DIALOGHI SULLA LETTERA AI ROMANI. Una teologia di Paolo interna all’Antico Testamento
DIALOGO 25 BOZZA 1
di Fernando De Angelis (Scarica il file QUI)
UNA SINTESI DI ETICA CRISTIANA (12:11-21)
1.Precetti vari in forma telegrafica (12:11-16).
«Siate ferventi» (versetto 11 a).
Cioè ardenti, che bruciano. Il “primo amore”, quello dell’inizio del fidanzamento o del matrimonio. La chiesa di Efeso aveva molti pregi, ma per Gesù non era secondario che avesse abbandonato il suo «primo amore» (Apocalisse 2:1-5).
«Servite il Signore [Gesù]» (versetto 11b).
Che ci si riferisca a Gesù lo si può ricavare dall’inizio della Lettera (1:1,7) e dal fatto che di solito per “Signore” gli apostoli intendevano Gesù. Che il servizio di un credente sia rivolto a Gesù in un modo particolare, d’altronde, Paolo lo esprime in modo esplicito in altre parti. Come in Efesini 4:5-6; 5:10,17,20. Mentre in Colossesi 3:24 è scritto: «Servite il Messia, il Signore!».
Anche nell’Antico Testamento c’è il comandamento di amare Dio in modo non superficiale: «Con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze» (Deuteronomio 6:5).
«Siate allegri nella speranza, pazienti nell’afflizione» (versetto 12 a).
Facile a dirsi, ma si spera ciò che ci manca e viene spontaneo sospirare. Altra cosa è se siamo convinti che saremo esauditi: «Se sappiamo che egli ci esaudisce in ciò che gli chiediamo, noi sappiamo di aver le cose che gli abbiamo chieste» (1Giovanni 5:15). Nella Bibbia ci sono molti racconti di persone alle quali lo Spirito ha dato certezza che sarebbero state esaudite. Succede non di rado anche oggi. Ci limitiamo a citare l’esempio di Anna, la madre di Samuele, che ebbe la certezza che sarebbe stata esaudita, fino al punto che subito «il suo aspetto non fu più quello di prima» (1Samuele 1:18).
Un detto popolare recita: «Chi di speranza vive, disperato muore». Due obiezioni. La prima è che è vero, SE Dio non è VIVENTE, SE Gesù non è RISORTO. La seconda è che l’essere umano ha comunque la necessità di sperare in qualcosa, altrimenti non riesce a vivere.
«Perseveranti nella preghiera» (12b).
In 1Tessalonicesi 5:17 è addirittura scritto «non cessate mai di pregare»: questo fa pensare ad una preghiera non solo formale, ma come atteggiamento del nostro spirito che vuole essere sempre in sintonia con lo Spirito di Dio. Una possibilità accennata già nel capitolo 8: «Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio» (versetto 16). Come pure nel capitolo 8 c’è un collegamento fra la preghiera e lo Spirito Santo: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili» (versetto 26). Se ne può dedurre che la preghiera efficace è quella preceduta da un nostro metterci in sintonia con il punto di vista di Dio, per mezzo del suo Spirito.
«Provvedete alle necessità dei santi» (versetto 13 a).
Nel considerarsi “fratelli in Gesù” è implicito l’aver cura l’uno dell’altro, come in una famiglia. Non in modo esclusivo, però, perché fin dall’inizio la Bibbia insegna la “fratellanza in Adamo” fra tutti gli esseri umani, che non viene annullata dalla “fratellanza in Gesù”, anche se quest’ultima è più ampia.
Paolo evangelizzava con un atteggiamento di fratellanza verso i pagani, come fra l’altro si può cogliere a Listra (Atti 14:15), ad Atene (Atti 17:24-29) e a Malta, dove i barbari accolsero il naufragato Paolo con una «umanità non comune», ospitato poi «amichevolmente» dal signore del luogo (Atti 28:2,7). Di questa doppia fratellanza ce n’è traccia in Galati 6:10: «Finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti; ma specialmente ai fratelli in fede».
«Esercitate con premura l’ospitalità» (versetto 13b).
Per esercitare bene l’ospitalità occorre una complessa preparazione. Bisogna avere uno spazio in più in casa, non essere nel bisogno, con i due coniugi che sono concordi e preparati per aiutare gli ospiti non solo sul piano materiale, ma anche nelle loro difficoltà spirituali. Non basta uno slancio del cuore, insomma, anche se può essere il punto di partenza per arrivarci. Confidando nell’aiuto che Dio può darci: sia nella preparazione che poi nell’ospitare.
Così il desiderio di far del bene agli altri può farci ricevere molto del bene da parte di Dio. Uno schema che Paolo rende esplicito a Timoteo: «Bada a te stesso e all’insegnamento; persevera in queste cose perché, facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano» (1Timoteo 4:16). Con la Lettera agli Ebrei che ne dà una motivazione tutta speciale: «Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, senza saperlo, hanno ospitato angeli» (Ebrei 13:2).
«Benedite quelli che vi perseguitano, benedite e non maledite» (versetto 14).
Qui Paolo introduce un elemento dell’etica che poi riprenderà nei versetti conclusivi del capitolo (17-21), ampliandone la trattazione, come vedremo.
Rallegratevi con quelli che sono allegri, piangete con quelli che piangono. Abbiate fra voi un medesimo sentimento» (versetti 15-16 a).
Siamo pronti a dire che è facile gioire con chi gioisce, ma potrebbe essere solo perché nascondiamo a noi stessi che il successo dell’altro ci suscita invidia. Mentre vedendo chi piange, non è difficile che qualcuno gli elenchi i motivi per i quali dovrebbe essere contento.
Eppure nella chiesa è importante avere «un medesimo sentimento» con chi ci sta di fronte. Non si possono però fare lezioni di “pianto con chi piange” e il miglior modo per impararlo è quello descritto in 2Corinzi 1:3-4, cioè aver fatto esperienza di un Dio che «ci consola in ogni nostra afflizione affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione».
«Non abbiate l’animo alle cose alte, ma lasciatevi attirare dalle umili» (versetto 16b).
Richiama da vicino due insegnamenti di Gesù: «Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi» (Luca 16:10). «Quando sarai invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, affinché quando verrà colui che ti ha invitato, ti dica: “Amico, vieni più avanti”. Allora ne avrai onore davanti a tutti quelli che saranno a tavola con te. Poiché chiunque si innalza sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato» (Luca 14:10-11). E Gesù riprende l’insegnamento di Proverbi 18:12: «Prima della rovina, il cuore dell’uomo s’innalza, ma l’umiltà precede la gloria».
«Non vi stimate saggi da voi stessi» (versetto 16c).
Qui il collegamento con i Proverbi è più diretto: «Un altro ti lodi, non la tua bocca; un estraneo, non le tue labbra» (Proverbi 27:2).
2. Culmine e sintesi dell’etica cristiana (12:17-21).
Nel versetto 14 Paolo aveva scritto «benedite quelli che vi perseguitano» e abbiamo visto che poneva le basi di un tema che avrebbe poi sviluppato. Qui lo fa in tre riprese: la prima rappresentata dai versetti 17-18, la seconda dai versetti 19-20 e la terza dal versetto 21.
«Non rendete ad alcuno male per male. Applicatevi alle cose buone davanti a tutti gli uomini» (12:17-18).
Ci sono cristiani che decidono come comportarsi trascurando ciò che può pensarne “la gente”, ritenendo sufficiente ascoltare la propria coscienza di fronte a Dio. Certo, è prioritario avere la coscienza tranquilla, ma Paolo non disprezzava il parere dei non credenti. Anzi, proprio all’inizio di questa Lettera afferma che tutti gli uomini sono in grado di capire ciò che è giusto e ciò che non lo è (2:14-15).
Come al solito, Paolo praticava ciò che insegnava. In 2Corinzi 8:21 afferma: «Ci preoccupiamo di agire onestamente non soltanto davanti al Signore, ma anche di fronte agli uomini». Un modo di fare espresso anche al governatore romano Felice: «Mi esercito ad avere continuamente una coscienza pura davanti a Dio e davanti agli uomini» (Atti 24:16).
Anche Pietro aveva fiducia nella capacità dei Gentili di riconoscere un comportamento corretto: «Avendo una buona condotta fra i Gentili, affinché laddove sparlano di voi come di malfattori, essi, per le vostre buone opere che avranno osservate, glorifichino Dio nel giorno che egli li visiterà» (1Pietro 2:12).
Come al solito, nei riguardi dell’etica non mancano riferimenti ai Proverbi. «Bontà e verità non ti abbandonino; legatele al collo, scrivile sulla tavola del tuo cuore; troverai così grazia e buon senno agli occhi di Dio e degli uomini» (3:3-4). «La buona reputazione è da preferirsi alle molte ricchezze; la stima, all’argento e all’oro» (22:1). Vedere anche Atti 5:13; 6:3; Filippesi 4:8; 1Corinzi 10:32; Luca 2:52.
«Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini» (12:18).
C’è un pacifismo cristiano “ad ogni costo”, che non tiene conto di TUTTO l’insegnamento di Gesù, di TUTTO il Nuovo Testamento e di TUTTA la Bibbia. Paolo invece sapeva che vivere in pace non è sempre possibile e che non dipende solo da noi. Non andiamo oltre su un tema che è troppo complesso per essere affrontato in questa sede.
«Non fate le vostre vendette, cari miei, ma cedete il posto all’ira di Dio, poiché sta scritto: “A me la vendetta; io darò la retribuzione”, dice il Signore. Anzi “se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; poiché, facendo così, tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo”» (12:19-20).
Riprendiamo una questione già messa in evidenza nel precedente Dialogo 24 (paragrafi 3-5), sulla scorrettezza di contrapporre un Antico Testamento senza amore ad un Nuovo Testamento che lo esalta. Leggendo «Non fate le vostre vendette» molti pensano all’insegnamento di Gesù sul Monte (Matteo 5:38-47), con il quale si contrapporrebbe all’Antico Testamento, ma Paolo supporta l’invito a non vendicarsi con due citazioni tratte proprio dall’Antico Testamento, la prima da Deuteronomio 32:35 e la seconda da Proverbi 25:21-22.
Paolo non svaluta la giustizia, ma invita a lasciare che sia Dio a farla, e la sua ira può essere anche molto più pesante della nostra.
Comunque, per considerare adeguatamente il rapporto fra Gesù e l’Antico Testamento bisognerebbe leggere con attenzione il Vangelo di Matteo, che però è spesso mal compreso. Chiudo allora qui l’argomento, rimandando al mio precedente libro sul Vangelo di Matteo.
«Non essere vinto dal male, ma vinci il male con il bene» (12:21).
Può considerarsi come la sintesi finale dell’etica cristiana, cioè del modo di stare in questo mondo da discepoli di Gesù. Trovando in lui la forza per non adeguarsi ad una società corrotta, senza restare sulla difensiva, ma passando ad un contrattacco vincente. Sperimentando l’efficacia delle promesse di Gesù, che ha chiesto al Padre: «Non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno (Giovanni 17:15). Dicendo ai discepoli: «Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi animo, io ho vinto il mondo» (Giovanni 16:33).