Fernando De Angelis

PAOLO E GESÙ

Capire meglio Paolo per capire meglio Gesù, partendo da 1Timoteo.

Paolo e Gesù 3A.

IL RAPPORTO FRA PAOLO E GESÙ NEGLI ATTI E NELLE DUE LETTERE AI CORINZI

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1.Introduzione

2.Paolo si relazionava in modo diretto con un Gesù vivente

3.Dalla centralità di Gerusalemme alla “conquista dell’ovest”

4.Come molti cristiani cancellano Gesù dal Nuovo Testamento

5.La “assemblea dei discepoli di Gesù” (chiesa) nasce e si sviluppa a Corinto

6.Per Corinto, Paolo fu istruito da Gesù in modo speciale

A.Paolo afferma con chiarezza l’autorità ricevuta da Gesù

B.Il ricordo dell’ultima cena nel culto, ritualizzato per mezzo di Paolo

C.L’escursione di Paolo in cielo e la sua preghiera a Gesù

7.Il “cristocentrismo” di Paolo

A.Introduzione

B.Predicare e servire Gesù, spinti dall’amore

C.Il rapporto diretto di Gesù con Paolo e con i credenti

8.La chiesa come “corpo del Messia”

9.Essere “in” Gesù e vivere la “Quadriunità”

10.Da Gesù come maestro a “sposo”

11.I credenti in Gesù pregavano Gesù?

12.Rapporti fra Gesù, il Padre e lo Spirito Santo

A.Il Padre di Gesù è anche il suo capo e il suo Dio

B.Unità e distinzione di Gesù con il Padre

C.Unità e distinzione di Gesù con lo Spirito Santo

D.Versetti Trinitari

 

 1.INTRODUZIONE

Ho iniziato questa nuova Scheda su “Paolo e Gesù” nell’ottobre 2018, subito dopo aver concluso quella precedente, andando avanti a singhiozzo per la necessità di completare il libro sul Vangelo di Matteo. Nell’estate 2019 è sopraggiunto un motivo che mi ha spinto ad accelerare questa prima stesura, perché è in traduzione un libro che obbligherà a revisionare e approfondire il pensiero di noi italiani su Paolo. L’autore è l’ebreo Daniel Boyarin, uno dei massimi esperti di ebraismo, del quale è già stato tradotto un libro (“Il Vangelo ebraico”, Castelvecchi, 2012), nel quale mostra come Gesù e i Vangeli siano interni all’ebraismo del loro tempo. Il libro su Paolo in traduzione s’intitola “Un ebreo radicale”, in esso Boyarin mostra come anche Paolo sia interno all’ebraismo del suo tempo. L’edizione è a cura dell’Associazione EDIPI (Evangelici D’Italia Per Israele) e il libro uscirà probabilmente dopo l’estate 2021.

Quando un cristiano parla del “Signore” intende in genere “Dio”. Alla richiesta di specificare se intenda Gesù o il Padre, la risposta più probabile è: «Ma Gesù e il Padre sono uno, sono la stessa cosa». È come se uno conoscesse solo il caffelatte, trovando perciò incomprensibili e inutili i discorsi sul caffè e sul latte. Di questo ce ne siamo occupati nella precedente Scheda 2 precisando che, nel contesto delle Lettere degli apostoli, “Signore” si riferisce di norma a Gesù (salvo che nelle citazioni dell’Antico Testamento). Un altro presupposto da eliminare lo abbiamo affrontato nella scheda 1 ed è quello di considerare Paolo come un “innovatore”, rispetto a Gesù e a Pietro, considerati ancora troppo legati all’Antico Testamento e all’ebraismo. Paolo ha invece operato sotto la guida di Gesù e in unità con la chiesa.

Negli elenchi di versetti biblici, quelli più significativi sono evidenziati in grassetto.

2.PAOLO SI RELAZIONAVA IN MODO DIRETTO CON UN GESÙ VIVENTE

Partiamo come al solito dalla 1Timoteo, dove in 1:12-14 è scritto: «Io ringrazio colui che mi ha reso forte, il Messia Gesù, nostro Signore, per avermi stimato degno della sua fiducia, ponendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; ma misericordia mi è stata usata, perché agivo per ignoranza nella mia incredulità; e la grazia del Signore nostro è sovrabbondata, con la fede e l’amore che è nel Messia Gesù».

Paolo si sentiva «reso forte» e posto al servizio di Gesù, non solo genericamente da “Dio”, ma in modo specifico dal «Messia Gesù, nostro Signore». Vedremo che Paolo inserisce il suo “cristocentrismo” in un contesto trinitario, ma in questo passo si può già cogliere come Gesù, per Paolo, sia il “comandante sul campo”, il capitano che si relaziona più direttamente con i suoi soldati e fa da ponte con il comandante generale. Gesù è il re che governa in nome dell’imperatore (Dio Padre) che comunque resta in controllo di tutto e che si riserva le scelte strategiche, il pastore incaricato dal padrone di curarsi delle pecore. Tutto ciò lo cominciamo a vedere in questa Scheda n. 3, concentrandoci sugli Atti e sulle due Lettere ai Corinzi, riservandoci di affrontare gli altri scritti di Paolo in una scheda successiva.

È ben noto l’incontro di Paolo con Gesù sulla via per Damasco, ma spesso ci si concentra solo sull’aspetto centrale, trascurando i dettagli presenti in quel racconto e in altre parti degli Atti. Tenendo conto dei vari elementi, emerge una cornice generale che risulta molto utile per comprendere quanto Paolo esprime nelle sue Lettere, a volte in modo sintetico.

Paolo non aveva nessuna intenzione di incontrare Gesù, ma quando gli apparve mentre andava a Damasco a perseguitare i discepoli, si pose in un atteggiamento di ubbidienza: «Signore, che vuoi che io faccia?» (Atti 9:6). Anziché dargli direttamente delle istruzioni, Gesù gli inviò il credente Anania, al quale aveva precisato la vocazione a cui lo aveva destinato: «Egli è uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai popoli, ai re, e ai figli d’Israele» (v. 15). Così Paolo fu battezzato (v. 18) e, in un successivo racconto, precisa che lo fece invocando Gesù (22:16). Dopo il battesimo, Paolo si mise subito a predicare nelle sinagoghe di Damasco che «Gesù è il Figlio di Dio» (9:20).

Paolo perciò non iniziò a relazionarsi genericamente “con Dio”, cosa che in qualche modo faceva in quanto ebreo, ma a farlo “per mezzo di Gesù”, con il quale il rapporto continuò ad essere intenso. Perché l’incontro sulla via per Damasco non rimase isolato, ma fu il primo di una serie, come annunciatogli da Gesù: «Per questo ti sono apparso: per farti ministro e testimone delle cose che hai viste, e di quelle per le quali ti apparirò ancora» (26:16). Dall’insieme del Nuovo Testamento si può ricavare la realtà dei frequenti incontri fra Gesù e Paolo, con il libro degli Atti che ne riporta quattro (9:3-5; 18:9-10; 22:17-21; 23:11), nei quali è confermata una “strategia verso ovest” che ora chiariremo, perché contribuisce a giustificare il nostro successivo soffermarsi sulle due Lettere ai Corinzi.

3.DALLA CENTRALITÀ DI GERUSALEMME ALLA “CONQUISTA DELL’OVEST”

Pietro, con tutto il gruppo dei Dodici apostoli, concepiva un’evangelizzazione che avrebbe comunque avuto al centro Gerusalemme, dov’era iniziata. Sul modello delle sinagoghe le quali, pur essendosi diffuse nel mondo, mantenevano come riferimento Gerusalemme. Ne è segno ciò che avvenne dopo l’uccisione di Stefano: «Vi fu in quel tempo una grande persecuzione contro la chiesa che era in Gerusalemme. Tutti furono dispersi per le regioni della Giudea e della Samaria, salvo gli apostoli» (Atti 8:1). Restare a Gerusalemme era divenuto rischioso, ma gli apostoli ritenevano essenziale il continuare a presidiare il centro della vita d’Israele.

Gerusalemme era centrale anche per Paolo. Dopo essere stato battezzato a Damasco, rimase lì poco tempo, per recarsi subito dopo a Gerusalemme (Atti 9:18-26), dove amava spesso tornare e dove alla fine volle andare, nonostante sapesse di rischiare la vita (Atti 21:10-13).

Il libro degli Atti ci fa vedere che lo Spirito Santo aveva una chiara strategia fin dall’inizio, realizzandola tappa dopo tappa. Lo schema è delineato dalle ultime parole di Gesù ai discepoli: «Riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria e fino all’estremità della terra» (1:8).

La prima fase, con al centro Gerusalemme, arriva fino a tutto il capitolo 7 di Atti (uccisione di Stefano).

La seconda fase fu innescata dalla persecuzione, che costrinse i discepoli ad allontanarsi da Gerusalemme e a disperdersi nelle circostanti regioni «della Giudea e della Samaria», dove si recarono «portando il lieto messaggio della Parola» (8:1). Con la Samaria che accolse l’annuncio portato lì da Filippo (8:5-12).

La terza fase si poté realizzare solo dopo una complessa preparazione. Era stato già detto da Gesù che sarebbe stato Paolo lo strumento scelto per portare il suo nome «davanti ai popoli» (9:15). Dopo un breve periodo di predicazione, però, Paolo fu costretto a ritirarsi nella sua casa di Tarso (9:30), per poi sparire dalla scena. In realtà a Dio occorreva un certo tempo per preparare meglio lui e le circostanze adatte all’opera che voleva affidargli.

Filippo venne presto allontanato dall’opera in Samaria e mandato ad evangelizzare un ministro etiope che stava tornando a casa, che avrebbe portato il messaggio in quello che era considerato una specie di “estremo sud” (8:26-39). Poche parole ci vengono dette sul fatto che Filippo approdò poi a Cesarea (8:40), posta sul mare e poco più a nord di Gerusalemme. Dopo diverso tempo vediamo che proprio lì aveva fatto della sua casa un luogo di grande edificazione per i credenti, fra l’altro accolti da quattro figlie profetesse (21:8-16).

Pure Pietro fu mandato da Dio a Cesarea, con il compito di fare qualcosa che non avrebbe mai voluto fare, cioè violare certi insegnamenti di Mosè e certe regole del suo popolo, allo scopo di facilitare la diffusione del Vangelo fra i pagani. Così Pietro entrò in casa dell’ufficiale romano Cornelio e, mentre parlava di Gesù, constatò che lo Spirito Santo era sceso su Cornelio e sui suoi amici, cioè sulla classe dirigente romana di quell’area. Mentre l’Eunuco rappresentava un’estremità geografica, Cornelio ne rappresentava una culturale. Dio però scelse Antiochia come “città base” della terza fase, nel modo che ora vedremo.

La persecuzione successiva all’uccisione di Stefano spinse alcuni ad andare oltre la Giudea e la Samaria, arrivando fino ad Antiochia, città sul mare molto più a nord di Cesarea, distante da Gerusalemme circa 500 km e in una posizione adatta a interagire con il circostante mondo non ebraico. Si trova infatti nell’angolo nord-est del Mediterraneo, avendo l’attuale Turchia a nord e la Siria a est.

Nonostante la lontananza, la chiesa di Antiochia nacque in stretto collegamento con quella di Gerusalemme. Fu infatti iniziata da alcuni che si erano formati a Gerusalemme, dove erano stati istruiti dagli apostoli. Essi, anziché annunciare Gesù ai soli Ebrei, avendo saputo del battesimo del non circonciso Cornelio, parlarono anche ai Gentili. Dio benedisse grandemente quella testimonianza e così si formò un numeroso gruppo di discepoli.

Per istruire questa prima chiesa fatta prevalentemente da Gentili, gli apostoli inviarono come loro fiduciario Barnaba. Egli presto si rese conto che, in quelle circostanze, c’era bisogno della conoscenza biblica che aveva vista in Paolo, che così tornò sulla scena nelle vesti di giovane collaboratore di Barnaba.

Il progetto di Dio ad Antiochia fu quello di costituire una chiesa ben formata e solida, in grado così di supportare una vasta opera fra i non Ebrei. Dunque un’opera non solo iniziale, come fatto in precedenza in Samaria e ancor più con Cornelio e l’Eunuco. Così ad Antiochia maturarono i doni di «profeti e dottori» e quella chiesa fu in grado di ben comprendere uno straordinario messaggio dello Spirito Santo: «Mettetemi da parte Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati» (Atti 13:2).

Barnaba riconobbe in Paolo una maggiore incisività evangelistica, così fin dall’inizio fu Paolo a predicare (per es. Atti 13:16). Dopo il primo giro missionario, Paolo proseguì senza Barnaba e avendo come obiettivo quello di espandere l’azione sempre più lontano da Antiochia. Lo Spirito Santo pose però un misterioso veto a questa strategia, bloccando paradossalmente l’evangelizzazione. Paolo rimase perplesso, poi capì che la strategia di Dio era quella di farlo procedere VERSO OVEST, così lasciò l’attuale Turchia e approdò in Macedonia, cioè nel nord della Grecia. Proseguì questa strategia VERSO OVEST desiderando presto di andare a Roma e poi in Spagna (Atti 19:21; cfr. 23:11; Rom 1:9-13; 15:23-24).

Nei rapporti con i collaboratori, Paolo mise in atto una strategia “piramidale”, nella quale ci si concentra sul vertice, agendo meno andando verso la base. Un modo usato anche da Gesù, sia nei riguardi del territorio che verso le persone. Sul territorio Gesù privilegiò le città e dove c’erano sinagoghe, interessandosi meno dei villaggi. Nei riguardi delle persone, a un certo punto s’interessò sempre meno delle folle e sempre più dei discepoli (per es. Mat 13:10-11), selezionando fra di essi i Dodici (Mat 10:1-5), al loro interno il terzetto di Pietro, Giacomo e Giovanni (Mat 17:1; 26:37; Mar 5:37), con Pietro oggetto di particolare cura e indicato come «il primo» fra i Dodici (Mat 10:2; cfr. 16:16-19; 17:24-27; Giov 21:15-19).

Parallelamente, vediamo che Paolo era circondato da diversi collaboratori, con il terzetto di Sila (detto anche Silvano), Timoteo e Tito in maggiore evidenza, dove Timoteo appare come il discepolo prediletto. Quello che più ci interessa, però, è la strategia di Paolo sul territorio, che consisteva nel soffermarsi poco tempo in ogni città, tranne in quelle scelte per farne un riferimento anche per l’ambiente circostante, quindi da consolidare maggiormente.

La prima zona evangelizzata da Paolo corrisponde all’attuale Turchia meridionale, dove Paolo scelse come base la città di Efeso, nella quale si trattenne per tre anni. Proprio agli anziani della chiesa di Efeso volle comunicare che si avviava alla sua ultima missione e che perciò non avrebbero rivisto la sua faccia (Atti 20:25).

Nell’attuale Grecia la città base prescelta fu Corinto, anche per una specifica indicazione di Gesù, ma sul contesto nel quale maturarono le due Lettere ai Corinzi è bene soffermarcisi con un paragrafo a parte. Prima però è necessario renderci conto di un modo diffuso per escludere molto insegnamento del Nuovo Testamento su Gesù.

4.COME MOLTI CRISTIANI CANCELLANO GESÙ DAL NUOVO TESTAMENTO

Molti cristiani hanno idee poco chiare su come rapportarsi con la persona di Gesù, ma non c’è da stupirsene, dato che è stato operato un sistematico stravolgimento di quello che su questo argomento insegna il Nuovo Testamento.

Nella scheda n. 2 abbiamo messo in evidenza che la dottrina ufficiale di tutti i cristiani considera Gesù e il Padre come persone distinte, che condividono la stessa natura divina. Nella pratica, però, si tende a sottolineare che «Gesù è Dio» e che «Gesù e il Padre sono uno», intendendo che sono una stessa persona. Gesù viene così immaginato come una specie di “maschera del Padre” e perciò senza una sua effettiva e specifica personalità. In quella scheda abbiamo anche considerato il significato che il termine “Signore” ha nel Nuovo Testamento, ma su questo è necessario tornarci sopra.

Quando, per esempio, un cristiano legge «cercate di ben capire quale sia la volontà del Signore», lo comprende nel senso di «cercate di ben capire quale sia la volontà di Dio». Dato che nelle Lettere del Nuovo Testamento il termine “Signore” è di norma riferito a Gesù, è bene allora renderlo esplicito. Cosa che faremo con alcune frasi tratte da Efesini 5-6.

Efesini capitolo 58 in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore [Gesù]. Comportatevi come figli di luce […] 10 esaminando che cosa sia gradito al Signore [Gesù] […] 17 Perciò non agite con leggerezza, ma cercate di ben capire quale sia la volontà del Signore [Gesù] […] 19 cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore [Gesù]; 20 ringraziando continuamente per ogni cosa Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Messia; 21 sottomettendovi gli uni agli altri nel timore del Messia. 22 Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore [Gesù]; 23 il marito infatti è capo della moglie, come anche il Messia è capo della chiesa.

Efesini capitolo 6.  1 Figli, ubbidite nel Signore [Gesù] ai vostri genitori […] 4 E voi, padri, non irritate i vostri figli, ma allevateli nella disciplina e nell’istruzione del Signore [Gesù] 5 Servi, ubbidite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, nella semplicità del vostro cuore, come al Messia, 6 non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi del Messia. Fate la volontà di Dio di buon animo, 7 servendo con benevolenza, come se serviste il Signore [Gesù] e non gli uomini; 8 sapendo che ognuno, quando abbia fatto qualche bene, ne riceverà la ricompensa dal Signore [Gesù], servo o libero che sia. 9 Voi, padroni, agite allo stesso modo verso di loro astenendovi dalle minacce, sapendo che il Signore [Gesù] vostro e loro è nel cielo e che presso di lui non c’è favoritismo. 10 Del resto, fortificatevi nel Signore [Gesù] e nella forza della sua potenza […] 21 Tichico, il caro fratello e fedele servitore nel Signore [Gesù], vi informerà di tutto […] 23 Pace ai fratelli e amore con fede, da Dio Padre e dal Signore Gesù Messia. 24 La grazia sia con tutti quelli che amano il nostro Signore Gesù Messia con amore inalterabile.

Come al solito, Paolo distingue fra Dio Padre e il Signore Gesù (5:20; 6:23), facendolo con chiarezza già all’inizio: «Paolo, apostolo del Messia Gesù per volontà di Dio, ai santi che sono in Efeso e ai fedeli nel Messia Gesù. Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Messia» (Efe 1:1-2). La differenza fra il «cercate di ben capire quale sia la volontà di Dio» e il «cercate di ben capire quale sia la volontà di Gesù» (Efe 5:17) non è un dettaglio trascurabile!

La conclusione è tragica, ma inevitabile: non comprendendo quando “Signore” indica Gesù, diversi cristiani lo hanno di fatto eliminato da molti versetti del Nuovo Testamento. A volte addirittura da tutti, perché quando viene assimilato al Padre non gli viene in pratica riconosciuta l’individualità come persona.

5.LA “ASSEMBLEA DEI DISCEPOLI DI GESÙ” (CHIESA) NASCE E SI SVILUPPA A CORINTO

L’opera di Paolo a Corinto cominciò come al solito, cioè andando nella sinagoga del luogo (Atti 18:4; cfr. 17:2). Come al solito, una minoranza di Giudei accettò il suo messaggio e continuò a far parte della sinagoga, ma la maggioranza che aveva rifiutato di credere non sopportava la presenza di quelli che avevano riconosciuto Gesù come Messia, cominciando una persecuzione che di solito costringeva Paolo ad andare in un’altra città (cfr. Atti 14:7). A Corinto, però, Paolo reagì diversamente e, per la prima volta, separò i seguaci di Gesù, organizzandoli in ASSEMBLEA (CHIESA) in una casa vicina alla sinagoga (Atti 18:6-8).

Gesù aveva per Corinto un piano speciale e rassicurò Paolo che sarebbe stato protetto: «Una notte il Signore [Gesù] disse in visione a Paolo: “Non temere, ma continua a parlare e non tacere; perché io sono con te, e nessuno ti metterà le mani addosso per farti del male; perché io ho un popolo numeroso in questa città”» (Atti 18:9-10). La persecuzione violenta si manifestò solo dopo un anno e mezzo, ma Paolo non dovette andare subito via da Corinto (Atti 18:11-17).

La strategia di separare i discepoli dalla sinagoga venne poi proseguita da Paolo nella sua successiva tappa di Efeso, con un significativo rafforzamento. Mentre infatti a Corinto l’assemblea si era riunita in una casa privata, ad Efeso venne utilizzata una scuola, cioè un locale pubblico (Atti 18:7; 19:9).

Prima che a Corinto, era già successo che i discepoli di Gesù si organizzassero in un’assemblea fuori della sinagoga. Il centurione romano Cornelio e i suoi amici, per esempio, dopo la frettolosa partenza di Pietro (Atti 10:48), avranno certamente trovato il modo di ritrovarsi per condividere la loro nuova fede, ma niente ci viene detto su come si organizzarono.

È invece sufficientemente chiara la nascita e la maturazione dell’assemblea cristiana ad Antiochia. Furono dei semplici credenti ad annunciare il Vangelo ai non circoncisi, che si convertirono in grande numero, senza avere un preciso modello organizzativo nemmeno in questo caso. Gli apostoli ci inviarono Barnaba, il quale «li esortò tutti ad attenersi al Signore con cuore risoluto» (Atti 11:23). Ciò fa pensare che si concentrò sugli aspetti etici, più che su quelli teologici, mettendo in atto il consueto modello organizzativo di tipo sinagogale.

Paolo fu chiamato a portare un suo contributo ad Antiochia quando la chiesa si era già consolidata e fece un’opera di istruzione (Atti 11:26). Ciò fa supporre un insegnamento di quella Parola di Dio che Paolo conosceva come pochi.

Anche in Samaria è difficile che si sia adottato un modello innovativo di chiesa. Sia perché l’evangelizzatore Filippo ci restò per breve tempo, sia perché il completamento dell’opera fu fatto da Pietro e Giovanni (Atti 8).

In conclusione, è a Corinto che Gesù vede le circostanze adatte per modellare più profondamente la chiesa, trovando in Paolo uno strumento adeguato per realizzare il progetto, ma a questo dedichiamo il prossimo paragrafo.

6.PER CORINTO, PAOLO FU ISTRUITO DA GESÙ IN MODO SPECIALE

Nelle due Lettere ai Corinzi ci sono espressioni che indicano una particolare assistenza di Gesù verso Paolo, con l’obiettivo di portare la chiesa verso una maturazione organizzativa e dottrinale. Elencheremo le più rilevanti espressioni presenti.

A.Paolo afferma con chiarezza l’autorità ricevuta da Gesù.

1Cor 7:10. «Ai coniugi ordino, non io ma il Signore [Gesù], che la moglie non si separi».

1Cor 9:14. «Il Signore [Gesù] ha ordinato che coloro che annunciano il vangelo vivano del vangelo». Gli ordini dati da Paolo sono qui esplicitamente attribuiti a Gesù.

1Cor 7:25. Quanto alle vergini non ho comandamento dal Signore [Gesù]; ma do il mio parere, come uno che ha ricevuto dal Signore [Gesù] la grazia di essere fedele.

1Cor 14:37. Se qualcuno pensa di essere profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo sono comandamenti del Signore [Gesù].

Anche sulle questioni nelle quali non aveva ricevuto esplicite indicazioni, Paolo non considerava di esprimere un suo parere personale, perché la sua profonda conoscenza di Gesù gli permetteva in ogni caso di interpretarne il pensiero. Anche i suoi pareri personali andavano perciò collegati con Gesù. Evidentemente non solo quelli riportati nelle due Lettere ai Corinzi, ma anche quelli presenti negli altri suoi scritti.

1Cor 5:3-5. Quanto a me, assente di persona ma presente in spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha commesso un tale atto. Nel nome del Signore Gesù, essendo insieme riuniti voi e lo spirito mio, con l’autorità del Signore nostro Gesù, ho deciso che quel tale sia consegnato a Satana, per la rovina della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù.

Paolo aveva ricevuto una particolare autorità da Gesù, ma non voleva agire in modo solitario, bensì coinvolgendo i Corinzi nella decisione da prendere (cfr. 2Cor 10:8; 13:10).

B.Il ricordo dell’ultima cena nel culto, ritualizzato per mezzo di Paolo.

1Corinzi 11:23-24. Poiché ho ricevuto dal Signore [Gesù] quello che vi ho anche trasmesso; cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me».

È convinzione pressoché universale che il ricordo del sacrificio di Gesù durante il culto della chiesa sia stato da lui istituito nell’ultima cena. In Atti 2, però, non troviamo che i tremila battezzati si riunissero in assemblea e celebrassero il ricordo RITUALE del sacrificio di Gesù. Troviamo invece che «ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore» (Atti 2:46). Il luogo d’incontro per tutti restava il Tempio, mentre si ritrovavano in gruppetti nelle case per mangiare insieme.

Abbiamo visto che è a Corinto che Paolo comincia a separare “la chiesa” (cioè “l’assemblea” dei credenti in Gesù). È allora qui che emerge la necessità di organizzare l’incontro non più genericamente sulla Parola di Dio, come avveniva nelle sinagoghe, ma di dargli una specifica connotazione cristiana. Paolo non dice: «Ho ricevuto da Pietro quello che vi ho anche trasmesso», perché è da Gesù che aveva ricevuto quelle particolari istruzioni, che sono solo in parte collegabili con l’ultima cena di Gesù con gli apostoli.

L’aspetto più rilevante è che Paolo trasforma la cena sostanziale in cena simbolica e rituale, dato che invita a sfamarsi a casa, prendendo poi tutti insieme qualcosa di ridotto (1Cor 11:34). Questa cena rievocativa, fatta dall’assemblea, avveniva presumibilmente ogni sabato ed era comunque svincolata dalla festa annuale della Pasqua.

C.L’escursione di Paolo in cielo e la sua preghiera a Gesù.

2Cor 12:1-5. «Verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore [Gesù]. Conosco un uomo nel Messia che quattordici anni fa (se fu con il corpo non so, se fu senza il corpo non so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. So che quell’uomo (se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa) fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all’uomo di pronunciare. Di quel tale mi vanterò; ma di me stesso non mi vanterò se non delle mie debolezze».

È un episodio che assimila Paolo ai grandi profeti dell’Antico Testamento, che esercitarono la loro funzione dopo un incontro con Dio nel quale ricevettero uno specifico compito (Isa 6; Ger 1; Eze 1-3). Per Paolo poteva bastare l’incontro con Gesù sulla via per Damasco, quando fu subito chiaro quale sarebbe stato il senso della sua chiamata (Atti 9:15), ma questo essere stato portato fino al terzo cielo significa aver ricevuto investitura e legittimazione anche da Dio Padre.

2Cor 12:7-9. «Tre volte ho pregato il Signore [Gesù] perché l’allontanasse da me; ed egli mi ha detto: “La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza”. Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza del Messia riposi su di me».

Abbiamo già rilevato che, nel leggere questo passo, i cristiani di solito capiscono che Paolo ha pregato per tre volte Dio Padre. Oltre alle considerazioni generali che sappiamo, ci sono altri due motivi per ritenere che qui ci si riferisca a Gesù. La «potenza» di chi risponde a Paolo, infatti, è poi collegata con la «potenza del Messia». Mentre l’invito a ritenere sufficiente la sua «grazia», se consideriamo come finisce la Lettera, va attribuito a Gesù, dato che Paolo così conclude: «La grazia del Signore Gesù Messia e l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2Cor 13:13).

7.IL “CRISTOCENTRISMO” DI PAOLO

A.Introduzione.

Più che invitare a convertirsi “a Dio”, Paolo predicava Gesù. Certo, come mezzo per essere riconciliati con Dio, ma la centralità di Gesù sarebbe poi rimasta durante tutta la vita del credente. Il suo primo obiettivo non era di diffondere una dottrina particolare, ma far conoscere la persona di Gesù. Ai filosofi ateniesi, per esempio, non disse che la salvezza poteva arrivare da una particolare conoscenza intellettuale, ma dal rapportarsi con un «uomo», delegato da Dio a giudicare il mondo e accreditato da lui con la risurrezione dai morti (Atti 17:30-31).

Le due Lettere ai Corinzi, non a caso, cominciano con Paolo che si dichiara «missionario del Messia Gesù». Insieme ad altri aspetti, Paolo sottolineava che Gesù era il “Signore” di quelli che lo accoglievano, cioè il re, il pastore che guida il gregge, il capitano che sta con i soldati. Infatti così sintetizza: «Non predichiamo noi stessi, ma il Messia Gesù quale Signore» (2Cor 4:5). Con la consapevolezza che solo l’opera dello Spirito Santo può portarci ad accettare la signoria di Gesù: «Nessuno può dire: “Gesù è il Signore!” se non per lo Spirito Santo» (1Cor 12:3). Una signoria che Paolo viveva nella quotidianità, che proponeva come modello e definibile “Cristocentrica”: «Siate miei imitatori, come anch’io lo sono del Messia» (1Cor 11:1).

B.Predicare e servire Gesù, spinti dall’amore.

1Cor 1:1. «Paolo, chiamato a essere apostolo del Messia Gesù per volontà di Dio» (cfr. 2Cor 1:1).

1Cor 2:2. «Mi proposi di non sapere altro fra voi, fuorché Gesù Messia e lui crocifisso».

1Cor 4:1. «Ognuno ci consideri servitori del Messia e amministratori dei misteri di Dio».

1Cor 9:21. «Mi sono fatto come se fossi senza legge (pur non essendo senza la legge di Dio, ma essendo sotto la legge del Messia)».

1Cor 16:22-24. «Se qualcuno non ama il Signore [Gesù], sia anatema».

2Cor 4:5. «Non predichiamo noi stessi, ma il Messia Gesù quale Signore».

2Cor 5:14.  «L’amore del Messia ci costringe».

2Cor 5:19-20. «Dio era nel Messia nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per il Messia, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome del Messia: siate riconciliati con Dio».

2Cor 11:23. «Sono servitori del Messia? Io (parlo come uno fuori di sé), lo sono più di loro».

2Cor 12:10. «Mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor del Messia; perché, quando sono debole, allora sono forte».

C.Il rapporto DIRETTO di Gesù, con Paolo e con i credenti.

CON PAOLO.

1Cor 3:5. «Che cos’è dunque Apollo? E che cos’è Paolo? Sono servitori, per mezzo dei quali voi avete creduto; e lo sono nel modo che il Signore [Gesù] ha dato a ciascuno di loro».

1Cor 4:3-4. «A me poi pochissimo importa di essere giudicato da voi o da un tribunale umano […] colui che mi giudica è il Signore [Gesù]». 

1Cor 4:19. «Se il Signore [Gesù] vorrà, mi recherò presto da voi».

2Cor 1:5. «Come abbondano in noi le sofferenze del Messia, così, per mezzo del Messia, abbonda anche la nostra consolazione». 

2Cor 2:12. «Giunto a Troas […] una porta mi fu aperta dal Signore [Gesù]».

CON I CREDENTI IN GENERALE.

1Cor 1:8. «Gesù Messia vi renderà saldi sino alla fine, perché siate irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Messia».

1Cor 7:17. «Ciascuno continui a vivere nella condizione assegnatagli dal Signore [Gesù], nella quale si trovava quando Dio lo chiamò». Se, al momento della conversione, dobbiamo considerare la nostra situazione come assegnataci da Gesù, significa che Gesù ha diretto il nostro vissuto anche prima della conversione.

1Cor 7:22. «Colui che è stato chiamato nel Signore [Gesù], da schiavo, è un affrancato del Signore [Gesù]; ugualmente colui che è stato chiamato mentre era libero, è schiavo del Messia».

1Cor 8:12. «Peccando in tal modo contro i fratelli, ferendo la loro coscienza che è debole, voi peccate contro il Messia». Gesù considera i suoi discepoli come il proprio corpo (vedere sotto), perciò ferire un suo discepolo è un ferire Gesù stesso.

1Cor 11:23-32. «Chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore [Gesù]. Per questo motivo molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono. Ora, se esaminassimo noi stessi, non saremmo giudicati; ma quando siamo giudicati, siamo corretti dal Signore [Gesù]». Nella “cena del Signore” che la chiesa celebra, il corpo di Gesù è simboleggiato, oltre che dal pane, anche dall’insieme dei celebranti, cioè dalla chiesa (vedere sotto).

 

8.LA CHIESA COME “CORPO DEL MESSIA”

La concezione della chiesa come “corpo del Messia” è occasionalmente e limitatamente accennata anche altrove (Rom 12:5; Efe 5:30), mentre nella 1Corinzi può essere vista come uno dei fili conduttori.

1Cor. 1:12-13. «Voglio dire che ciascuno di voi dichiara: “Io sono di Paolo”; “io, di Apollo”; “io, di Cefa”; “io, del Messia”. Il [corpo del] Messia è forse diviso?» 

1Cor. 3:16-17. «Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? […] il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi».

1Cor. 6:15. «Non sapete che i vostri corpi sono membra del Messia? Prenderò dunque le membra del Messia per farne membra di una prostituta? No di certo!»

1Cor. 12:12-13. «Come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un solo corpo, così è anche del Messia. Infatti noi tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi;

1Cor. 12:27. «Ora voi siete il corpo del Messia e membra di esso, ciascuno per parte sua».

9.ESSERE “IN” GESÙ E VIVERE LA “QUADRIUNITÀ”

Possiamo presentarci a un’autorità avendo in tasca la lettera di raccomandazione di un mediatore, oppure essendo accompagnati da quel mediatore. Come mediatore, Gesù va anche oltre, perché ci fa diventare parte di se stesso, perciò possiamo presentarci a Dio stando in Gesù, cioè divenendo un tutt’uno con lui, dato che siamo definiti come il suo “corpo” (cfr. par. 8).

Fino alla sconvolgente prospettiva di essere “interni” al rapporto fra Dio Padre e Gesù, che nell’ultima cena ci ha lasciato detto: «In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio, e voi in me e io in voi». «Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Giov 14:20; 17:21).

Il programma che è posto davanti alla chiesa è di realizzare un’unità in sintonia con Gesù, possibile solo per l’opera dello Spirito Santo in ciascuno, che ci permetta poi di essere interni alla Trinità, cioè interni al rapporto fra Padre, Figlio e Spirito Santo. Una Trinità che include un’umanità redenta e unita, può allora chiamarsi “QUADRIUNITÀ”.

In attesa che tutta la chiesa realizzi pienamente la sua vocazione alla fine dei tempi, ognuno di noi può avanzare come singolo verso quel traguardo. Gesù ha infatti promesso: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui» (Giov 14:23).

Insomma, più che relazionarsi con Gesù, un credente è in Gesù: un’espressione che troviamo spesso nel Nuovo Testamento. Anche frasi del tipo «nel nome di Gesù» e «per mezzo di Gesù», andrebbero intese soprattutto in quel senso.

1Cor 1:2. «Ai santificati nel Messia Gesù, chiamati santi».

1Cor 1:29-30. «Nessuno si vanti di fronte a Dio. È grazie a lui che voi siete nel Messia Gesù».

1Cor 11:11. «Nel Signore [Gesù], né la donna è senza l’uomo, né l’uomo senza la donna». 

1Cor 15:21-22. «Per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche nel Messia saranno tutti vivificati».

1Cor 15:31. «Siete il mio vanto, nel Messia Gesù, nostro Signore». 

1Cor 15:58. «State saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell’opera del Signore [Gesù], sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore [Gesù]».

1Cor 16:10. «Aquila e Prisca […] vi salutano molto nel Signore [Gesù]».

1Cor 16:22. «Il mio amore è con tutti voi nel Messia Gesù».

2Cor 2:14. «Grazie siano rese a Dio che sempre ci fa trionfare nel Messia».

2Cor 2:17. «Parliamo mossi da sincerità, da parte di Dio, in presenza di Dio, nel Messia».

2Cor 4:14. «Sapendo che colui che risuscitò il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù».

2Cor 5:14. «Uno solo [il Messia] morì per tutti, quindi tutti morirono».

2Cor 5:17. «Se dunque uno è nel Messia, egli è una nuova creatura».

2Cor 5:21. «Lo ha fatto diventare peccato per noi affinché diventassimo giustizia di Dio in lui».

2Cor 12:19. «È davanti a Dio, nel Messia, che parliamo».

2Cor 13:5. «Mettetevi alla prova. Non riconoscete che Gesù Messia è in voi Gesù in noi e noi in Gesù sono due modi che esprimono l’unità, più che il rapporto.

10.DA GESÙ COME MAESTRO A “SPOSO”

L’opera fatta nei credenti di Corinto è sintetizzata da Paolo con un’illustrazione ardita: «Vi ho fidanzati con un unico sposo, per presentarvi come una casta vergine al Messia» (2Cor 11:2). Un fidanzamento all’antica, cioè non visto come un periodo di prova dopo il quale decidere se trasformarlo in matrimonio. Infatti, prima veniva deciso il matrimonio e, in attesa di ultimarne i preparativi, i due giovani erano considerati “fidanzati”, che aveva il significato di “promessi sposi”, i quali continuavano a vivere separatamente, andando a convivere solo dopo le nozze.

Gesù, il «Figlio dell’uomo» annunciato da Daniele, sta preparando il suo regno universale ed eterno (Dan 7:13-14); quando sarà pronto, accoglierà in esso la sua sposa, cioè coloro con i quali si era già “fidanzato”. Due fidanzati hanno tanti progetti che desiderano realizzare, mille cose da condividere, un grande desiderio di stare insieme. L’analogia matrimoniale è presente anche in 1Corinzi 7:32-35, dove si considera che il credente desidera piacere al suo Signore Gesù in modo analogo che al coniuge naturale. Mentre in 1Corinzi 10:21-22 Gesù è visto come un fidanzato “geloso”, che con la propria fidanzata vuole una relazione esclusiva. Tutto questo non è però di facile comprensione.

Non è semplice collocare al giusto posto l’essere “fidanzati” di Gesù, armonizzandolo con altri aspetti molto più sottolineati da Paolo. Egli infatti non si definisce mai come “fidanzato” di Gesù, ma come missionario (apostolo) e servitore (per es. 1Cor 1:1; 3:5; 2Cor 11:23), di un Gesù considerato e presentato per lo più come “Signore” (2Cor 4:5). Il quadro complessivo, insomma, porta a pensare che è soprattutto la chiesa nel suo insieme ad essere considerata la “sposa” di Gesù, come incoraggia a fare l’Apocalisse (19:7; 21:9).

Più rilevante è che il rapporto fra un credente e Gesù nasce in un certo momento ed è incentrato sul suo essere Salvatore, con un “timore” verso Gesù simile a quello verso Dio Padre: «Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale del Messia, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male. Consapevoli dunque del timore che si deve avere del Signore [Gesù], cerchiamo di convincere gli uomini» (2Cor 5:10-11). Andando avanti, il rapporto con Gesù si sviluppa e matura. Nel Vangelo di Giovanni, per esempio, Gesù ad un certo punto precisa agli apostoli che avevano fatto bene a chiamarlo «Maestro e Signore». Lo afferma proprio quando si mette a lavare loro i piedi, iniziando al tempo stesso un rapporto di maggiore vicinanza (Giov 13:5). Poi li definisce «amici» (Giov 15:13-15) e infine «fratelli» (Giov 20:17).

Lo stesso contesto immediato di 2Corinzi 11:2 impedisce di vedere automaticamente la chiesa come una «casta vergine», un traguardo rispetto al quale i Corinzi erano molto indietro. Anzi, se consideriamo che la 2Corinzi è stata scritta da Paolo dopo un prolungato tempo di insegnamento, vediamo che quei credenti avevano innestato la retromarcia, anziché progredire. Infatti Paolo così prosegue: «Temo che, come il serpente sedusse Eva con la sua astuzia, così le vostre menti vengano corrotte e sviate dalla semplicità e dalla purezza nei riguardi del Messia. Infatti, se uno viene a predicarvi un altro Gesù, diverso da quello che abbiamo predicato noi, o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un vangelo diverso da quello che avete accettato, voi lo sopportate volentieri» (2Cor 11:3-4).

Un passo usato dalla chiesa per esaltare se stessa è Efesini 5:25-27: «Mariti, amate le vostre mogli, come anche il Messia ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l’acqua della parola, per farla comparire davanti a sé, gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile». Sono affermazioni certamente da non trascurare, ma spesso si dà per acquisito un traguardo finale non ancora raggiunto e verso il quale è necessario progredire con un costante impegno.

In ogni caso è chiaro l’invito ad un rapporto di amore e di dedizione totale del credente verso Gesù: «Se qualcuno non ama il Signore [Gesù], sia anatema» (1Cor 16:22-24); «Egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2Cor 5:15).

11.I CREDENTI IN GESÙ PREGAVANO GESÙ?

Con la prima Lettera ai Corinzi, Paolo si rivolge «alla chiesa di Dio che è in Corinto, ai santificati nel Messia Gesù, chiamati santi, con tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Messia, Signore loro e nostro» (1:2). I credenti sono definiti come «quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Messia»; una definizione che troviamo pure in Atti 9:14,21 e 2 Timoteo 2:22. “Invocare” significa rivolgere parole di preghiera, chiamare in soccorso; sembra allora che i cristiani avessero l’abitudine di pregare direttamente Gesù e questa conclusione è supportata da altre considerazioni.

Gioele aveva annunciato che «chiunque invocherà il nome di Javè sarà salvato» (2:32). Anche in Isaia, in Geremia e nei Salmi c’è l’invito a invocare Javè (Isa 55:6; Ger 33:3; Sal 32:6). Paolo cita Gioele 2:32 applicandolo a Gesù: «Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato […] Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c’è chi lo annunci? […] Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola del Messia» (Rom 10:9-17).

La conversione, perciò, sembra essere anche un iniziare ad invocare Gesù. Come si può ricavare dal fatto che Paolo fu invitato a battezzarsi «invocando» il nome di Gesù. Significativo è anche che Stefano, mentre veniva lapidato, «invocava Gesù» (Atti 22:16 e 7:59).

Inequivocabile è anche il racconto di Paolo in 2Corinzi 12:7-9, che abbiamo già considerato (par. 6/C) e dove chiede la liberazione da una malattia: «Tre volte ho pregato il Signore [Gesù] perché l’allontanasse da me».

12.RAPPORTI FRA GESÙ, IL PADRE E LO SPIRITO SANTO

A.Il Padre di Gesù è anche il suo capo e il suo Dio.

1Cor 3:23. «Voi siete del Messia; e il Messia è di Dio».

1Cor 11:3. «Voglio che sappiate che il capo di ogni uomo è il Messia, che il capo della donna è l’uomo, e che il capo del Messia è Dio».

1Cor 15:24-28. «Poi verrà la fine, quando [il Messia] consegnerà il regno nelle mani di Dio Padre […] Quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti».

2Cor 11:31. «Il Dio e Padre del nostro Signore Gesù […] sa che io non mento».

B.Unità e distinzione di Gesù con il Padre.

1Cor 1:9. «Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Messia, nostro Signore».

1Cor 1:30. «È grazie a Dio che voi siete nel Messia Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione».

1Cor 7:17. «Del resto, ciascuno continui a vivere nella condizione assegnatagli dal Signore [Gesù], nella quale si trovava quando Dio lo chiamò. Così ordino in tutte le chiese». 

1Cor 8:4-6. «Sappiamo che l’idolo non è nulla nel mondo, e che non c’è che un Dio solo. Poiché, sebbene vi siano cosiddetti dèi, sia in cielo sia in terra, come infatti ci sono molti dèi e signori, tuttavia per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Messia, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo».

1Cor 12:27-28. «Ora voi siete il corpo del Messia e membra di esso, ciascuno per parte sua. E Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli».

1Cor 15:57. «Ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù».

2Cor 1:1. «Paolo, apostolo del Messia Gesù per volontà di Dio».

2Cor 1:2-3. «Grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Messia. Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Messia» [parallelismo fra Dio come Padre di Gesù e Padre nostro].

2Cor 1:20. «Tutte le promesse di Dio hanno il loro “sì” in lui [Gesù]».

2Cor 4:4-6. «La luce del vangelo della gloria del Messia, che è l’immagine di Dio […] il Dio che disse: “Splenda la luce fra le tenebre”, è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Messia».

2Cor 5:18-20. «E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo del Messia […] Infatti Dio era nel Messia nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per il Messia, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome del Messia: siate riconciliati con Dio».

2Cor 8:5 «[I credenti della Macedonia] non soltanto hanno contribuito come noi speravamo, ma prima hanno dato se stessi al Signore [Gesù] e poi a noi, per la volontà di Dio.

2Cor 9:13. «La prova pratica fornita da questa sovvenzione li porta a glorificare Dio per l’ubbidienza con cui professate il vangelo del Messia».

2Cor 10:4-5. «Demoliamo i ragionamenti e tutto ciò che si eleva orgogliosamente contro la conoscenza di Dio, facendo prigioniero ogni pensiero fino a renderlo ubbidiente al Messia».

2Cor 12:19. «È davanti a Dio, nel Messia, che parliamo».

C.Unità e distinzione di Gesù con lo Spirito Santo.

1Cor 12:3. «Nessuno può dire: “Gesù è il Signore!” se non per lo Spirito Santo».

2Cor 3:16-18. «Quando si saranno convertiti al Signore [Gesù], il velo sarà rimosso. Ora, il Signore [Gesù] è lo Spirito; e dove c’è lo Spirito del Signore [Gesù], lì c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore [Gesù], siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione del Signore [Gesù], che è lo Spirito».

D.Versetti Trinitari.

1Cor 12:4-7. «Ora vi è diversità di doni, ma vi è un medesimo Spirito. Vi è diversità di ministeri, ma non v’è che un medesimo Signore [Gesù]. Vi è varietà di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti. Ora a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune».

2Cor 1:21. «Or colui che con voi ci fortifica nel Messia e che ci ha unti [con lo Spirito Santo, cfr. Atti 10:38], è Dio».

2Cor 3:3-6. «È noto che voi siete una lettera del Messia, scritta mediante il nostro servizio, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente […] Una simile fiducia noi l’abbiamo per mezzo del Messia presso Dio».

2Cor 13:13. «La grazia del Signore Gesù Messia e l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi».