DIALOGHI SULLA LETTERA AI ROMANI. Una teologia di Paolo interna all’Antico Testamento

DIALOGO 29-A (9/3/25)

di Fernando De Angelis (Scarica il file QUI)

TEMA 1. GESÙ HA DETTO A PAOLO SOLO ALLA FINE DEL MORIRE A ROMA

1.Una rivelazione progressiva anche verso Abramo e Pietro.

Abbiamo visto che Paolo pensava di fermarsi poco a Roma, considerandola una breve tappa nel suo percorso verso la Spagna (15:20-24). Paolo era in costante comunicazione con Gesù (Atti 26:16 e 1Corinzi), ma il finale a Roma gli è stata nascosto fin quasi alla fine. Quella a Paolo non è però un’eccezione, dato che nella Bibbia ci sono diversi casi di rivelazione progressiva. Per brevità ne segnaleremo solo due: Abramo e Pietro.

Quando Abramo iniziò il suo cammino con Dio era pieno di attese positive, dato che Dio gli aveva detto: «Io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione: benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra». «Io darò questo paese alla tua progenie» (Genesi 12:2-3,7). Non poteva certo immaginare che il possesso della Terra Promessa si sarebbe realizzato dopo 4 secoli, né che Sara gli avrebbe partorito un unico erede quando era ormai umanamente impossibile (Genesi 15:13-16; 18:9-14; 17:15-19).

Pietro, come gli altri apostoli, lasciarono prontamente tutto e seguirono Gesù perché erano convinti che fosse il Messia promesso e che il regno dei santi stava per realizzarsi. Solo verso la fine dei tre anni con loro, Gesù li avverti in modo esplicito che sarebbe stato ucciso e poi sarebbe risorto: «DA ALLORA Gesù cominciò a dichiarare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molte cose dagli anziani, dai capi sacerdoti e dagli scribi, essere ucciso e risuscitare il terzo giorno» (Matteo 16:21). Una prospettiva totalmente inaccettabile per Pietro che, «trattolo da parte, cominciò a rimproverarlo, dicendo: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti avverrà mai”» (Matteo 16:22). Gli apostoli cercarono poi di non pensarci, ma Gesù insistette, facendo almeno altri due tentativi per arrivare a farli comprendere, senza successo, perché «non capirono NULLA di queste cose; quel parlare era per loro oscuro e non capivano cosa Gesù volesse dire» (Luca 18:34).

Cominceranno a capire solo quando toccheranno Gesù risorto (Luca 24:36-49), rimanendo di nuovo sorpresi nel vederlo salire in cielo (Atti 1:9-11). Con Pietro che solo alla fine seppe e accettò che sarebbe morto martire (Giovanni 21:18-22).

2. Una rivelazione a Paolo esplicita solo alla fine, ma con segnali anticipatori.

Fin dall’inizio, cioè fin dall’andargli incontro sulla via per Damasco, Gesù aveva delineato il compito che Paolo avrebbe dovuto svolgere, con le connesse sofferenze: «Egli è uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai Gentili, ai re e ai figli d’Israele, poiché io gli mostrerò quante cose debba soffrire per il mio nome» (Atti 9:15-16).

Paolo cominciò subito ad evangelizzare, prima a Damasco e poi a Gerusalemme, ma in ambedue le città la sua efficace testimonianza suscitava un’opposizione violenta e così i credenti preferirono fare a meno del suo servizio, rimandandolo a casa (Atti 9:19-30).

Paolo accettò di ritornarsene nella sua città di Tarso e per qualche anno sembrò che la sua vocazione si fosse persa. Durante quella sosta, invece, Dio preparò le condizioni per un rilancio di Paolo, che nel frattempo aveva maturato un modo più accorto di testimoniare, anche se ugualmente potente. Fu infatti invitato da Barnaba ad insegnare nella prima chiesa fatta in prevalenza da non circoncisi, quella di Antiochia, dove non suscitò reazioni violente (Atti 11:25-26). Presto fu poi coinvolto in un’opera missionaria fra i Gentili, prima come aiutante di Barnaba, poi come leader del gruppo (Atti 15:3-6; 15:40).

L’opera missionaria di Paolo si ampliò sempre più, ma in direzione ovest. Percorrendo prima la parte meridionale dell’attuale Turchia, per poi passare in Grecia. Abbastanza presto, però, ebbe la convinzione che era giunto il tempo di chiudere il suo impegno in quelle zone e agli anziani di Efeso disse: «Io so che voi tutti fra i quali sono passato predicando il Regno, non vedrete più la mia faccia» (Atti 20:25).

Il messaggio agli anziani di Efeso è nel contesto di un viaggio di ritorno iniziato in Atti 20:1, con l’obiettivo Gerusalemme esplicito in Atti 20:16. È in questo contesto che si colloca la Lettera ai Romani, nella quale abbiamo visto che Paolo immaginava di passare per Roma per poi andare in Spagna (Romani 15:24,28). Poco dopo, però, proprio nel messaggio agli anziani di Efeso, descrive il futuro in un modo non più tranquillo, ma molto problematico: «Vincolato dallo Spirito, vado a Gerusalemme, non sapendo le cose che là mi avverranno, salvo che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi aspettano legami e afflizioni. Ma io non faccio alcun conto della mia vita, come se mi fosse preziosa, pur di compiere il mio corso e il ministerio che ho ricevuto dal Signore Gesù, che è di testimoniare dell’evangelo della grazia di Dio» (Atti 20:22-24).

Arrivato a Cesarea, approfittò dell’ospitalità di Filippo per un riposo non breve, ma l’orizzonte si scurì ulteriormente: «Eravamo là da molti giorni, quando scese dalla Giudea un certo profeta, di nome Agabo, il quale, venuto da noi, prese la cintura di Paolo, se ne legò i piedi e le mani e disse: “Questo dice lo Spirito Santo: ‘Così legheranno i Giudei a Gerusalemme l’uomo di cui è questa cintura e lo consegneranno nelle mani dei Gentili’”. Quando udimmo queste cose, tanto noi che quelli del luogo lo pregavamo di non salire a Gerusalemme. Paolo allora rispose: “Che fate voi, piangendo e spezzandomi il cuore? Poiché io sono pronto non soltanto a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù”. E, poiché non si lasciava persuadere, ci rassegnammo, dicendo: “Sia fatta la volontà del Signore”. Dopo quei giorni, fatti i nostri preparativi, salimmo a Gerusalemme» (Atti 21:10-15).

Gesù aveva precisato che Paolo avrebbe portato il suo nome «davanti ai Gentili, ai re e ai figli d’Israele» (Atti 9:15-16). Era implicito che Gesù non si sarebbe accontentato delle mezze misure e perciò che Paolo lo avrebbe fatto ai massimi livelli (Atene, Gerusalemme, Roma, sinedrio, imperatore).

A Gerusalemme, dopo la sua testimonianza cercarono di ucciderlo, ma Gesù gli disse: «Coraggio, perché come hai reso testimonianza di me a Gerusalemme così bisogna che tu la renda anche a Roma» (Atti 23:11). E quel «come» faceva pensare che anche a Roma il contesto poteva essere problematico.

In seguito, durante la navigazione verso Roma come imputato in attesa di giudizio e col pericolo di un naufragio, Paolo ricevette un altro messaggio, nel quale è precisato che la testimonianza a Roma sarebbe stata «davanti a Cesare» (Atti 27:24).

Paolo sarà poi cosciente che morirà martire a Roma, accettandolo pienamente. Come si può dedurre da Filippesi 1:12-18: «Ora, fratelli, voglio che sappiate che quanto mi è accaduto ha piuttosto contribuito al progresso dell’evangelo, tanto che a tutta la guardia pretoriana e a tutti gli altri è divenuto noto che io sono in catene per Cristo e la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dai miei legami, hanno avuto più ardire nell’annunciare senza paura la Parola di Dio. Vero è che alcuni predicano Cristo anche per invidia e per rivalità, ma ce ne sono anche altri che lo predicano di buon animo. Questi lo fanno per amore, sapendo che sono incaricato della difesa del vangelo, ma quelli annunciano Cristo con spirito di parte, non sinceramente, credendo di suscitarmi afflizione nelle mie catene. Che importa? Comunque sia, o per pretesto o in sincerità, Cristo è annunciato; di questo mi rallegro e mi rallegrerò ancora». A questo punto Paolo sperava ancora di poter evitare il martirio e tornare libero fra i credenti (Filippesi 1:26), mentre nello scrivere poi a Timoteo la prospettiva del martirio appare scontata: «Quanto a me io sto per essere offerto in libazione e il tempo della mia partenza è giunto. Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede; ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione» (2Timoteo 4:6-8).

In conclusione, Dio non ci fa sapere “tutto subito”, perché certe cose sarebbero per noi difficili da comprendere, facendoci però conoscere tutto ciò che è necessario per portare avanti il compito affidatoci. Facendoci comunque scoprire che la sua volontà per noi è  buona, gradita e perfetta».

3. Indizi nella Bibbia sulla futura centralità di Roma.

Nel Dialogo 26, abbiamo già visto come Dio continui ad usare gli imperi pagani per portare avanti il suo progetto. A cominciare da quell’impero babilonese che aveva distrutto il Primo Tempio e ora con quello romano che distruggerà il Secondo Tempio.

Quello che vogliamo mettere in evidenza è che nel Nuovo Testamento ci sono già gli indizi sulla futura centralità di Roma per la storia della Chiesa. Non ci soffermiamo di nuovo sul «date a Cesare quello che è di Cesare» (Matteo 22:21) e sull’accettazione dell’impero romano da parte di Gesù. Accenniamo solo brevemente all’amichevole incontro di Gesù con un centurione romano ben visto dai Giudei (Luca 7:1-10). Approfondiamo invece il battesimo del centurione romano Cornelio, sul quale abbondano le inesattezze. Perché per noi battezzare un non circonciso è normale, mentre fino Atti 10 era ritenuto dagli apostoli come non lecito, perché Giovanni Battista, Gesù e gli stessi apostoli avevano fino allora battezzato solo i circoncisi. Non possiamo qui mostrare che Dio si è sempre relazionato con i Gentili e che il battezzarli era solo un modo di adeguarsi alle nuove circostanze. Vogliamo invece sottolineare il fatto che il primo non circonciso ad essere battezzato è stato un cittadino romano.

Gesù aveva detto che il Vangelo sarebbe arrivato fino alle estremità della Terra, ma prima di Atti 10 gli apostoli non si erano spinti oltre la Giudea. Per fare in modo che Pietro andasse a Cesarea ci fu bisogno di interventi straordinari da parte di Dio (Atti 10:9-23) e Pietro andò senza che Dio gliene dicesse il motivo (Atti 10:21,29). Iniziò a parlare supponendo di dover fare una lunga predicazione, ma lo Spirito Santo lo interruppe quando, come racconta, aveva «appena cominciato a parlare» (Atti 11:15). Lo Spirito Santo, infatti, aveva preso dimora con evidenza anche negli incirconcisi, ai quali era perciò illogico negare il battesimo (Atti 10:47). Gli altri apostoli ci misero un po’ a capire, poi accettarono il fatto compiuto (Atti 11:18), senza però trarne la conseguenza di sviluppare l’evangelizzazione dei Gentili. La notizia però si diffuse e chi invece ne trasse le conseguenze furono alcuni semplici credenti che si trovarono ad evangelizzare ad Antiochia, dove così sorse la prima chiesa con prevalenza di non circoncisi (Atti 11:19-21).

Cesarea non era una città qualsiasi, ma la rappresentante di Roma in quella regione, con relativa guarnigione militare. Oltre che al centurione Cornelio, Pietro parlò anche ad un gruppo di suoi amici, evidentemente appartenenti come lui alla classe dirigente romana (Atti 10:24). Gli Atti non ci raccontano gli sviluppi di quella chiesa, ma la categoria dei militari è molto mobile e quei primi credenti romani non circoncisi si presume che divulgarono il messaggio. È poi significativo che Filippo, un evangelizzatore efficacissimo, si era stabilito a Cesarea, dove aveva messo su famiglia allevando 4 figlie profetesse e facendo della sua casa un luogo di accoglienza, del quale abbiamo visto aveva approfittato anche Paolo (Atti 21:8-10).

Le chiese dove Paolo ha insegnato per più tempo sono 4: Antiochia, Corinto, Efeso e Roma. Fino Atti 5, sono gli apostoli e la chiesa di Gerusalemme ad essere il centro motore della Chiesa. A partire da Atti 6, emergono altri protagonisti (Filippo, Stefano, Paolo) ed in seguito è la chiesa di Antiochia ad acquistare sempre più importanza, divenendo la base per una evangelizzazione sistematica dei Gentili (Atti 13:2).

Fra le “chiese figlie” di Antiochia, Corinto ed Efeso sono quelle dove Paolo si è soffermato di più, circa 2 anni a Corinto e 3 ad Efeso (Atti 18:11,18; 20:31), con un insegnamento adattato alla mentalità ed ai problemi del mondo di cultura greca, al quale le due città appartenevano.

A Roma, in attesa del processo, Paolo ha potuto prima insegnare liberamente per due anni, poi dando un mirabile esempio su come affrontare il martirio. C’è però un’altra considerazione che spesso è trascurata, quella che la Lettera ai Romani espone il Vangelo tenendo conto della mentalità romana, incentrata sulla legge e sulla giustizia. L’opera di Paolo a Roma, allora, ha posto solide basi per far in modo che nel mondo romano proseguisse lo sviluppo della Chiesa, fatta nascere da Dio a Gerusalemme, diffusasi nel mondo greco attraverso Antiochia-Efeso-Corinto, per poi proseguire verso ovest. Prima con la costa africana di lingua latina (Cartagine, patria di Tertulliano e Cipriano), poi con il graduale emergere di Roma.

La Chiesa di Roma diventerà sempre più importante con il “cesaro-papismo” di Teodosio (380), cioè con gli imperatori che dirigevano di fatto anche la Chiesa. Poi, con la scomparsa dell’impero romano d’Occidente (476), il vescovo di Roma fu costretto ad assumere anche funzioni di tipo politico, realizzando così una sorta di “papo-cesarismo”, con il quale il cristianesimo si radicò in Occidente in modo profondo, anche se in una versione lontana da quella degli apostoli. L’inizio della crisi del cattolicesimo romano si può far coincidere con l’emergere dell’islam, di fronte al quale il cristianesimo si dimostrò soccombente, con una riscossa guidata dal riemergere delle autorità civili (Carlo Martello, Repubbliche marinare, Carlo Magno e il suo sacro romano impero). Crisi del cattolicesimo romano ampliatasi poi dallo svilupparsi delle contestazioni religiose (Albigesi, Ussiti) e dalla riforma protestante.

Quello che ci interessa di più, comunque, è che nello sviluppo del cristianesimo Dio non ha cercato di rimediare agli eventi storici che via via si sono presentati, ma come nell’Antico Testamento, Dio ha precorso la storia, predisponendo prima ciò che sarebbe stato utile dopo. Per esempio, facendo in modo che Gesù nascesse all’interno di un vasto impero abbastanza ordinato, con una lingua greca compresa dai più, con una parte occidentale dell’impero nella quale la Chiesa arriverà a godere del massimo della libertà, sviluppandosi prima numericamente, per poi stimolare riforme varie, in modo da far riemergere sempre più il modello di chiesa del Nuovo Testamento.