Caro Fernando (23/2/18), nella mia chiesa locale c’è una sorella che si sta comportando in modo molto scorretto ma, nella rievocazione della cena del Signore, continua a prendere il pane e il vino. Io mi sento a disagio a condividere con lei i simboli che Gesù ci ha lasciato. Dio cosa ne pensa? Io sono un credente che non ha responsabilità di governo e non so cosa potrei fare. Lettera firmata.
RISPOSTA (25/2/18). Caro fratello, credo che dovresti cominciare da te stesso, per esaminare che tipo di rapporto hai con Dio. Gesù si mise accanto uno come Giuda, che era corrotto fin dall’inizio, dato che in Giovanni 6:70 Gesù allude a lui dicendo che «è un diavolo», non che «diventerà un diavolo». Dobbiamo certamente valutare quali comportamenti siano corretti e quali no, ma non possiamo valutare le persone, né tantomeno sentirci “più santi” di qualcun altro, perché solo Dio può valutare le coscienze.
Per sapere come Dio si comporta basta leggere le lettere alle sette chiese (Apo 2-3), dove si vede che Dio è paziente, ma poi se non c’è ravvedimento fa arrivare il suo giudizio. Ce ne possiamo rendere conto anche guardando a ciò che succedeva a Corinto, dove i responsabili della chiesa lasciavano correre, ma Dio puniva perfino di morte quelli che prendevano indegnamente i simboli del pane e del vino (1Cor 11:30).
Per questo un qualsiasi fratello che si comporta male deve suscitarci prima di tutto compassione e spingerci a fare cordoglio e a pregare per lui. Se poi è Dio a incaricarci di portargli una parola, ricordiamoci che dobbiamo stare al suo fianco e non sopra, facendogli percepire un amore più grande del rimprovero.
Teniamo infine sempre conto che non è la santità di chi ci sta intorno ciò che è determinante. Perché Gesù promette una grande intimità con lui, a quelli che riescono a sentire la sua voce nonostante vivano fra credenti disordinati, come quelli di Laodicea (Apo 3:20). Mentre Anania e Saffira fecero una brutta fine nonostante fossero in una chiesa eccellente (Atti 5:1-16). Dio ti guidi e rallegri. DAF.
REPLICA (3/3/18). Caro Fernando, in un primo momento ho ritenuto che la tua risposta fosse un po’ “scontata” , poi mi sono soffermata nei versetti 1Corinzi 11.30 e sul “richiamo” ad esaminarci prima di accostarci ai simboli, quindi ho dedotto che la partecipazione alla Santa Cena è un atto di responsabilità individuale, più che una “condivisione” fra credenti (come la considero erroneamente io). L’esame di noi stessi non deve quindi avere come fine quello di astenersi dalla cena, quanto piuttosto di confessare il proprio peccato, per realizzare la gioia e il perdono. Mi sono chiesta: dunque il peccato degli altri fratelli non ci riguarda? E se questo peccato è contro di noi? In Matteo 5:23 leggo: «Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e li ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia là la tua offerta davanti all’altare, e và prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta. E che dire di Efesini 4:26-31: «Il sole non tramonti sopra la vostra ira e non fate posto al diavolo […] perdonandovi a vicenda». Quindi le parti della riconciliazione devono essere due.
Sempre più mi convinco che la maggior parte dei peccati non derivano da una decisione consapevole di ribellarsi a Dio, ma hanno la loro origine nella nostra debolezza, in quanto siamo travolti dalle nostre emozioni e passioni, conoscere gli abissi del proprio cuore è difficile e penso che con la parola “esaminarci” si intenda questo. Ciò non ci giustifica ma può spiegare la negazione del peccato a noi stessi. Penso che anche i conduttori della Chiesa non devono trasformarsi in investigatori morali o giudici. Concludo con il Salmo 139:23-24: «Esaminami, o Dio, e conosci il mio cuore. Mettimi alla prova e conosci i miei pensieri. Vedi se c’è in me qualche via iniqua e guidami per la vita eterna».
RISPOSTA ALLA REPLICA (8/3/18). Matteo 5:23, a un certo punto l’ho compreso diversamente. Il caso lì descritto è quello nel quale sono io ad aver fatto un torto al fratello e allora, prima di rapportarmi con Dio, devo andare a chiedere perdono al fratello. Nel caso invece che ho subito un torto, posso rapportarmi tranquillamente a Dio semplicemente perdonando. Certo, è bene andare dal fratello e fargli presente che ci siamo sentiti offesi e che lo abbiamo perdonato, ma se lui non riconosce l’offesa fattaci è un problema suo, per stare tranquillo a me basta averlo perdonato e confidare che Dio farà la sua opera quando e come vorrà. DAF