DIALOGHI SULLA LETTERA AI ROMANI. Una teologia di Paolo interna all’Antico Testamento
DIALOGO 26 BOZZA 1
di Fernando De Angelis (Scarica il file QUI)
LA SOTTOMISSIONE ALLE AUTORITÀ (13:1-7)
1.Fondata sull’Antico Testamento.
La Bibbia comincia con il definire Dio come il Creatore di tutto e perciò Signore di tutto. Poi Adamo ed Eva lasciarono spazio al Diavolo, con molti che li hanno poi seguiti. Dio ha sopportato questa presenza contrastante non per debolezza, ma sperando nel ravvedimento e perché è lento all’ira. Dimostrando comunque di restare in completo dominio quando la sua pazienza finisce. Come nel caso del Diluvio e del giudizio su Sodoma.
Per farla breve, accenniamo a due vicende parallele, quella di Giuseppe e quella di Daniele, che dimostrano come Dio usi anche gli imperi pagani per portare avanti i suoi piani. Nel capitolo 7 del libro di Daniele, per di più, Dio annuncia che anche i tre successivi imperi saranno usati da Dio per far maturare il regno del Messia/Figlio dell’uomo, cioè l’impero universale ed eterno dei credenti. Che le autorità politiche di questo mondo siano in qualche modo «ordinate da Dio», perciò, Paolo lo ha ricavato come al solito dall’Antico Testamento.
Con un parallelismo implicito: come gli imperi dei Gentili hanno preparato la prima venuta del Messia, così quello romano e i successivi prepareranno la seconda venuta del Messia Gesù. Oggi, dopo 2000 anni, è evidente che il cristianesimo si è diffuso soprattutto attraverso l’impero romano e i suoi eredi, con alla fine gli imperi puritani anglofoni (inglese e americano) che hanno promosso la diffusione della Bibbia in tutto il mondo.
2. Ribadita da Gesù e confermata anche da Pietro.
Sul piano politico, Gesù ha operato rispettando l’autorità romana ed è a tutti nota la sua sintesi: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Matteo 22:21). Gesù si è sottomesso a Roma sul piano civile fino ad accettare di essere crocifisso.
Significativo il passo di 1Pietro 2:13-17, dal quale si deduce che le affermazioni di Paolo in Romani 13 erano largamente condivise dalla Chiesa: «Siate sottomessi, per amore del Signore, a ogni autorità creata dagli uomini: al re, come al sovrano; ai governatori, come mandati da lui per punire i malfattori e per dare lode a quelli che fanno il bene. Poiché questa è la volontà di Dio: che, facendo il bene, turiate la bocca all’ignoranza degli uomini stolti, come uomini liberi, che non usano la propria libertà come un velo per coprire la malignità, ma come servi di Dio. Onorate tutti. Amate la fratellanza. Temete Dio. Rendete onore al re». La storia della Chiesa dei tre secoli successivi agli apostoli fa vedere che i primi cristiani hanno osservato alla lettera la sottomissione alle autorità, sopportando le persecuzioni peggiori senza mai organizzare rivolte.
3. Un testo chiaro, ma spesso capovolto (13:1-7).
«Ogni persona sia sottoposta alle autorità superiori, perché non c’è autorità se non da Dio e le autorità che esistono sono istituite da Dio. Perciò chi resiste all’autorità si oppone all’ordine di Dio e quelli che vi si oppongono si attireranno addosso una condanna, poiché i magistrati non sono da temere per le opere buone, ma per le cattive. Vuoi non aver paura dell’autorità? Fa’ il bene e riceverai lode da essa, perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene, ma, se fai il male, temi, perché egli non porta la spada invano, infatti egli è un ministro di Dio, per infliggere una giusta punizione contro colui che fa il male. Perciò è necessario stare sottomessi non soltanto a causa della punizione, ma anche per motivo di coscienza. Poiché è anche per questa ragione che voi pagate le imposte, perché si tratta di ministri di Dio, i quali attendono continuamente a questo ufficio. Rendete a tutti quel che dovete loro: l’imposta a chi è dovuta l’imposta, la tassa a chi la tassa, il timore a chi il timore, l’onore a chi l’onore» (Romani 13:1-7).
Sulla storia dell’impero romano e su quella della Chiesa un italiano ha di solito idee molto inesatte e non possiamo certamente affrontare l’argomento in dettaglio. Concentrandoci invece su una storia “oggettiva”, quella dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli.
Non è per caso che Gesù è nato nel più grande impero mai esistito, che praticava la libertà religiosa (solo in seguito compromessa, ma non annullata, dal culto all’imperatore), con una lingua greca compresa da tutti. Insomma, Gesù ha trovato le circostanze migliori per diffondere il suo messaggio ed anche questo è un segno della signoria di Dio sul mondo.
Gesù è nato durante il lungo impero di Augusto (dal 27 a.C. al 17 d.C.), che stabilizzò il superamento della repubblica, dando all’impero un’impostazione che risulterà efficace per alcuni secoli.
Significativo che, per completare la fondazione della Chiesa, Gesù abbia scelto un cittadino romano di cultura greca, Paolo (Atti 17:16-34; 22:28). Rilevante che, di fronte all’ingiustizia di un popolo di Dio corrotto, Paolo si sia appellato alla giustizia romana e al tribunale dell’imperatore (Atti 25:11).
Il martirio di Paolo a Roma può apparire come un fallimento di quella strategia, ma la testimonianza data da Paolo durante il processo e il suo esempio sono stati decisivi nel radicare il Vangelo nel cuore dell’impero. Paolo, infatti, si sentì tutt’altro che sconfitto: «Ora, fratelli, voglio che sappiate che quanto mi è accaduto ha piuttosto contribuito al progresso dell’evangelo, tanto che a tutta la guardia pretoriana e a tutti gli altri è divenuto noto che io sono in catene per il Messia e la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dai miei legami, hanno avuto più ardire nell’annunciare senza paura la Parola di Dio. Vero è che alcuni predicano il Messia anche per invidia e per rivalità, ma ce ne sono anche altri che lo predicano di buon animo. Questi lo fanno per amore, sapendo che sono incaricato della difesa del vangelo, ma quelli annunciano il Messia con spirito di parte, non sinceramente, credendo di suscitarmi afflizione nelle mie catene. Che importa? Comunque sia, o per pretesto o in sincerità, il Messia è annunciato; di questo mi rallegro e mi rallegrerò ancora» (Filippesi 1:12-18).
Abbiamo detto (paragrafo 1) che l’impero romano ed i suoi eredi sono stati efficaci strumenti per diffondere in qualche modo il Vangelo. C’è anche una controprova della validità dell’atteggiamento di collaborazione verso l’impero romano. È data da quella maggioranza di Giudei che rifiutarono di riconoscere il Messia in Gesù, facendosi poi guidare da falsi Messia che promossero ripetute ribellioni contro Roma. Con l’ultimo dei quali, Bar Kokheba, che costringerà Roma a distruggere Gerusalemme e il Tempio, disperdendo i Giudei fuori dalla Terra Promessa (70 d.C.).
Quando Paolo scriveva ai Romani sulle «autorità che esistono», si riferiva inevitabilmente a quelle romane. Certo, l’obbedienza alle autorità non può essere totale, ma limitata alle questioni civili, rifiutandosi di obbedire quando Dio ci ordina il contrario, come fecero Pietro e Giovanni (Atti 5:26-29).
Succede però che, nonostante la chiarezza del testo, negli italiani prevalga la diffusa cultura di disprezzo per le autorità politiche. Così i commenti a Romani 13:1-7, dopo aver preso atto di quello che Paolo scrive, finiscono spesso per capovolgerne il senso. Con la conclusione che dobbiamo obbedire alle autorità solo quando siamo d’accordo!
In conclusione, quando Gesù è stato crocifisso, Gerusalemme era pervasa da tre mondi: quello religioso ebraico, quello culturale greco e quello politico romano. Per questo l’iscrizione sopra la croce, sul motivo della condanna, era in ebraico, in latino e in greco (Giovanni 19:20). In Paolo troviamo una presenza senza contrasti di questi tre mondi e il cristianesimo sarà una religione ebraica, espressa in lingua greca e radicatasi nell’impero romano. L’essere sottoposti alle autorità è uno di quei tre elementi che dovremmo anche noi vivere come Paolo, cioè in modo non contraddittorio.