IPOTESI INTERPRETATIVE PER IL VANGELO DI MATTEO
Dopo aver scritto il cap. 8 delle “Note al Vangelo di Matteo”, riguardanti i versetti 4:23-25, ho pensato di precisare altre similitudini di Gesù con i personaggi dell’Antico Testamento, oltre a quella con Mosè. Come riferimento principale ho preso il discorso di Stefano (Atti 7): dato che è descritto come un credente di una spiritualità straordinaria, non sorprende che il suo racconto della storia di Israele sia un modo implicito di parlare di Gesù. (25/5/17)
Elaborando le Note agli Atti, solo alla fine mi sono accorto della grande rilevanza del discorso di Stefano, al quale non a caso ho dedicato le ultime pagine. Stefano viene definito come «pieno di fede e di Spirito Santo», «pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni fra il popolo», «non potevano resistere alla potenza e allo Spirito con cui egli parlava» (Atti 6:5-10). Processato dal sinedrio, è stato onorato da Dio in modo speciale, all’inizio con il far apparire il suo volto come quello di un angelo (6:15), mentre alla fine Stefano ha visto la gloria di Dio e di Gesù, morendo lapidato mentre pregava per i lapidatori (Atti 7:59-60). Non c’è perciò da stupirsi che la sua predicazione agli ebrei abbia un significato profondo, seppur espresso in modo implicito a causa di un uditorio ostile. Quando Stefano ha raccontato la storia di Abramo, di Giuseppe e di Mosè, sembra evidente che abbia voluto mostrarne la somiglianza con Gesù, come ora vedremo.
Gesù appare così come “il nuovo Abramo”, il quale percorse la Terra Promessa avendo grandi prospettive, ma alla fine della vita non ne possedette «neppure un palmo» (Atti 7:5).
Gesù è “il nuovo Giacobbe”, i cui discendenti si moltiplicarono in terra straniera (Atti 7:17) formando 12 tribù distinte. Così come i discepoli di Gesù cresceranno grandemente di numero mentre sono in terra straniera ed essendo suddivisi in vari popoli.
Gesù è “il nuovo Mosè”, «capo e liberatore» di Israele che in un primo tempo è stato rifiutato (Atti 7:35), che poi ha condotto il popolo nella prova del deserto, in modo che maturasse e fosse così in grado di possedere la Terra Promessa. Anche la Chiesa deve ora attraversare il deserto di questo mondo ed è Paolo stesso che la mette in parallelo con l’Israele nel deserto (1Cor 10:1-11).
Al suo ritorno, Gesù (che nell’originale è un nome uguale a Giosuè) sarà “il nuovo Giosuè”, che realizzerà la profezia sul Figlio dell’uomo (Atti 7:56; Dan 7:13-14), dando al suo popolo universale il dominio sulla Terra (Mat 25:31-34; Apo 2:26-27; 20:4).
Prima di salire in cielo, Gesù ha spiegato ai suoi discepoli le molte cose presenti nell’Antico Testamento che parlano di lui (Luca 24:27,44-45). Mettere in parallelo Gesù con l’Antico Testamento dovrebbe perciò essere normale e non c’è da stupirsi che Stefano sia stato fra quelli che hanno meglio compreso la lezione.
In caso di contrasto, naturalmente, vanno adattate le ipotesi, non il senso del testo biblico.