DA ADAMO AGLI APOSTOLI. Una panoramica di tutta la Bibbia basata sul testo in sé
Volume VII. DIALOGHI SULLA LETTERA AI ROMANI. Una teologia di Paolo interna all’Antico Testamento
DIALOGO 18 – BOZZA 1 (1/1/25) (Dialoghi 1-17 già pubblicati sul sito)
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di Fernando De Angelis
«CHIAMERÒ MIO POPOLO QUELLO CHE NON ERA MIO POPOLO». È RIFERITO A ISRAELE, NON AI GENTILI (9:24-33)
«Noi, che egli ha chiamato non soltanto fra i Giudei ma anche fra gli stranieri? Così egli dice appunto in Osea: «Io chiamerò “mio popolo” quello che non era mio popolo e “amata” quella che non era amata»; e «Avverrà che nel luogo dov’era stato detto: “Voi non siete mio popolo”, là saranno chiamati “figli del Dio vivente”» (9:24-26).
Il passo di Osea «Io chiamerò “mio popolo” quello che non era mio popolo» viene solitamente frainteso. Perché per comprendere cosa voleva dire Paolo bisogna come al solito conoscere il contesto originario della citazione. Il primo capitolo di Osea comincia così: «Lei concepì di nuovo e partorì una figlia. Javè disse a Osea: «Chiamala Lo-Ruama, perché io non avrò più compassione della casa d’Israele». […] Quando lei ebbe divezzato Lo-Ruama, concepì e partorì un figlio. Javè disse a Osea: «Chiamalo Lo-Ammi, perché voi non siete mio popolo e io non sarò per voi» (Osea 1:6-9). Il popolo di Israele era stato rigettato da Javè a causa della sua malvagità e idolatria, così sembrava non esserci alcuna speranza di riconciliazione. TUTTAVIA, la grazia di Dio va contro ogni logica e Osea annuncia un colpo di scena: «TUTTAVIA, il numero dei figli d’Israele sarà come la sabbia del mare, che non si può misurare né contare. Avverrà che invece di dir loro, come si diceva: “Voi non siete mio popolo”, sarà loro detto: “Siete figli del Dio vivente”» (1:10). Più avanti così prosegue: «Perciò, ecco, io l’attrarrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore […] Quel giorno avverrà», dice Javè, «che tu mi chiamerai: “Marito mio!” e […] io ti risponderò», dice Javè, «[…] avrò compassione di Lo-Ruama; e dirò a Lo-Ammi: “Tu sei mio popolo!” ed egli mi risponderà: “Mio Dio!”» (Osea 2:14-23).
Quando Osea dice «Io chiamerò “mio popolo” quello che non era mio popolo» sta parlando del recupero di Israele come suo popolo, non di sostituirlo con i Gentili, come molti fraintendono, perché ignorano il contesto di Osea che Paolo rievoca. L’argomento di Paolo è che gli Ebrei non possono lamentarsi del fatto che Dio abbia chiamato “suo popolo” anche i Gentili, poiché ha già fatto prima la stessa cosa con il popolo di Israele. Osea infatti riporta che, dopo che Javè ha rigettato la sua sposa infedele, la corteggia nuovamente per poi fidanzarcisi di nuovo, nonostante si meritasse tutt’altro. In tutta la sua Lettera, Paolo vuole mostrare l’equivalenza nel comportarsi di Dio verso Ebrei e Gentili, prima argomentando che entrambi sono colpevoli e peccatori, poi che entrambi vengono salvati per grazia.
Isaia poi esclama riguardo a Israele: «Anche se il numero dei figli d’Israele fosse come la sabbia del mare, solo il resto sarà salvato; perché il Signore eseguirà la sua parola sulla terra in modo rapido e definitivo». Come Isaia aveva detto prima: «Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato una discendenza, saremmo diventati come Sodoma e saremmo stati simili a Gomorra» (9:27-29).
Paolo riprende brevemente il concetto di “residuo”, già introdotto nei versetti 6-13, per poi soffermarcisi in modo più dettagliato nel capitolo 11.
Il procedere di Dio attraverso il “residuo” può essere rappresentato da un albero che viene potato e che poi ciò che resta riprende a crescere. D’altronde è proprio questa l’immagine che Paolo successivamente usa in 11:16-24.
Partendo da Abramo, la concatenazione dei “residui” può essere così schematizzata: Abramo – Isacco – Giacobbe – tribù di Giuda – famiglia di Davide – Gesù figlio di Davide – i 120 discepoli di Gesù (Atti 1:15).
Oltre nel passo sopra riportato, Isaia parla di questo “residuo” diverse altre volte (1:9; 6:13; 10:20-22; 37:32; 65:8-9).
«Che diremo dunque? Diremo che degli stranieri, i quali non ricercavano la giustizia, hanno conseguito la giustizia, però la giustizia che deriva dalla fede; mentre Israele, che ricercava una legge di giustizia, non ha raggiunto questa legge. Perché? Perché l’ha ricercata non per fede ma per opere. Essi hanno urtato nella pietra d’inciampo, come è scritto: «Ecco, io metto in Sion un sasso d’inciampo e una pietra di scandalo; ma chi crede in lui non sarà deluso» (9:30-33).
È evidente che Paolo stia usando un linguaggio “iperbolico”, cioè esagerato. Perché non tutti gli stranieri avevano conseguito «la giustizia che deriva dalla fede», ma solo una parte minoritaria. Mentre solo una parte di Israele non l’aveva conseguita, dato che la predicazione degli apostoli fu subito accolta da migliaia di loro (Atti 2:41; 4:4), compreso «un gran numero di sacerdoti» (6:7).
Certo, alla lunga, i Gentili finiranno per prevalere, perché solo una minoranza dei membri delle sinagoghe accettavano Gesù come Messia, superati sempre più da quella minoranza di Gentili che accoglievano Gesù Salvatore (per esempio, Atti 17:14; 18:4-8).