di Fernando De Angelis
Massimo Bacci ha postato ieri sul mio profilo Facebook alcuni pensieri di papa Ratzinger, suppongo perché li ha trovati simili ai mie. Li ho espressi sia nel Convegno sulla ebraicità del Vangelo (S. Miniato di Pisa, 25/4/2016, vedere su YouTube), sia sul libro Ritornare al Vangelo di Pietro e Paolo. Note agli Atti degli apostoli, dal quale ho estratto questa scheda dalle pp. 17-18. (1/10/17).
All’inizio degli Atti si parla del regno di Dio e su di esso le idee sono spesso vaghe o imprecise, è allora necessario soffermarcisi brevemente. Cominciamo con il porre tre domande, in modo da orientare sulle questioni che si pongono.
- “Regno di Dio” è sinonimo di “regno dei cieli” e rimanda al cielo, dov’è Dio e dove andranno i credenti subito dopo la morte?
- “Regno di Dio” e “regno di Israele” sono due realtà collegate o separate?
- “Regno di Israele” ed evangelizzazione del mondo sono due realtà collegate o separate?
Come spesso succede, “regno di Dio” ha un significato già definito dall’Antico Testamento. In Esodo 19:6 Israele è infatti chiamato ad essere un regno di Dio. Al tempo dei Giudici, poi, Dio si considerava il “re invisibile” di Israele (1Sam 8:7). Il significato che “regno di Dio” ha nel Nuovo Testa-mento deriva però più direttamente da Daniele, che al posto del regno di Israele ormai finito, ne annuncia per il futuro un altro più glorioso (come al solito, quando un progetto di Dio sembra fallire, Dio lo rilancia più in alto).
Daniele vedeva davanti a sé cinque regni (cioè imperi, Dan 2:37-44; 7:17-27). Il primo era Babilonia, che Dio considerava inizialmente come al suo servizio (Ger 27:4-11). Il quarto impero sarebbe stato particolarmente malvagio, perché «i santi saranno dati nelle sue mani», ma poi «il regno il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo» (Dan 7:25-27). I “santi”, nel contesto di Daniele, sono rappresentati da un popolo d’Israele purificato, perciò “regno dei santi”, “regno di Dio” e “regno di Israele” tendono ad essere sinonimi.
Oltre ad annunciare questo quinto regno universale dei santi, Daniele dice qualcosa anche sul suo re, indicato come un “figlio d’uomo”, chiamato da Dio a presentarsi in cielo per ricevere l’investitura e al quale «furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà» (Dan 7:14).
Nei Salmi “messianici” viene tratteggiato un “Figlio di Davide” (Messia) simile al “Figlio dell’uomo” (cfr. Sal 2:2-8; 18:43-50; 72:8-17; 89:19-37; 110:1-2). Salomone, Figlio di Davide e Figlio di Dio (1Cro 28:6), anticipa in qualche modo il tipo di regno del suo discendente Gesù. Salomone dominò politicamente grossomodo nei confini della Terra Promessa ad Abramo; con un dominio culturale universale, dato che da tutto il mondo venivano ad ascoltare la sua saggezza (1Re 4:34); e con il Tempio che fu concepito come riferimento religioso per tutti i popoli (1Cro 16:23-31; 1Re 8:41-43).
Isaia, in 49:6, sintetizza così questa prospettiva: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe […] voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra». Fra le promesse del Padre che gli apostoli giustamente attendevano (Atti 1:4), c’era anche quella della ricostruzione della “tenda di Davide”, cioè del regno di Davide, come ribadito in Atti 15:16. Non è perciò per caso che Gesù, dopo la sua risurrezione, abbia messo al centro l’insegnamento sul “regno di Dio” (Atti 1:3). Anche perché, come espresso dal soprastante passo di Isaia e da molti altri, ripristino del regno di Israele ed evangelizzazione universale venivano visti come associati e inseriti poi in una presenza più diretta di Dio sulla Terra (regno di Dio). Ciò rende più comprensibile la risposta di Gesù in Atti 1:7-8, che conferma un ristabilimento del regno di Israele prima o poi, mettendo però come prioritario l’altro aspetto dell’opera di Dio, cioè l’evangelizzazione mondiale. Le promesse nazionali e quelle mondiali ad Abramo erano d’altronde strettamente collegate (Gen 12:1-3) e questa doppia prospettiva è presente anche in Romani 11:25-26.
Un biblista mi ha detto che la domanda sul regno di Israele, posta in Atti 1:6, riflette una mentalità giudaica negativa che i discepoli non avevano ancora superato. Riteneva cioè di capire il regno di Dio meglio degli apostoli scelti da Gesù e con i quali egli ne aveva parlato per ben 40 giorni, dopo essere risorto (Atti 1:4). Un modo di pensare che fa vedere le gravi conseguenze di una mentalità antigiudaica negativa, mostrando la differenza che c’è fra il leggere il Nuovo Testamento ignorando l’Antico, oppure il leggerlo alla luce dell’Antico.