivano a trovare una formulazione dottrinale largamente condivisa, appoggiò e impose quella del vescovo di Roma, suo amico.
Da quel momento in poi, si cercò di rendere legittimo uno solo dei vari modi di intendere il Vangelo. Oggi, su quella scia di Costantino, ci troviamo ancora a discutere su come debba essere formulato “l’unico vero Vangelo”. Nel Nuovo Testamento ne troviamo diverse varianti, che certamente sono unite da un fondamento comune e risultano complementari, ma le differenze restano notevoli. Lo sviluppo è poi paradossale, perché quando il Vangelo arriva alla sua formulazione finale nell’Apocalisse, in realtà è come se tornasse non solo a Giovanni Battista, ma addirittura alla Genesi.
1.Giovanni Battista: il dominio del mondo sta per essere dato ai santi.
Il Vangelo che più si relaziona con l’Antico Testamento è quello di Matteo. Esso si collega in particolar modo a Daniele, che aveva profetizzato il succedersi di quattro imperi mondiali, dopo i quali «i santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre» (7:17-18). Il regno dei santi delineato da Daniele sarà affidato ad un «Figlio d’uomo» associato alle nuvole (7:13-14), con il tutto che si svolgerà nell’arco di settanta settimane (sottinteso di anni), cioè circa 5 secoli.
Quando Giovanni Battista, circa cinque secoli dopo Daniele, invita a purificarsi esteriormente e interiormente perché «il regno dei cieli è vicino» (Mat 3:2), è perciò evidente che annuncia l’imminente arrivo del regno dei santi.
Gesù comincia la sua opera pubblica identificandosi con Giovanni (Mat 3:13), predicando e facendo predicare agli apostoli lo stesso messaggio (Mat 4:17; 10:7). Gesù conferma i riferimenti a Daniele con il definirsi «Figlio dell’uomo» (31 volte in Matteo, a cominciare da 8:20), significativamente associato alle nuvole (Mat 24:30; 26:64).
2.Con le parabole Gesù rinvia il regno al suo ritorno.
Giovanni non solo constata che il regno non si realizza immediatamente, ma che a dominare continuano a essere i re malvagi, che hanno avuto il potere di metterlo in prigione, dove non vede manifestarsi la potenza di Dio per liberarlo. Gesù doveva essere il nuovo Mosè, più potente di ogni autorità, invece continua la sua opera lasciando che Erode continui a maltrattare Giovanni, che vede in ciò una grande contraddizione. Per questo manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?» (Mat 11:3). Nella domanda è implicito che, per Giovanni, Gesù non si stava comportando come l’atteso Messia. Gesù non risponde a Giovanni che presto lo libererà e i santi trionferanno, cominciandosi così a delineare la morte di Giovanni.
Per Matteo, Giovanni non è solo colui che prepara la via a chi sta arrivando dopo di lui, ma camminando davanti, annuncia ciò che succederà a colui che viene dietro. Il fatto che Giovanni si stia avviando alla morte, significa che la stessa sorte toccherà poi a Gesù. A partire dal capitolo 11 Matteo comincia a descrivere una nuova prospettiva, delineata già con le parabole del capitolo 13; Gesù la renderà esplicita in 16:21: «Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molte cose da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti, degli scribi, ed essere ucciso, e risuscitare il terzo giorno».
La parabola delle zizzanie riassume con semplicità e chiarezza la nuova prospettiva (Mat 13:36-43). Il Figlio dell’uomo non realizzerà subito il regno, ma ne getterà il seme, costituito dai discepoli. Il regno crescerà in contrasto con l’opera del Diavolo (la zizzania), con il male e i malvagi che saranno eliminati solo «alla fine dell’età presente», cioè quando Gesù tornerà (cfr. Mat 25:31-34). Israele ha rifiutato il regno, che perciò non può realizzarsi subito, ma Dio porterà comunque a compimento il suo progetto, anche se in tempi e modi diversi.
3.In Atti 2-5 Pietro prospetta una situazione ancora rimediabile.
È per noi evidentemente molto significativo come gli apostoli hanno annunciato il Vangelo dopo l’ascensione di Gesù al cielo. La prima cosa che vogliamo notare è la grande differenza fra il “Vangelo scritto” – intendendo con ciò quelli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni – e il Vangelo predicato dagli apostoli, i quali riassumono e sintetizzano in un solo discorso ciò che Gesù ha insegnato in tre anni.
Gesù aveva annunciato la distruzione di Gerusalemme (Mat 23:37-38), ma per Pietro era come quella di Ninive, che Dio non attuò perché i Niniviti si pentirono, dopo l’avvertimento di Giona. Pietro infatti concede delle attenuanti: «Ora, fratelli, io so che lo faceste per ignoranza, come pure i vostri capi»; ponendo ancora davanti la prospettiva di una «restaurazione di tutte le cose», rassicurando infine che Gesù era stato mandato «per benedirvi» (Atti 3:17-26).
L’uditorio di Pietro a Pentecoste proveniva «da ogni nazione che è sotto il cielo» (Atti 2:5) e i più non si rendono conto che erano stranieri solo di nazionalità, essendo di fede ebraica e circoncisi, in quanto membri delle varie sinagoghe sparse nel mondo. Ciò è evidente perché tremila di loro furono battezzati (2:41) e il primo non circonciso a essere battezzato sarà poi Cornelio (cap. 10).
È probabile che Pietro e gli apostoli parlassero in ebraico, perché venivano percepiti come Galilei (v. 7), ma in ogni caso ci fu il miracolo che a ciascuno arrivò il messaggio nella lingua nativa (2:5-11). Non per caso il Nuovo Testamento è stata scritto dagli apostoli in greco e noi abbiamo le nostre Bibbie in italiano. Nonostante questa chiara strategia di Dio messa in atto fin dall’inizio, si va diffondendo il ritorno all’ebraico, a cominciare con il nome di Gesù (che così diventa uno sconosciuto “Yeshua”). Quando si fa presente questo episodio di Atti 2 e si fa notare che Paolo, nelle sue Lettere, non ha usato i nomi ebraici, non di rado capita di dover ascoltare le “buone ragioni” di chi dichiara di essere guidato da Dio a fare il contrario di quello che Dio ha operato per mezzo degli apostoli, dopo che essi erano stati riempiti di Spirito Santo (Atti 2:4).
4.Stefano chiude la prospettiva di un avvento immediato del regno (Atti 7).
Spesso non si coglie che l’episodio di Stefano, in Atti 6-7, non è un semplice “incidente di percorso”. Stefano era infatti un credente di assoluta eccezionalità, essendo definito «pieno di fede e di Spirito Santo», «pieno di grazia e di potenza» (6:5,8). Dio mostrò di gradirlo al punto che gli illuminò il volto, con i suoi accusatori che «videro il suo viso simile a quello di un angelo» (6:15).
Dio attraverso Stefano operò una svolta, nel senso che pose fine alla sua attesa di un ravvedimento del popolo di Israele. È vero che molti si erano ravveduti, ma il popolo nel suo complesso e nella sua classe dirigente continuava a non riconoscere Gesù come Messia. Pietro era risultato adatto a offrire l’ulteriore disponibilità di Dio, ma per comunicare la necessaria rottura ci voleva uno come Stefano, la cui opera fu sul momento poco capita dagli apostoli stessi. Stefano provocò una persecuzione dei credenti che, con il loro allontanarsi da Gerusalemme, cominciarono ad attuare quell’allargamento della predicazione a tutto il mondo, già indicato da Gesù (Mat 28:19; Atti 1:8). La fuga di Filippo comportò così la diffusione del Vangelo in Samaria (Atti 8:4:14), mentre quella di altri fu l’occasione per la fondazione della prima chiesa composta in prevalenza da Gentili, cioè quella di Antiochia (Atti 11:19:24).
La predicazione di Stefano fu ascoltata attentamente da un giovane che sul momento la odiò, ma poi Dio cambiò quell’odio in un amore di pari forza. Così, mentre maturavano le vicende che avrebbero portato alla costituzione della chiesa di Antiochia, Dio fece maturare anche quel giovane di nome Saul/Paolo, che fu determinante per dare alla chiesa di Antiochia un’inquadratura teologica e per diffondere le chiese di Gentili in tutto l’impero romano (Atti 11:25-25; 13:2; Rom 15:23-24). Ci siamo proiettati in avanti per mostrare gli sviluppi dell’opera di Stefano, ma è anche necessario vedere da vicino qualche tappa intermedia.
5.Il Vangelo ai Gentili: un’estrema semplificazione e una crescita non facile.
a)Dio adatta messaggero e messaggio nella predicazione a Cornelio (Atti 10).
Si dice che in Atti 10 Dio apre il Vangelo ai Gentili, ma è vero solo in parte; questo scritto è nato proprio dal rendermi conto della necessità di una migliore inquadratura dell’episodio. I Gentili avevano accesso al Dio di Israele anche prima, perciò Atti 10 rappresenta una facilitazione, divenuta opportuna solo in quel momento. Gli apostoli non potevano attuarla prima, perché è frutto di un cambiamento dei messaggeri e del messaggio, che solo Dio poteva concepire e autorizzare. Le questioni in gioco sono dunque molte e complesse, ma vogliamo essere sintetici, rimandando per una migliore comprensione ai miei libri precedentemente pubblicati, ai quali comunque questi schemi aggiungono qualche utile chiarezza.
Il regno di Dio era stato promesso a Israele, per entrarci era perciò necessario entrare a far parte di Israele. Cosa che non solo era stata sempre possibile, ma già facilitata dopo la distruzione del primo Tempio, con la dispersione di Israele e la conseguente fondazione di sinagoghe nel mondo allora conosciuto. L’efficacia di questa “prima ondata” di Gentili è testimoniata dalla folla di «ogni nazione» presente a Gerusalemme per la Pentecoste (Atti 2:5).
Abbiamo visto che, con Stefano, Dio prende atto che Israele ha rifiutato anche l’ultima opportunità di ravvedimento offertale, diventava perciò inutile invitare Cornelio a entrare in un popolo in via di disfacimento. Un atteggiamento che Gesù aveva già messo in pratica con la Samaritana la quale, insieme all’aver riconosciuto che «la salvezza vien dai Giudei», riconosceva che era il Tempio di Gerusalemme quello voluto da Dio, non quello dei Samaritani. Gerusalemme sarebbe stata presto distrutta, perciò Gesù la esenta dall’obbligo di recarcisi, anticipando quanto si andava già profilando (Giov 4:21-24).
Chi porta il messaggio di Dio non deve porsi più in alto del destinatario e Gesù stesso aveva predicato “da giudeo a giudeo”, una regola che Paolo esprimerà con il farsi «ogni cosa a tutti» (1Cor 9:22). Per mandare Pietro a predicare ai Gentili bisognava perciò chiedergli di farsi gentile, mettendo da parte non solo le tradizioni giudaiche, ma anche la legge di Mosè sui cibi consentiti. Pietro cercò di opporsi: «No assolutamente, Signore, perché io non ho mai mangiato nulla di impuro e di contaminato». Ma Dio replicò: «Le cose che Dio ha purificate, non farle tu impure» (Atti 10:9-16). Così Pietro si dispose ad andare all’incontro con il centurione romano Cornelio e con i suoi amici.
Cominciò un discorso su Gesù che voleva essere esauriente e arrivò presto a dire che «chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati mediante il suo nome». Con sua grande sorpresa, Pietro constatò un’immediata discesa dello Spirito Santo su tutti gli ascoltatori; così fu costretto a interrompere un discorso che poi definisce appena iniziato (11:15). Pietro fu accusato dagli altri credenti di essersi comportato contro le regole e riuscì a giustificarsi solo perché c’era stata una chiara manifestazione della volontà di Dio (Atti 11:1-17).
Si andò così a definire un “Vangelo per i Gentili” ridotto ai minimi termini, nel quale c’è un riassunto della vita di Gesù senza nemmeno nominare Abramo, Mosè, Davide e i profeti. Un Gesù, insomma, le cui radici ebraiche passano in secondo piano.
b)Chiesa di Antiochia: una piena condivisione fra circoncisi e incirconcisi (Atti 13).
Pietro non proseguì in un’evangelizzazione dei Gentili che Dio l’aveva costretto a fare, ma che non aveva ben compreso. La notizia però si diffuse e ci furono «alcuni» anonimi che applicarono l’evangelizzazione dei Gentili come metodo. Questi anonimi erano stati dispersi dalla persecuzione causata da Stefano ed erano arrivati fino Antiochia, dove «si misero a parlare anche ai Greci»; «la mano del Signore era con loro; e grande fu il numero di coloro che credettero» (Atti 11:19-21). Per farla breve, ad Antiochia si formò la prima “chiesa di non circoncisi”, dove i Dodici inviarono prima Barnaba, il quale invitò poi Paolo a collaborare. Quella chiesa di non circoncisi fu istruita nella fede dai circoncisi Barnaba e Paolo. L’unità di fede non impedì che chi era di nazionalità ebraica rimasse tale, mentre chi era di nazionalità greca non fu spinto a diventare ebreo.
c)In Atti 15 viene formalizzata la distinzione e la comunione fra Ebrei e Gentili.
Su Atti 15 ci sono molti equivoci, ma dobbiamo limitarci allo stretto necessario. Alcuni credenti, provenienti dalla Giudea, dicevano ai Gentili che si erano battezzati: «Se voi non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete essere salvati» (v. 1). La chiesa di Antiochia ne fu disturbata e allora una delegazione – composta da Barnaba, Paolo e altri – andò nella chiesa di riferimento dei disturbatori, cioè a Gerusalemme, per cercare di risolvere il problema alla fonte. All’incontro erano presenti anche Pietro e Giacomo, fratello di Gesù.
Dopo ampia discussione, venne sostanzialmente deciso di ratificare la prassi consolidatasi, cioè di non imporre ai credenti Gentili l’osservanza della legge di Mosè con la collegata circoncisione, che riguardava solo Israele e che, pur non essendo necessaria per la salvezza, restava obbligatoria per coloro che volevano appartenere alla nazione di Israele.
Alla fine dell’incontro fu così scritto ai battezzati Gentili: «È parso bene allo Spirito Santo e a noi di non imporvi altro peso all’infuori di queste cose, che sono necessarie: di astenervi dalle carni sacrificate agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla fornicazione» (vv. 28-29).
Nell’autorizzare Noè a cibarsi di carne, Dio aveva posto un limite: «Non mangerete carne con la sua vita, cioè con il suo sangue» (Gen 9:4). Ciò comportava il dovere di uccidere gli animali per sgozzamento. Fatta questa premessa, la proibizione di mangiare animali soffocati è assimilabile a quella di non mangiare sangue. Anche le altre due proibizioni possono essere ricondotte ai primi capitoli della Genesi. L’astenersi «dalle carni sacrificate agli idoli» aveva il significato di non avallare l’idolatria (1Cor 8:4-13), che è in chiaro contrasto con l’inizio della Genesi. Dato che Dio ha creato i cieli e la Terra, il “Dio-Sole” e tutti gli idoli (facendo parte del creato) non possono essere oggetto di adorazione. Anche per la fornicazione c’è un divieto implicito all’inizio della Genesi, dove la sessualità è vista come interna ad un rapporto monogamico (Gen 1:28; 2:24).
Le proibizioni ai Gentili sono presenti nella legge di Mosè (cfr. Lev 17:12; Lev 20:10; Eso 20:3-6), ma in Atti 15 non sono imposte su questa base. Infatti la Parola di Dio da Mosè in poi è rivolta specificamente a Israele, quella prima di Abramo è rivolta a tutta l’umanità e viene di solito ricollegata con Noè, l’ultimo progenitore comune dell’umanità. La fede da Noè a prima di Abramo può essere definita “noetismo” e così gli apostoli decisero di imporre ai Gentili il rispetto della LORO legge “noetica”.
Imponendo norme che si possono ricollegare a Noè, gli apostoli non hanno cercato un “compromesso” di tipo politico fra le esigenze degli Ebrei e quelle dei Gentili, ma hanno solo applicato una corretta comprensione dell’Antico Testamento.
d)Paolo e il carceriere di Filippi, simile a Pietro con Cornelio (Atti 16).
Alcuni pensano che ci sia un “Vangelo di Paolo” che va oltre i “limiti ebraici” non solo di Pietro, ma anche di Gesù. Il libro degli Atti sconfessa quest’idea. Per esempio, facendo vedere che è stato Pietro a battezzare il primo gentile non circonciso (Atti 10). La cruciale decisione descritta in Atti 15 fu presa con il consenso di tutti e Paolo, anche se presente, non sembra avere avuto un ruolo da protagonista, come Pietro e ancor più Giacomo, ritenuto spesso come il più conservatore.
Per brevità, facciamo solo notare che Paolo operò in un contesto diverso, cioè fra i Gentili, ma i suoi schemi erano come quelli praticati da Pietro. Quando infatti Paolo predicò agli Ebrei di Antiochia di Pisidia (Atti 13:14-41), fece un discorso pieno di riferimenti all’Antico Testamento, simile a quello che Pietro rivolse agli Ebrei che stavano a Gerusalemme (Atti 2). Mentre l’essenzialità che Dio insegnò a Pietro quando evangelizzò Cornelio (Atti 10), è quella che Paolo applicherà poi con il carceriere di Filippi, in un episodio molto significativo.
Il carceriere di Filippi (Atti 16:25-34), pur non sapendo niente di ebraismo e di Gesù, vedendo non solo il miracolo delle carceri che si aprirono e delle catene che si spezzarono, ma un comportamento di Paolo straordinario, pose quella che viene definita come “la domanda delle domande”: «Che devo fare per essere salvato?». Paolo formulò “la risposta delle risposte”: «Credi nel Signore Gesù e sarai salvato». Certo, Paolo aggiunse anche qualcos’altro, ma il carceriere fu «subito battezzato» e certamente sapeva poco o niente di Abramo, Mosè, Davide e i profeti.
Cornelio e il carceriere di Filippi cominciarono il cammino con Gesù avendone una conoscenza minima, ma con la presenza in loro dello Spirito Santo. Le Lettere di Paolo del Nuovo Testamento, ma anche l’importante prima Lettera di Pietro, indicano il percorso di crescita al quale sono chiamati i Gentili e, in esse, vediamo che l’Antico Testamento non è certo ignorato. C’è però da tener conto del fatto che una “dimensione individuale della legge di Mosè” era già stata realizzata. Davide, con i Salmi, aveva espresso soprattutto il rapportarsi a Dio del singolo; Salomone, con i Proverbi, ne aveva invece sviluppato la dimensione pratica. Così il Nuovo Testamento attinge all’Antico spesso attraverso i Salmi e i Proverbi, nei quali la legge di Mosè è presente in un modo che a molti sfugge.
Gesù si presenta come “Figlio di Davide” e perciò anche di Salomone: non c’è perciò niente di strano che Gesù prosegua un’opera già avviata dai suoi antenati.
6.L’Apocalisse finisce con la piena realizzazione del regno di Dio.
Il comportamento umano può modificare il modo di realizzarsi del disegno di Dio, ma lui è comunque in grado di portare a compimento i suoi progetti. Il regno di Dio profetizzato da Daniele e predicato all’inizio del Vangelo, non era altro che il progetto iniziale, quando Dio stava su una Terra senza peccato insieme ad Adamo. L’Apocalisse ci rassicura che questo progetto alla fine si realizzerà (21:1-4) e ci sarà finalmente l’accesso all’albero della vita (22:2,14; cfr. Gen 2:9; 3:24). Giovanni aveva annunciato un’eliminazione del male e dei malvagi che poi non ci fu, ma quella promessa di Dio alla fine si compirà: «Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna» (Apo 22:15). Saranno così finalmente accontentati quelli che invocano: «Vieni, Signore Gesù!» (Apo 22:20), e «saremo sempre con il Signore» (1Tes 4:17).