DIALOGHI SULLA LETTERA AI ROMANI. Una teologia di Paolo interna all’Antico Testamento

DIALOGO 22- BOZZA 1 (17/1/25)

di Fernando De Angelis (Scarica QUI il file dei Dialoghi 18-22)

SOSTITUITI ALCUNI RAMI, CONSERVANDO ISRAELE (11:7-36)

1. Una degenerazione simile si era già verificata ed era stata superata (11:7-10).

«Quello che Israele cerca, non lo ha ottenuto, mentre il residuo eletto lo ha ottenuto e gli altri sono stati induriti, com’è scritto: “Dio ha dato loro uno spirito di stordimento, degli occhi per non vedere e degli orecchi per non udire, fino a questo giorno”. E Davide dice: “La loro mensa sia per loro un laccio, una rete, un inciampo, e una retribuzione. Siano gli occhi loro oscurati perché non vedano, e piega la loro schiena per sempre”» (11:7-10).

Ci sarebbe da dilungarsi sul perché la maggior parte dei lettori di oggi non comprenda bene queste considerazioni di Paolo e quali basi di partenza occorrerebbero. Ci siamo però proposti di essere sintetici e allora andiamo subito all’equivoco più grande nel quale si cade.

Le citazioni di Isaia e Davide che Paolo fa, NON sono profezie che attendevano di verificarsi nel tempo apostolico, ma descrivono una situazione presente al tempo di Isaia e di Davide, cioè risalente a prima della distruzione del PRIMO Tempio.

Paolo perciò dice che sta succedendo ciò che era già successo diversi secoli prima. APPLICA così la distruzione del PRIMO Tempio a quella del SECONDO Tempio, ritenuta imminente dai credenti dopo il discorso profetico di Gesù (Matteo 24).

Il popolo di Israele si era già degenerato al massimo sei secoli prima, costringendo Dio a far distruggere il PRIMO Tempio. Gli effetti POSITIVI di quella distruzione sono di solito ignorati, mentre Paolo sembra averli ben presenti, dato che nei versetti successivi li applica al suo tempo, come ora vediamo.

2. Il parallelismo fra la distruzione del primo e del secondo Tempio (1:11-15).

«Dico dunque: sono forse inciampati perché cadessero? Assolutamente no!» (11:11 a).

La grande degenerazione che precedette la distruzione del primo Tempio, non comportò l’interruzione del rapporto di Dio con il suo popolo, così per Paolo è evidente che nemmeno la degenerazione di Israele connessa al rifiuto del Messia Gesù interromperà i rapporti fra Dio e il suo popolo.

«Ma per la loro caduta la salvezza è giunta ai Gentili per provocare la loro gelosia. Ora, se la loro caduta è una ricchezza del mondo e la loro diminuzione è una ricchezza per i Gentili, quanto più lo sarà la loro pienezza! Ma io parlo a voi, o Gentili, perché io sono apostolo dei Gentili, onoro il mio ministerio, nella speranza di provocare a gelosia quelli del mio sangue e di salvarne alcuni» (11:11b-14).

L’argomento della gelosia rafforza il fatto che la maggiore apertura verso i Gentili non ha lo scopo di metterli al posto di Israele, ma quello di un suo recuperare. Bisogna comunque tener conto che anche qui, come in 9:30-31, Paolo sta usando un linguaggio in bianco e nero, che perciò non va preso alla lettera. Per esempio, non è che TUTTO Israele ha ripudiato il Messia Gesù, ma solo la maggioranza; come pure non tutti i Gentili hanno reagito allo stesso modo.

La distruzione del primo Tempio ad opera dell’impero babilonese si accompagnò ad una dispersione degli Israeliti e avrebbe potuto distruggere quel popolo. Invece Dio agì sull’imperatore Nabucodonosor, che riconobbe la sovranità del Dio di Israele e offrì protezione a quel popolo (Daniele 3:28-30; 4:34-37). Parallelamente, Geremia invitò a integrarsi nelle varie città di rifugio (Geremia 29:4-7). Nacque così qualcosa di nuovo, cioè le sinagoghe, dove si conservava la Parola di Dio, ci si edificava spiritualmente e si viveva la fraternità. Erano aperte ai Gentili, che potevano iniziare a frequentarle come uditori, fino a farsi circoncidere e così divenire parte del popolo di Israele.

Evidente il parallelismo con il tempo di Paolo. Nelle due predicazioni all’inizio degli Atti, Pietro offrì agli Ebrei il perdono di Dio e Gerusalemme sembrò sul punto di accettare Gesù come Messia (Atti 2:38-41; 3:17-26; 5:12-16; 5:26). È dopo l’uccisione di Stefano che quella speranza svanì e che perciò Dio cominciò a preparare una nuova strategia. È infatti come conseguenza della persecuzione connessa con il martirio di Stefano che Filippo evangelizzò la Samaria (Atti 8:1-6) e che si formò la prima chiesa fatta in prevalenza da non circoncisi, cioè quella di Antiochia (Atti 11:19-21). Una chiesa che Dio aveva fatto precedentemente legittimare da un inconsapevole Pietro, quando le circostanze lo costrinsero a battezzare l’incirconciso Cornelio (Atti 10:29,47).

Nell’incontro riportato in Atti 15 tutto ciò fu formalizzato e così sempre più Gentili continuarono ad essere battezzati, entrando nel popolo di Dio senza l’obbligo di dover osservare la legge di Mosè (Atti 15:22-31). Come la distruzione del primo Tempio aveva facilitato il costituirsi di sinagoghe in ogni città, così la nuova degenerazione di Israele, che porterà alla distruzione del secondo Tempio, faciliterà il moltiplicarsi di una nuova modalità di culto, quella delle “sinagoghe cristiane”: “sinagoga” e “chiesa”, infatti, hanno lo stesso significato di “assemblea” e il culto cristiano dei primi secoli era un adattamento di quello sinagogale.

Nel versetto 14, Paolo definisce gli Ebrei come «quelli del mio sangue», in 9:3 aveva usato l’espressione «parenti secondo la carne», che è simile, ma poi aveva proseguito delineando piuttosto una religione, dato che parla anche di «patti, legislazione e culto» (9:4). Mentre in Atti 28:19 li indica come «la mia nazione». Considerando i credenti in Gesù, Ebrei o Gentili che fossero, come quelli della sua fede. L’essere Ebreo, insomma, comportava una varietà di aspetti, della quale spesso non si tiene conto. Anche prima di Gesù, per esempio, c’erano non Ebrei che adoravano il Dio degli Ebrei, realizzando una unità di Spirito con loro. Citiamo solo la regina di Seba e Naaman (1Re 10; 2Re 5), con il fatto che anche i non circoncisi potevano offrire sacrifici nel Tempio, con le stesse regole di un circonciso (Numeri 15:14-16).

Infatti, se il loro ripudio è stato la riconciliazione del mondo, che sarà la loro riammissione, se non un rivivere dai morti?» (11:15).

Qualcuno ha l’impressione che Paolo usi il modello dell’altalena: se uno va giù, l’altro va su e viceversa. Invece i profeti insegnano piuttosto il parallelismo: quando Dio esercita la misericordia o la severità verso Israele, opera in modo simile anche verso gli altri popoli.

Dio sa trarre il bene anche dal male, ma ancor più sa trarre il bene dal bene. La disubbidienza della maggior parte di Israele ha costretto Dio a punirlo, ma anche ad essere meno esigente verso gli Ebrei ubbidienti e i pentiti. Questa maggior tolleranza è poi stata applicata anche ai Gentili, esonerandoli dalla legge di Mosè. Quando allora Dio abbonderà di benedizioni verso un Israele che si ravvedrà nel suo insieme, ci sarà una grande benedizione anche per i Gentili. Che pure loro si avvieranno su un percorso di degenerazione che li porterà verso la morte spirituale, ricevendo nuova vita proprio da un Israele rigenerato.

3. Israele è come un albero potato e innestato, ma MAI sostituito (11:16-24).

Se la primizia è santa, anche la massa è santa e se la radice è santa, anche i rami sono santi. Sebbene alcuni rami sono stati troncati e tu, che sei olivo selvatico, sei stato innestato al posto loro e sei divenuto partecipe della radice e della grassezza dell’ulivo, non ti insuperbire contro i rami, ma, se ti insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te. Allora tu dirai: “Sono stati troncati dei rami perché io fossi innestato”. Bene: sono stati troncati per la loro incredulità e tu sussisti per la fede; non ti insuperbire, ma temi. Perché, se Dio non ha risparmiato i rami naturali, non risparmierà neppure te. Considera dunque la bontà e la severità di Dio: severità verso quelli che sono caduti, ma verso te la bontà di Dio, se perseveri nella sua bontà, altrimenti anche tu sarai reciso. E anche quelli, se non perseverano nella loro incredulità, saranno innestati, perché Dio è potente da innestarli di nuovo. Poiché, se tu sei stato tagliato dall’ulivo per sua natura selvatico e sei stato contro natura innestato nell’ulivo domestico, quanto più essi, che sono dei rami naturali, saranno innestati nel loro proprio ulivo» (11:16-24).

Con Abramo, Dio ha piantato un seme che si sarebbe SEMPRE sviluppato (Genesi 12:2-3; 13:15), la pianta che ne è nata ha avuto bisogno in seguito di essere potata, ma poi quel residuo ha ripreso a svilupparsi. A partire da Atti 10, con il centurione romano Cornelio, NON PRIMA, oltre ad una energica potatura, Dio ha operato anche l’innesto di un nuovo tipo di rami, che pure si sviluppano. Il popolo di Dio al tempo di Paolo era fatto da questo albero, con radici abramitiche e DUE tipi di rami, dato che c’erano chiese in Giudea nelle quali prevalevano i circoncisi e che rimanevano in ambito ebraico, mentre nelle chiese fuori dalla Giudea erano di solito i non circoncisi ad essere predominanti. Questo riassunto ci sembra incontestabile, ma i teologi riescono a capovolgere anche l’incontestabile e ad ignorare tutto ciò che non rientra nei loro presupposti.

I presupposti apostolici si sono grossomodo mantenuti fino a circa il 200, poi ha preso campo il platonismo (Origene), poi c’è stato Costantino e l’ancor più decisivo Teodosio, con la trasformazione del cristianesimo in religione obbligatoria dell’impero (380). Poi si è sviluppato il cattolicesimo romano medioevale e via dicendo, con trasformazioni che hanno sempre trovato teologi pronti a giustificare i cambiamenti con la Parola di Dio.

La Bibbia, però, Dio ha avuto cura di farcela pervenire in un modo sostanzialmente inalterato e allora, leggendola correttamente e onestamente, possiamo vedere dove è stata stravolta o ignorata. Correttamente significa anche cercare di comprenderla per come Dio l’ha rivelata, cioè partendo dalla Genesi, non cominciando dalla fine. Ed è quello che ad un certo punto abbiamo fatto, avviando questa serie di libri con il “Riassunto dell’Antico Testamento”. Ora siamo al volume numero 8 e non possiamo certo riassumere i precedenti. Perciò ci concentreremo solo sull’aspetto più rilevante.

Lo stravolgimento di questo brano di Paolo è stato fatto con la cosiddetta “teologia della sostituzione”, con la quale si afferma che il nuovo popolo della Chiesa sostituisce Israele PER SEMPRE. Si va però diffondendo, specie dopo il ricostituirsi della Stato di Israele, chi contrasta questa teologia della sostituzione, ma lo si fa quasi sempre con qualcosa che gli somiglia, perché afferma che la Chiesa sostituisce Israele solo per un tempo, riconoscendo che ALLA FINE Dio ristabilirà Israele. È come se Dio avesse messo l’albero in congelatore per almeno 2000 anni, per poi farlo riemergere alla fine. Insomma, un altro modo per stravolgere ugualmente Romani 11.

Certo non è facile comprendere l’Antico Testamento, l’opera di Giovanni Battista, il Vangelo di Matteo, gli sviluppi raccontati dagli Atti degli apostoli e il vero senso della Lettera agli Ebrei, ma chi non fa questo percorso finisce di solito per adeguare le sue convinzioni sulla Chiesa a quelle del gruppo al quale appartiene.

4. Una chiusura a cerchi concentrici in 4 tappe (11:25-36).

Paolo, come al solito e come spesso nella Bibbia, riassume alla fine il senso delle sue argomentazioni, facilitandone con ciò la comprensione.

CHIUSURA DEL CAPITOLO 11 (11:25-27). «Non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi, che cioè un indurimento parziale si è prodotto in Israele, finché sia entrata la pienezza dei Gentili e tutto Israele sarà salvato, così come è scritto: “Il liberatore verrà da Sion; Egli allontanerà da Giacobbe l’empietà; e questo sarà il mio patto con loro, quando io toglierò via i loro peccati”» (11:25-27).

Nel significato originario, “mistero” non è qualcosa che rimane incomprensibile, ma che non si poteva conoscere razionalmente e che, dopo rivelato, non è più un mistero.

L’indurimento di Israele è definito «parziale», il che non significa “per un certo tempo”, ma abbiamo visto che si riferisce a quella parte maggioritaria che ha rifiutato Gesù.

Mentre per «pienezza dei Gentili» è da ritenersi la “piena evangelizzazione” dei Gentili. Ciò è evidente se si considera la risposta di Gesù ai discepoli, che gli chiedevano i segni della fine dell’età presente: «Questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine» (Matteo 24:3,14).

Da notare che la predicazione del Vangelo a tutte le genti realizza la promessa fatta ad Abramo di essere una benedizione per tutte le famiglie della Terra (Genesi 12:3). Diviene così chiaro il collegamento fra la radice dell’ulivo e i rami di Gentili innestati.

Si discute sul significato di «tutto Israele», ma Paolo lo collega ad un testo di Isaia e perciò è in Isaia e nei profeti che dobbiamo cercarne il senso, oltre che su quanto fin qui espresso da Paolo. Al tempo degli apostoli si convertirono molti Ebrei, ma individualmente, come singoli, mentre le istituzioni (sinedrio, sommo sacerdote) e la maggioranza si rifiutarono di vedere in Gesù il Messia promesso. Considereremo meglio Isaia subito sotto, anticipando che per “tutto Israele” si intende Israele nel suo insieme, cioè nelle sue istituzioni, che alla fine riguarderanno «a colui ch’essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figliuolo unico» (Zaccaria 12:10), dicendo finalmente ciò che Gesù sta aspettando, cioè «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!» (Matteo 23:39).

La citazione che fa è riassuntiva, nel senso che coinvolge concetti espressi nei profeti in più punti. Il passo di Isaia più direttamente citato è 59:20: «Un redentore verrà per Sion e per quelli di Giacobbe che si convertiranno dalla loro rivolta». Un significato esplicito di “tutti” lo esprime poco più avanti, in 60:18-21: «Non si udrà più parlare di violenza nel tuo paese, di devastazione e di rovina nei tuoi confini; ma chiamerai le tue mura: “Salvezza”, e le tue porte: “Lode” […] Javè sarà la tua luce perenne e i giorni del tuo lutto saranno finiti. Il tuo popolo sarà tutto quanto un popolo di giusti; essi possederanno il paese per sempre: essi, che sono il germoglio da me piantato, l’opera delle mie mani, per manifestare la mia gloria» (Isaia 60:18:22). Il «tutti» è evidentemente riferito a tutti quelli che rientreranno dalla dispersione. Al “tutti” Isaia accenna anche in 54:13 e 45:25.

Isaia parla molto anche del “residuo” (per esempio 10:21 e 11:1-10). Significativo 6:13: «Come al terebinto e alla quercia, quando sono abbattuti, rimane il ceppo, così rimarrà al popolo, come ceppo, una discendenza santa». Ci si può ricavare un collegamento fra “residuo” e “tutti”, dato che il “residuo” sarà “santo”. Un collegamento che è espresso in modo inequivocabile in Ezechiele 20:34-41: «Vi condurrò fuori tra i popoli e vi raccoglierò dai paesi dove sarete stati dispersi, con mano forte, con braccio steso e con furore scatenato […] separerò da voi i ribelli e quelli che mi sono infedeli; io li condurrò fuori dal paese dove sono stranieri, ma non entreranno nel paese d’Israele, e voi conoscerete che io sono Javè […] tutti quelli della casa d’Israele, tutti quanti saranno nel paese, mi serviranno […] mi compiacerò di voi come di un profumo di odore soave, quando vi avrò condotti fuori tra i popoli e vi avrò radunati dai paesi dove sarete stati dispersi; io sarò santificato in voi in presenza delle nazioni».

Si conferma, perciò, che il “tutti” riguarda il popolo nelle sue istituzioni, composto da un residuo che sarà ricondotto nella Terra promessa e che sarà completamente santificato.

CHIUSURA DEI CAPITOLI 9-11 SU ISRAELE (11:28-29). «Per quanto concerne l’evangelo, essi sono nemici per causa vostra, ma quanto all’elezione sono amati per via dei loro padri, perché i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento (11:28-29)».

La sintesi è che il rifiuto del Messia Gesù da parte della maggioranza ha prodotto un conflitto con Dio delle istituzioni comunitarie del popolo di Israele. Questo però non riguarda il rapporto speciale che Dio ha con quel popolo, perché quel rapporto è dovuto al patto e alle promesse fatte ai loro padri. Promesse che Dio porterà, prima o poi e in qualche modo, a completo compimento, per coerenza con se stesso e per grazia, cioè al di là dei peccati di Israele.

Una illustrazione può essere data dalla vicenda di Giuseppe e dei suoi fratelli (Genesi capitoli 37-45). Giuseppe era in sintonia con Dio e i suoi fratelli no, ma erano quei malvagi fratelli a conservare la discendenza di Abramo perché, senza di essi, Giuseppe non mostrava già più le caratteristiche della sua famiglia e i figli sarebbero stati completamente egiziani, visto che la moglie era un’egiziana (Genesi 41:50-52). Dio non ripudiò quei fratelli deviati, ma li rimise sulla retta via proprio per opera di Giuseppe (Genesi 46:1-7).

CHIUSURA DEI CAPITOLI 1-11, CIOÈ DELLA PARTE DOTTRINALE (11:30-32). «Come in passato voi siete stati disubbidienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia per la loro disubbidienza, così anch’essi sono stati ora disubbidienti, affinché, per la misericordia a voi usata, ottengano anch’essi misericordia. Poiché Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti» (11:30-32).

Si conferma che lo schema non è quello dell’altalena, dove se uno va su e l’altro va giù, ma quello della convergenza di interessi, che fa salire o scendere insieme. È d’altronde fin dall’inizio della Lettera che Paolo vuol far vedere il parallelismo fra Giudei e Gentili, cioè che Dio usa criteri di giudizio analoghi, non due pesi e due misure (3:9,30; 4:9-16; 10:12). Ed è fin dall’inizio che Paolo vuol far comprendere che è la GRAZIA la caratteristica prevalente di Dio. Quella grazia che incontrò inaspettatamente sulla via per Damasco, quando stava andando a perseguitare i discepoli di Gesù. Ad essa sembra far riferimento, quando scrive che «Dio mostra la grandezza del proprio amore per noi, in quanto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (5:8).

INSERIMENTO DEL TUTTO IN UNA VISIONE PANORAMICA DI DIO (11:33-36). «O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e incomprensibili le sue vie! Poiché: “Chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato il suo consigliere? O chi gli ha dato per primo, e gli sarà contraccambiato?”. Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen» (11:33-36).

La dottrina esposta nella Lettera ai Romani contrasta con l’impostazione che hanno tutte le altre religioni. Perché Paolo descrive un Dio che ci adotta come figli, disciplinandoci quando necessario, ma continuando ad amarci anche quando siamo disubbidienti. Un Dio opposto a quello delle altre religioni, nelle quali è percepito come colui che ci guarda dall’alto, pronto a punirci come si fa con i servi.

La Lettera ai Romani delinea una dottrina non immaginabile dalla logica umana e che pone Dio al di là della nostra dimensione. La prima cosa da fare, dunque, non è valutare questo operare di Dio, ma rinunciare a fare da giudici, accettando la condizione di imputati e la sentenza di condanna, accogliendo poi la grazia che ci viene offerta.