DIALOGHI SULLA LETTERA AI ROMANI. Una teologia di Paolo interna all’Antico Testamento

DIALOGHI 20-21- BOZZA 1 (13/1/25)

di Fernando De Angelis (Scarica QUI il file dei Dialoghi 20-21)

«DIO NON HA RIPUDIATO IL SUO POPOLO, CHE HA PRECONOSCIUTO» (10:18 a 11:6)

1.I Gentili hanno sostituito il disubbidiente Israele? (10:18-21).

«Forse non hanno udito? Anzi, la loro voce è andata per tutta la terra e le loro parole fino agli estremi confini del mondo. Allora dico: forse Israele non ha compreso? Mosè per primo dice: “Io vi renderò gelosi con una nazione che non è nazione; provocherò il vostro sdegno con una nazione senza intelligenza”. Isaia poi osa affermare: «Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano; mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me”. Ma riguardo a Israele afferma: “Tutto il giorno ho teso le mani verso un popolo disubbidiente e contestatore”» (10:18-21).

Nella citazione di Osea, fatta da Paolo in 9:25-26, abbiamo già visto quanto sia difficile comprendere correttamente, per chi non conosce sufficientemente l’Antico Testamento. Anche qui sono molti quelli che, da questi versetti, ne traggono la conclusione che Dio ha sostituito il popolo disubbidiente di Israele con i più ubbidienti Gentili.

Paolo stesso ha presente questa errata comprensione e la corregge subito, dicendo che «Dio non ha ripudiato il suo popolo» (11:1-2), dando però l’impressione di cadere in contraddizione. Prima di proseguire nello scorrere il testo, allora, è necessario chiarire come l’Antico Testamento vede la relazione complessiva fra Javè e Israele.

2. La bussola profetica di Levitico 26.

In Levitico 26, dopo aver dato la legge ad Israele, Dio lo avverte su ciò che gli succederà se la osserverà o no. Se si comporteranno secondo le sue leggi, saranno benedetti sotto ogni aspetto: economico, politico e militare (versetti 3-13). Se invece non ubbidiranno ci saranno punizioni severe e progressive, fino a divenire estreme: «Vi disperderò fra le nazioni e vi inseguirò a spada tratta; il vostro paese sarà desolato e le vostre città saranno deserte» (versetto 33). «Perirete fra le nazioni e il paese dei vostri nemici vi divorerà» (versetto 38).

La logica della legge è comprensibile, ma non finisce qui. Perché poi assomiglia a quei pericolosi esercizi al trapezio che, se l’equilibrista cade… c’è sotto la rete di salvataggio. Infatti, dopo aver annunciato il possibile naufragio di Israele, c’è quello che chiamiamo il “MA profetico”, che permette la salvezza anche ai disubbidienti, per amore dei padri (Abramo, Davide) e per le promesse a loro fatte: «MA, NONOSTANTE tutto questo, quando saranno nel paese dei loro nemici, io non li disprezzerò e non li prenderò in avversione fino al punto d’annientarli del tutto e di rompere il mio patto con loro; poiché io sono Javè loro Dio; ma per amor loro mi ricorderò del patto stretto CON I LORO ANTENATI, che feci uscire dal paese d’Egitto, sotto gli occhi delle nazioni, per essere il loro Dio. Io sono Javè» (Levitico 26:44-45).

3. Il Deuteronomio ribadisce la cornice di Levitico 26 e l’arricchisce.

Il libro del Deuteronomio riporta i discorsi finali di Mosè, nel quale riassume e commenta la legge, con i capitoli finali (28-33) che delineano il futuro di Israele e definiscono il cosiddetto “impianto predizionale”. Si tratta di 6 capitoli molto densi, immergendosi nei quali non pochi si disorientano, ma solo perché non si sono provvisti della “bussola” data da Levitico 26, dato che la descrizione fatta in Deuteronomio ha come cornice quella del Levitico. Non si tratta poi di UN impianto predizionale, ma di DUE, secondo la tipica ciclicità biblica, con il primo ciclo che comprende i capitoli 28-30 e il secondo i capitoli 31-33. Il capitolo più importante è certamente il 32, chiamato il “Cantico di Mosè”, ma che in realtà è un “Cantico di Dio”, perché dettato da lui a Mosè. La forma di cantico serviva a farlo memorizzare a tutti e per sempre, dando per scontata la futura degenerazione del popolo (31:16-22). Non è per caso che Paolo abbia tratto la sua citazione dal capitolo più importante (confronta Romani 10:19 con Deuteronomio 32:21).

Riportiamo le espressioni più significative di Deuteronomio 32.

-«Hanno agito perversamente contro di lui; non sono suoi figli, questi corrotti, razza storta e perversa» (versetto 5).

-«Essi lo hanno fatto ingelosire con divinità straniere, lo hanno irritato con pratiche abominevoli. Hanno sacrificato a dèmoni che non sono Dio, a dèi che non avevano conosciuto, dèi nuovi, apparsi di recente, che i vostri padri non avevano temuto. Hai abbandonato la Rocca che ti diede la vita, e hai dimenticato il Dio che ti mise al mondo. Javè lo ha visto, e ha rinnegato i suoi figli e le sue figlie che l’avevano irritato; e ha detto: “Io nasconderò loro il mio volto e starò a vedere quale sarà la loro fine; poiché sono una razza perversa, sono figli infedeli. Essi mi hanno fatto ingelosire con ciò che non è Dio, mi hanno irritato con i loro idoli vani; e io li renderò gelosi con gente che non è un popolo, li irriterò con una nazione stolta» (vv. 16-21).

-Sembra che sia assente ogni speranza, MA è in queste circostanze che emerge una salvezza PER GRAZIA. «Javè giudicherà il suo popolo, MA avrà pietà dei suoi servi quando vedrà che la forza è sparita e che non rimane più tra di loro né schiavo né libero» (versetto 36).

-«Nazioni, cantate le lodi del suo popolo! Poiché Javè vendica il sangue dei suoi servi, fa ricadere la sua vendetta sopra i suoi avversari, ma SI MOSTRA PROPIZIO ALLA SUA TERRA, AL SUO POPOLO» (versetto 43). Sono queste le parole finali del Cantico e, come al solito, la conclusione è di benedizione e di mantenimento del patto.

Isaia è un profeta che guarda molto al futuro, anche a quello lontano. Come gli altri profeti, adotta la cornice di Levitico 26. Le pagine riguardanti la futura opera del Messia sono molte, ma un cenno alla sua visione complessiva lo faremo tra poco, incontrando la citazione che ne viene fatta da Paolo in 11:26-27.

4. Un’elezione irreversibile basata sul residuo e sulla preconoscenza (11:1-6).

«Dio ha forse ripudiato il suo popolo? No di certo! Perché anch’io sono israelita, della discendenza di Abraamo, della tribù di Beniamino. Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha preconosciuto. Non sapete ciò che la Scrittura dice a proposito di Elia? Come si rivolse a Dio contro Israele, dicendo: “Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno demolito i tuoi altari, io sono rimasto solo e cercano la mia vita”? Ma che cosa gli rispose la voce divina? “Mi sono riservato settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal”. Così, anche al presente, c’è un residuo eletto per grazia. Ma se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia.

In 8:29-30 abbiamo visto che il progetto di Dio per gli individui comincia dalla preconoscenza, per poi procedere inarrestabile fino alla glorificazione. Il carattere di Dio è di portare a compimento i suoi piani in modo irreversibile e questo vale non solo per gli individui, ma anche per il popolo di Israele (11:2,29).

Viene poi ripreso brevemente il concetto di “residuo” (versetti 2b-5), già ampiamente trattato in 9:2-29 e sul quale si tornerà in questo stesso capitolo (versetto 17). Il procedere di Dio attraverso il “residuo” lega il perdurare della vocazione di Israele a quella parte che rimane fedele.

5. Il significato di “preconoscenza” attraverso il contesto.

A questo punto qualcuno ci ha invitato ad approfondire il significato di “preconoscenza” nell’originale greco, ma non lo abbiamo fatto, per coerenza con il metodo che ci siamo proposti.

La prima predicazione degli apostoli venne tradotta dallo Spirito Santo nella lingua nativa dei vari ascoltatori (Atti 2:8) e quell’opera è stata poi proseguita dalle varie traduzioni della Bibbia. Paolo usava la traduzione in greco in uso nelle sinagoghe e non argomentò appellandosi alla sua conoscenza dell’ebraico, ma usando metodi interpretativi alla portata di tutti. Noi perciò vogliamo basarci sulle traduzioni in italiano che si usano nelle chiese, cercando di capire meglio sulla base del contesto e di altri passi della Parola di Dio che affrontano lo stesso argomento.

Nel soffermarsi sulla “preconoscenza” di Dio, l’aspetto più pericoloso è quello di attribuire l’elezione a qualcosa che Dio ha visto in anticipo in colui che elegge. Un’impostazione chiaramente contrastante con tutta la Lettera ai Romani, basata su una grazia di Dio che esclude le opere umane, come Paolo ribadisce proprio in questo contesto, scrivendo che «Se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia» (versetto 6). Dopo che aveva già espresso come sia inamovibile «il proponimento di Dio, secondo elezione, che dipende non da opere, ma da colui che chiama» (9:11).

Inequivocabile è anche ciò che Paolo scrive in 2Timoteo 1:9: «Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall’eternità». Qui, e in molti altri passi biblici, l’elezione è collegata ad una insondabile volontà di Dio e non a qualche caratteristica di chi è eletto (Romani 11:33; 1Corinzi 12:11; Efesini 1:3-5; 1:9-11; 2:8-9; Tito 3:5; Ebrei 2:4; Giacomo 1:18).

Anche l’elezione di Israele non è stata motivata da alcuna caratteristica vista in quel popolo, ma da una libera volontà di Dio di amarlo: «Javè, il tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo tesoro particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. Javè si è affezionato a voi e vi ha scelti, non perché foste più numerosi di tutti gli altri popoli, anzi siete meno numerosi di ogni altro popolo, ma perché Javè vi ama: Javè vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha liberati dalla casa di schiavitù, dalla mano del faraone, re d’Egitto, perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri» (Deuteronomio 7:6-8).