DIALOGHI SULLA LETTERA AI ROMANI. Una teologia di Paolo interna all’Antico Testamento

DIALOGO 24 BOZZA 1 (5/2/25)

di Fernando De Angelis (Scarica QUI il file)

AMARE SENZA IPOCRISIA? SOLO PER MIRACOLO (12:9-10)

1. Un invito ad amare supportato da quanto scritto in precedenza (12:9-10).

«L’amore sia senza ipocrisia. Aborrite il male e attenetevi fermamente al bene. Quanto all’amore fraterno, siate pieni d’affetto gli uni per gli altri, quanto all’onore, precedetevi gli uni gli altri» (12:9-10).

Un bambino di pochi mesi capisce se la carezza di chi gli sta davanti è sincera o forzata, reagendo con il sorriso o con il pianto. Anche un cane lo capisce bene. Una persona educata si può impegnare ad amare l’altro e l’altro può fingere di crederci, ma è una recita che non convince e non accontenta nessuno.

Insomma, ad essere sinceri si finisce con l’offendere il prossimo, mentre se ci si sforza di amare chi non è amabile si cade nell’ipocrisia. Certo, è meglio l’educazione che le reciproche offese, ma Dio ci offre una via di uscita migliore, dandoci potenza per mezzo di Gesù.

Quando si parla di religione, non sono pochi quelli che arrivano subito a dire che l’essenziale è amare il prossimo. Paolo invece lo scrive dopo 11 capitoli e 8 versetti: un aiuto ad amare sinceramente il prossimo, allora, cerchiamolo in ciò che è scritto prima.

Nei primi 11 capitoli Paolo ha esposto le «compassioni di Dio» (12:1). Il nostro amore per il prossimo è più facile se abbiamo accolto l’amore di Dio, desiderando fare all’altro ciò che Dio ha fatto per noi. La prima attenzione, perciò, non deve essere per il prossimo, ma per Dio stesso, verso il quale disporsi totalmente («sacrificio vivente», 12:1). Chi ama Dio ed ha capito che Dio ama tutti, è portato ad amare tutti per amore di Dio.

Il comportamento di un non credente si basa su una serie di fattori: valutazioni, presupposti, consenso sociale. Per consolidare un nostro comportamento diverso, dobbiamo dunque rinnovare la nostra mentalità (12:2 a), cambiando quelle valutazioni, quei presupposti e l’importanza da dare al consenso generale, che non va disprezzato, ma messo in secondo piano.

È più facile seguire Dio se crediamo che lui «osserva con i suoi occhi tutta la terra per mostrare la sua potenza a favore di quelli che hanno il cuore fedele a lui» (2Cronache 16:9, Bianchi). È più facile essere generosi con il prossimo se abbiamo fiducia nella promessa di Gesù di provvedere il necessario a chi prima cerca «il regno e la giustizia di Dio» (Matteo 6:33). Con un cambio di mentalità che deve arrivare ad un cambio di esperienza. Vedendo la realtà di un Dio che agisce nel concreto della nostra vita, con la sua volontà che ci rallegra (12:2b).

Bisogna poi porci non in concorrenza con gli altri, come succede nel mondo, ma come componenti di una squadra che sta portando avanti un progetto condiviso. È facile che un idraulico e un elettricista si relazionino positivamente, quando sono impegnati nello stesso cantiere. È perciò necessario che ciascuno comprenda quale ruolo gli è stato assegnato nella chiesa dallo Spirito Santo, prendendo poi atto dei ruoli assegnati agli altri. Amare gli altri è più facile, se realizziamo che «siamo un solo corpo nel Messia» (12:3-8).

2. Altri due insegnamenti che possono aiutarci.

«Ciascuno di voi, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso» (Filippesi 2:3).

Siamo quasi tutti abituati a guardare gli altri dall’alto in basso e sarebbe già tanto considerarli al nostro pari. Questo invito di Paolo sembra perciò improponibile. Me lo sono posto davanti molti anni fa ed ho cercato di metterlo in pratica. Mi dicono che i risultati sono poco visibili e li capisco. Eppure nel mio intimo qualche piccolo risultato penso di averlo ottenuto e lo conservo come si fa con le pepite d’oro. Continuando a pormi davanti quell’insegnamento.

Gli inviti di Paolo erano in sintonia con i suoi comportamenti. A Corinto aveva fatto un’opera grandiosa, eppure alcuni di loro lo descrivevano così: «Le sue lettere sono gravi e forti, ma la sua presenza personale è debole e la sua parola è cosa da nulla» (2Corinzi 10:10). Stando in mezzo a loro, Paolo si mostrava debole, trasmettendo quelle parole ricevute da Gesù senza nessuna traccia di orgoglio.

Della sintonia fra insegnamento e comportamento di Paolo ce n’è traccia nella stessa Lettera ai Filippesi (3:17): «Siate miei imitatori, fratelli, e riguardate a quelli che camminano secondo l’esempio che avete in noi». Se ne deduce che l’essere esemplare non riguardava solo Paolo, ma anche i suoi collaboratori (vedere anche 1Corinzi 4:16; 11:1; 1Tessalonicesi 1:6). Un segno che quel comportamento non è poi così impossibile, come ci viene da dire per giustificarci.

«Chi ti distingue dagli altri? E che hai tu che non l’abbia ricevuto? E se pur l’hai ricevuto, perché ti glori come se tu non l’avessi ricevuto?» (1Corinzi 4:7).

Non dobbiamo minimizzare i doni che abbiamo ricevuto da Dio. Possiamo però cadere nel viverli come se fossero qualità nostre. Ciò che di buono abbiamo, oltre ad averlo ricevuto, ha lo scopo di aiutare gli altri. E porsi al servizio degli altri significa avere un atteggiamento di sottomissione che ben si addice ad un amore vero.

3. L’amore per il prossimo è messo al primo posto.

Fra i vari precetti pratici, Paolo mette al primo posto l’amore, motivandolo poco dopo (13:8): «Chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti il “non commettere adulterio”, “non uccidere”, “non rubare”, “non concupire” e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: “Ama il prossimo tuo come te stesso”» (Romani 13:8; vedere pure Galati 5:14).

Non pochi commentano che la legge antica è stata sostituita da Gesù con il comandamento di amare il prossimo, rifacendosi al testo di Giovanni 13:34. Diamo subito due prove che questa impostazione non è corretta, poi nel paragrafo 5 guarderemo da vicino il testo di Giovanni.

La prima prova è che il comandamento di amare il prossimo è dentro la legge di Mosè (vedere Levitico 19:18), perciò non può esserne un’alternativa.

La seconda prova è che riassumere la legge di Mosè con i due comandamenti di amare Dio e il prossimo è una sintesi che aveva fatta anche Gesù, ma in concordia con un “dottore della legge” (Matteo 22:34-40; Marco 12:28-34). Perciò era un’interpretazione profonda, ma già presente fra i Giudei. In fondo Paolo, nell’affrontare la parte pratica, ha seguito uno schema simile, cominciando con l’invito ad amare Dio (12:1-2), passando poi a quello per il prossimo.

Un altro motivo per cominciare dall’amore per il prossimo si ricava da 1Corinzi 13:1-3: «Anche se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho amore, divento un rame risonante o uno squillante cembalo. E quando avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da trasportare i monti, se non ho amore, non sono nulla. Anche se distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri e dessi il mio corpo a essere arso, se non ho amore, non mi gioverebbe a niente».

È l’amore per il prossimo che dà significato a ciò che facciamo, perciò bisogna iniziare da lì.

L’ultimo motivo che consideriamo deriva da Giovanni 13:35: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri». L’amore fraterno è il distintivo che fa riconoscere i seguaci di Gesù e, per essere un distintivo, deve risultare impossibile agli altri.

Non c’è da stupirsi, perciò, se con i nostri sforzi non arriviamo ad amare sinceramente il prossimo, perché più che sforzarci, dobbiamo confessare la nostra incapacità a Dio, con la fiducia che per mezzo di Gesù ci sarà data la forza per progredire su quella strada.

4. Un amore che non ignora la verità e la giustizia.

Molti cristiani pensano che amare il prossimo significhi anche nascondere quelle verità che per lui sono spiacevoli, ritenendo anche che l’amore sia alternativo alla giustizia. C’è qualcosa di positivo in tutto questo, se non si esagera. Perché Gesù ha messo insieme l’amore con la verità e la giustizia, come insegna l’insieme della Parola di Dio. Sono temi complessi sui quali non è il caso di addentrarci, perciò ci limitiamo a riportare qualche citazione.

-Giovanni 1:14. «La Parola è stata fatta carne e ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità».

-Romani 14:17. «Perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo».

-Efesini 4:15. Seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè il Messia».

-Salmo 85:10. La bontà e la verità si sono incontrate, la giustizia e la pace si sono baciate».

-Salmo 89:14. Giustizia e diritto sono la base del tuo trono, bontà e verità vanno davanti al tuo cospetto».

5. Il “nuovo comandamento” di Gesù, spesso non compreso.

È convinzione comune che Gesù abbia portato il nuovo comandamento dell’amore, appoggiandosi a Giovanni 13:34: «Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri». La citazione è corretta, ma è parziale e perciò fuorviante.

Negli originali non c’è la punteggiatura. Introdotta dai traduttori per aiutarci a comprendere, facendo scelte a volte influenzate dai loro presupposti. Mettendo un punto dopo «altri» incoraggiano a fermarsi lì, ma bisogna vedere come prosegue il discorso: «Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri». Nel paragrafo 3 abbiamo visto che quel comandamento era già nella legge di Mosè, perciò la novità di Gesù è il “come”, dato dal suo esempio di amarci fino a dare la vita per noi.

Ciò emerge più facilmente se si scrive il tutto senza punteggiatura, o semplicemente togliendo quel punto messo nel mezzo: «Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri». Questo modo più completo di leggere Giovanni 13:34 è convalidato dallo stesso Giovanni, che nella sua Prima Lettera scrive: «Noi abbiamo conosciuto l’amore da questo: egli ha dato la sua vita per noi; noi pure dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli» (1Giovanni 3:16).

Abbiamo visto le difficoltà di amare gli altri «come se stessi» in modo sincero (paragrafi 1 e 2), qui si aggiunge un amare fino a dare la propria vita! Per noi cristiani del mondo sviluppato è troppo. Non volendo e non potendo porsi a livello della Parola di Dio, tendiamo ad abbassarla al nostro livello. Chi però come Paolo ha desiderato uniformarcisi, testimonia che la volontà di Dio per noi è «buona, gradita e perfetta» (12:2).