Del presente studio ne è stata ricavata e diffusa una scheda di sole due pagine, in supporto alla relazione tenuta al Convegno sull’Apocalisse, tenutasi a Chianciano (Siena) nei giorni 1-2 ottobre 216, relazione ora messa su Youtube da EkklesiaTV Italia (https://www.youtube.com/watch?v=qulg5yjvkzg).

di Fernando De Angelis (1/11/16)

Scarica qui il file sul Discorso profetico

INDICE

1. Geremia: un falso profeta da salvare con una falsa interpretazione?

A. Il Nuovo Patto prima di Geremia, confermato poi da Ezechiele.

B. La lettera agli esuli come premessa del Nuovo Patto.

C. Adempimenti del Nuovo Patto: evidenze e problemi.

a. La collocazione “intermedia” di Geremia.

b. Esame logico dell’adempimento delle profezie di Geremia.

c. Non è logico esaminare logicamente le profezie.

2. Il discorso profetico di Gesù fra Geremia e Daniele.

3. Note panoramiche e premesse.

3. Breve commento alle varie sezioni. 

A. Capitolo 23.

B. Capitolo 24.

C. Capitolo 25

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1. GEREMIA: UN FALSO PROFETA DA SALVARE CON UNA FALSA INTERPRETAZIONE?

 

Riassumiamo qui quanto già ampiamente espresso nel Riassunto dell’Antico Testamento, edito da La Pietra angolare (2016).

 

A. Il Nuovo Patto prima di Geremia, confermato poi da Ezechiele.

 

Mosè aveva già scritto: «Il tuo Dio farà ritornare i tuoi dalla schiavitù […] il tuo Dio circonciderà il tuo cuore e il cuore dei tuoi discendenti» (Deu 30:3-6). Già Mosè collega un’opera di Dio “nel cuore” con il ritorno da una schiavitù che Israele si meriterà.

Israele è visto da Osea come una moglie infedele, che se n’è andata a vivere con un amante. Dio reagisce ripudiandola… ma poi non sopporta l’abbandono e allora afferma: «La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore […] tu mi chiamerai “Marito mio” […] ti fidanzerò a me per l’eternità» (Osea 2:8-23). Osea profetizzò nel Regno di Samaria, cioè circa un secolo e mezzo prima di Geremia, chiarendo che Dio non si sarebbe limitato a “riprendere in casa” la sua sposa adultera, ma avrebbe cominciato una relazione nuova a partire dal corteggiamento, da un nuovo fidanzamento e da una rinnovata sintonia coniugale.

Sia Michea (3:12) che Isaia (3:1; 5:4-7) misero in conto la distruzione di Gerusalemme, ma non la considerarono come la “fine della storia”, annunciandone un nuovo e più glorioso inizio. Isaia fra l’altro affermò: «Parlate al cuore di Gerusalemme e proclamatele che il tempo della sua schiavitù è compiuto […] Allora la gloria del Signore sarà rivelata e tutti, allo stesso tempo, la vedranno» (40:2-5; cfr. Michea 4:1).

Dato che Ezechiele rivolse la sua parola agli esuli in Babilonia, dove lui stesso si trovava, l’applicazione a quell’uditorio delle sue parole è inevitabile e va perciò riferita al successivo ritorno da Babilonia, descritto nel libro di Esdra. Ecco la promessa di Dio: «Vi farò uscire dalle nazioni […] vi aspergerò d’acqua pura e sarete puri […] vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo […] sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio» (Eze 36:24-28).

 

B. La lettera agli esuli come premessa del Nuovo Patto.

 

Quando si cita il Nuovo Patto di Geremia si va al capitolo 31, che però è parte di una sezione (capp. 30-33) che si collega strettamente al cap. 29, dove Geremia rassicura gli esuli a Babilonia che, dopo settant’anni, Dio li avrebbe fatti tornare. Il Nuovo Patto è perciò rivolto a quegli stessi esuli, con i quali nel futuro Dio non vuole soltanto ripristinare i vecchi rapporti risultati inefficaci, ma intende stabilirne uno più profondo. I destinatari del Nuovo Patto sono chiaramente indicati all’inizio della sezione: «Ecco, i giorni vengono in cui io riporterò dall’esilio il mio popolo» (Ger 30:3); tutta la sezione, poi, continua a richiamarsi a quei giorni precisati all’inizio (31:27,31,38; 33:14; cfr. anche 30:7-8; 31:1,6,29). Qualunque sia l’applicazione che se ne fa nel Nuovo Testamento, il primo riferimento del Nuovo Patto di Geremia è al ritorno da Babilonia.

In 29:10-14 Dio promette agli esuli che, al loro ritorno, li avrebbe benedetti, stabilendo un rapporto di rinnovato amore: «Voi mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il vostro cuore». Come d’altronde aveva già anticipato in 24:5-7: «Quelli di Giuda che ho mandati da questo luogo in esilio […] li ricondurrò in questo paese; li stabilirò fermamente […] Darò loro un cuore per conoscere me che sono il SIGNORE; saranno mio popolo e io sarò loro Dio, perché si convertiranno a me con tutto il loro cuore». Un altro esempio che anche a Dio piace fare i riassunti di ciò che esprime più ampiamente in altre parti.

L’esposizione dettagliata del “nuovo progetto complessivo per il dopo esilio” è nei capitoli 30-33, dove si manifesta ancora una volta il desiderio di chiarezza di Dio, che prima precisa tutto in due capitoli (30-31), utilizzando i due successivi (32-33) per rinforzare quanto già esposto.

 

C. Adempimenti del Nuovo Patto: evidenze e problemi.

 

a. La collocazione “intermedia” di Geremia.

 

Geremia non solo profetizzò circa un secolo dopo Isaia, ma applicò il quadro generale disegnato da Isaia alle sue circostanze; mentre dal confronto con due profeti posteriori (Zaccaria, Malachia) si può cogliere come e quanto si siano adempiute le sue profezie. In Isaia la descrizione del futuro contiene sia parti facilmente comprensibili sia altre parti di difficile immaginazione, come per esempio il fatto che il leone diventerà erbivoro (Isa 11:7) e quella complessa figura del “Servo del Signore”: che è contemporaneamente sconfitto e vittorioso, che è un singolo individuo ma anche il popolo (vedere Riassunto dell’AT,  cap. 35/1). Invece il quadro profetico di Geremia 30-33 è chiaro e la sua realizzazione è in tempi che risultano interni all’Antico Testamento, perciò si può controllare come si sia poi adempiuto e quanto sia adeguato il nostro modo di analizzare le profezie.

 

b. Esame logico dell’adempimento delle profezie di Geremia.

 

Geremia annunciò un ritorno dall’esilio che avrebbe riguardato solo un “residuo”, ma comunque molto numeroso (31:7-8); si sarebbe poi riattivato il servizio sacerdotale nel Tempio (31:14; 33:18-22), ricostruita Gerusalemme e ripopolate sia la Giudea che la Samaria (31:5,38; 32:44; 33:9-13).

Leggendo i libri di Esdra e Neemia, si può notare come tutto ciò sia effettivamente avvenuto ed un riscontro lo troviamo pure nei Vangeli, che descrivono Gerusalemme come una città viva, con un Tempio funzionante e con una popolazione ebraica insediatasi non solo intorno a Gerusalemme, ma anche in zone lontane come la Galilea.

Tutto ciò è visto in Geremia come un processo irreversibile: «Non saranno più ridotti a pochi […] non saranno più avviliti»; «Saranno consacrati al SIGNORE e non saranno più sconvolti né distrutti, per sempre» (30:19; 31:40; cfr. 32:39). Sei secoli dopo il rientro promosso da Ciro (538 a.C.), cioè nel 70 d.C., i Romani invece avrebbero distrutto e deportato in modo simile a quanto fatto dai Babilonesi, come se tutto fosse tornato al punto di partenza.

Altre profezie riguardavano la dinastia di Davide: «Serviranno il SIGNORE, il loro Dio, e Davide loro re, che io susciterò loro»; «chi li dominerà uscirà di mezzo a loro» (30:9,21). «Farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia […] non verrà mai meno a Davide chi sieda sul trono della casa d’Israele» (33:15-17).

Queste profezie si erano cominciate a realizzare in modo promettente, cioè quando un primo gruppo era tornato dall’esilio sotto Zorobabele (Esdra 2-6), che era un discendente di Davide (1Cro 3:19) e che fu governatore di Giuda (Aggeo 1:1). Zorobabele, però, è l’ultimo “Figlio di Davide” messo in evidenza dall’Antico Testamento, poi il potere politico passò a Neemia e infine ad un collegio di persone ragguardevoli (Neemia 9:38). Tutti costoro, poi, non arrivarono mai ad una piena autonomia politica, essendo subordinati all’imperatore, come si vede sia nei libri di Esdra e Neemia, sia nei Vangeli.

La dinastia di Davide, insomma, fu ripristinata solo per breve tempo e in modo incompleto, così Israele non tornò mai ad una piena indipendenza; perdendo infine anche la limitata autonomia per opera dei Romani. Israele ha riottenuto una piena autonomia politica, sorprendendo il mondo, solo quasi due millenni dopo, con l’attuale Stato d’Israele (1948), che però non è guidato da un discendente di Davide, dato che della sua linea genealogica si è persa la traccia.

Ci sono infine altre straordinarie promesse da considerare: «Io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò nel loro cuore […] tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande» (31:33-34). «Darò loro uno stesso cuore […] metterò il mio timore nel loro cuore» (32:39-40).

Qualcosa effettivamente si realizzò al tempo di Zorobabele. I Leviti «si presentarono come un sol uomo per dirigere quelli che lavoravano alla casa di Dio […] e tutto il popolo, gridando di gioia, lodava il SIGNORE» (Esdra 3:8-11). «Il SIGNORE risvegliò lo spirito di Zorobabele […] e lo spirito di tutto il resto del popolo; essi vennero e cominciarono a lavorare nella casa del SIGNORE» (Aggeo 1:14). «È questa la parola che il SIGNORE rivolge a Zorobabele: “Non per potenza, né per forza, ma per lo Spirito mio”, dice il SIGNORE» (Zac 4:6).

Anche nel ripristino della funzionalità del Tempio promossa da Esdra (Esdra 7-10) e nella ricostruzione delle mura di Gerusalemme operata da Neemia, si può intravedere un’assistenza di Dio, anche se qua e là si notano varie debolezze. Per esempio, ci vollero gli stimoli di Aggeo per scuotere dal torpore spirituale un popolo dove ciascuno poneva al centro se stesso, senza preoccuparsi della ricostruzione del Tempio (Aggeo 1:4). Qualche tempo dopo, all’arrivo di Neemia, c’era una situazione nuovamente degradata, che è così descritta: «I superstiti della deportazione sono là, nella provincia, in gran miseria e nell’umiliazione; le mura di Gerusalemme restano in rovina e le sue porte sono consumate dal fuoco» (Neemia 1:3). Il quadro più triste, però, lo dipinge l’ultimo profeta, cioè Malachia, che descrive un popolo che torna a non capire la parola che Dio gli rivolge, fino a contestarla (Mal 1:2,6-7,12-13; 2:14-17; 3:7-8,13-14). Insomma, anziché una rinnovata sintonia fra Dio e il suo popolo che sarebbe durata per sempre (Ger 32:39-40; 50:5), si torna ad un Israele che si allontana di nuovo da Dio.

Pur nella sua debolezza, comunque, Israele avrebbe continuato a testimoniare efficacemente del suo Dio, al punto da insediare sinagoghe in tutto il bacino del Mediterraneo ed anche all’esterno di esso (per es. Golfo Persico ed Etiopia). La storia comunque non finisce con l’Antico Testamento: certamente non per i cristiani, ma neppure per gli Ebrei, i quali restano ancora fortemente sulla scena. Perciò non affrettiamoci a fare bilanci, dato che Dio è in grado di sorprenderci ancora con qualcosa che nemmeno immaginiamo.

In ogni caso, se ci basiamo su un esame logico delle profezie di Geremia riguardanti Israele, ne dobbiamo trarre la conclusione che alcune non secondarie sono risultate false. Gli interpreti della Bibbia, però, risolvono facilmente il problema, affermando che Geremia non voleva dire ciò che i suoi ascoltatori capirono, ma si riferiva a qualcosa che sarebbe avvenuto secoli e millenni dopo. Insomma, per non dover concludere che Geremia risulta essere almeno in parte un falso profeta, ne danno tranquillamente un’interpretazione non rispettosa del contesto. Rifiutando questo modo poco serio di risolvere il problema, abbiamo cercato altre soluzioni, che ci sembrano plausibili e che ora esponiamo.

 

c. Non è logico esaminare logicamente le profezie.

 

L’insufficienza di un esame solo logico-razionale delle profezie è data anche dal fatto che, spesso, sono in qualche misura implicitamente “condizionate”, nel senso che il loro adempimento dipende anche dal comportamento umano e dal verificarsi di certe condizioni. Per esempio, la profezia di Giona su Ninive (Giona 3:4) aveva lo scopo (non esplicito) di suscitare un pentimento e quindi di non realizzarsi.

Le profezie di Dio, insomma, si realizzano nei modi di Dio, nei tempi di Dio e nella libertà di Dio, come si può vedere anche nel caso di Abramo, al quale Dio prima disse: «Tutto il paese che vedi lo darò a te e alla tua discendenza, per sempre» (Gen 13:15). Ciò portava a pensare che per Abramo e per la sua discendenza i “tempi d’oro” fossero già cominciati; poi però Dio lo avvertì che la strada per arrivare al traguardo avrebbe fatto delle deviazioni in una direzione apparentemente opposta: «Sappi per certo che i tuoi discendenti dimoreranno come stranieri in un paese che non sarà loro: saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni» (Gen 15:13).

La lettura logico-razionale ci porta facilmente ad errare per il motivo che le profezie vanno ascoltate, non lette. Il libro di Geremia, infatti, comincia precisando le circostanze di tempo e di luogo nelle quali lui parlò ai suoi contemporanei, non dovremmo perciò fare l’errore (anche se è facile caderci) di considerare il libro di Geremia come se fosse stato scritto per noi. Noi, leggendo Geremia, abbiamo l’impressione che le sue profezie si siano avverate limitatamente, ma se ci mettiamo nei panni di chi lo ascoltò, allora ci apparirà in tutt’altra ottica. I giovani si dovrebbero essere sentiti molto fortunati dell’aver ascoltato Geremia, che per loro “non ne aveva sbagliata una”. Per esempio, Geremia avvisò i suoi contemporanei che Dio stava dalla parte di Nabucodonosor e che perciò bisognava arrendersi ai Caldei (Ger 27:12): chi lo fece ebbe salva la vita, gli altri furono uccisi o maltrattati. A Babilonia c’era chi stava con un piede alzato, sperando di poter tornare da un momento all’altro nella propria terra, ma Geremia li avvisò che sarebbero stati a Babilonia fino al settantesimo anno di Nabucodonosor (Ger 29:10): chi gli credette si mise tranquillo e prosperò.

Dopo settant’anni, però, Babilonia sarebbe stata distrutta e allora Geremia informò il popolo lì residente che sarebbe dovuto fuggire (50:8-9; 51:6,45): chi gli credette avrà venduto in anticipo gli immobili e sarà stato pronto per andarsene al primo avvicinarsi del pericolo. Tornati nella terra d’Israele, Geremia li informò che Dio desiderava tenerceli per sempre, così cercarono di impiantarsi solidamente e, effettivamente, per molte generazioni continuarono a restare lì. A quelli che ascoltarono, ciò che sarebbe successo nei tempi lontanissimi interessava poco.

Quelle speranze suscitate da Geremia e che risultarono eccessive, forse riflettevano ciò che Dio sarebbe stato pronto a fare, se ci fosse stata una corrispondenza da parte del popolo. Quelle speranze un po’ sopra le righe avevano comunque svolto una funzione positiva, dando quell’entusiasmo necessario per lanciarsi nell’avventura e, per i contemporanei di Geremia, non si trattò di speranze ingannevoli, perché essi videro effettivamente delle cose meravigliose (il riformarsi del popolo, del Tempio, di Gerusalemme…).

Per concludere, i profeti si concentrarono sulle esigenze pratiche dei contemporanei, non sulle curiosità degli intellettuali dei secoli successivi!

 

  1. IL DISCORSO PROFETICO DI GESÙ FRA GEREMIA E DANIELE

 

Gesù, come tutti i profeti, si radicò in quelli precedenti: nel suo insegnamento, infatti, ha ripreso molto da Isaia, mentre nel discorso profetico si è posto in modo simile a Geremia, relazionandosi continuamente con Daniele. Sintetizziamo in uno schema i rapporti di Gesù con Geremia e Daniele.

 

  GEREMIA GESÙ
1 Profetizza alla vigilia della distruzione del primo Tempio. secondo Tempio.
2 L’obiettivo primario è di far scampare i credenti dalla spada di Babilonia, perciò su questo è molto preciso. dalla spada di Roma
3 Sul futuro che va oltre gli ascoltatori è vago. Idem.
4 Emergere delle sinagoghe (che affiancano il Tempio) legittimate dalla lettera agli esuli a radicarsi sul territorio. Emergere delle sinagoghe di Gentili aperte agli Ebrei (chiese), che da Atti 10 affiancano le sinagoghe di Ebrei aperte ai Gentili.
5 Il fallimento di Israele non ostacola la crescita numerica dei credenti (sinagoghe nelle varie nazioni). Idem. Da 120 discepoli prima di Atti 2 a decine di migliaia, da Gerusalemme a Roma.
6 Nuovo Patto di Dio con coloro che tornano dall’esilio. Nuovo Patto di Gesù con i discepoli
7 La distruzione del primo Tempio da parte di Babilonia era stata decisa da Dio e perciò andava accettata. La distruzione del secondo Tempio da parte di Roma
DANIELE GESÙ
1 Primo impero pagano (Babilonia) inizialmente positivo, poi feroce persecuzione ad opera del quarto impero, al quale seguirà il regno di Dio. Impero romano all’inizio visto positivamente, poi progressiva degenerazione dell’umanità e odio mondiale per i cristiani, che precedono la seconda venuta (Mat 24:1-14).
2 Regno finale del “Figlio d’uomo”, che sale sulle nuvole per ricevere l’investitura di re universale (Dan 7:13-14). Gesù è il “Figlio dell’uomo” che scenderà sulle nuvole per dominare su tutte le tribù (Mat 24:30).
3 Separazione eterna fra saggi e stolti (Dan 12:2). Separazione eterna di pecore e capri (Mat 25:32-46).

 

  1. NOTE PANORAMICHE E PREMESSE

 

CAPITOLO 24 UNITO AL 23 E AL 25. Nel Vangelo di Matteo, per “Discorso profetico di Gesù” si intende di solito solo il cap. 24, ma esso prosegue senza interruzione per tutto il capitolo 25, mentre il capitolo 23 ne è la premessa e l’anticipo. Noi perciò prenderemo in considerazione tutti e tre i capitoli 23-25.

PRECISIONE SUL BREVE PERIODO, NON SUL FUTURO LONTANO. Come per Geremia, l’obiettivo centrale è per Gesù quello di far scampare gli ascoltatori dall’imminente distruzione di Gerusalemme, perciò vengono a loro dati dei precisi e memorizzabili elementi da tenere presenti per prendere la decisione giusta, mentre sugli avvenimenti di tempi che vanno oltre la vita dei contemporanei, il discorso si fa parziale e vago. Perché il dovere di un profeta è soprattutto quello di dare indicazioni adeguate fino al profeta successivo, che nel caso di Gesù è rappresentato dagli apostoli in genere (Lettere) e in modo specifico dall’Apocalisse, che può e deve essere vista come il “commento e l’interpretazione di Dio” al discorso profetico di Gesù.

L’UNITÀ LOGICA FRA CROCIFISSIONE, DISTRUZIONE DEL TEMPIO E FINE DEL MONDO. Gesù, nel Vangelo di Giovanni, paragona se stesso al Tempio, stabilendo una connessione fra la sua crocifissione e la distruzione del Tempio (Giov 2:19); nella sezione profetica di Matteo 23-25 questa connessione è soprattutto implicita e ad essa si aggiunge quella fra distruzione del Tempio e fine del mondo. Rifiutando la luce di Gesù (Giov 1:10-11), il mondo e il popolo ebraico non possono che avviarsi alla distruzione, ma fra mondo e popolo ebraico non sarà simile solo la fine, bensì anche il modo nel quale ci arriveranno (persecuzione dei credenti in Cristo, degradazione, guerra di tutti contro tutti).

LA PROFEZIA NON ANNULLA LA STORIA. La profezia non è come vedere l’ultima parte di una pellicola e così sapere come va a finire un film già fissato, perché nella Bibbia la sovranità di Dio non annulla la libertà dell’uomo e Dio stesso si prende la libertà di riconsiderare precedenti decisioni. Per esempio, Pietro affermò che la morte del Messia era profetizzata, ma questo non eliminava la responsabilità dei suoi uccisori (Atti 2:23; 3:18). La condanna delle città della Galilea (Mat 11:20-24) implica che Gesù aveva fatto il possibile per essere accettato come Messia, anche se la sua morte era profetizzata.

La profezia non annulla la storia, non la rende finta o truccata. Anzi la storia può arrivare addirittura ad annullare la profezia; come nel caso di Giona, quando annunciò che Ninive sarebbe stata distrutta dopo 40 giorni, cosa che poi non successe (Giona 3:4-10).

Paolo aveva ben chiaro questo rapporto quando, a quelli che navigavano con lui, trasmise la profezia che si sarebbero tutti salvati (Atti 27:21-25); di fronte ad un loro successivo comportamento incoerente, Paolo non ribadì che la profezia si sarebbe adempiuta in qualsiasi caso, ma che le loro scelte incoerenti l’avrebbero annullata, mentre quelle coerenti (Atti 27:30-36) avrebbero contribuito alla sua realizzazione.

La prova che il discorso profetico di Gesù sia da considerarsi condizionato è che Pietro, all’inizio degli Atti, si rivolse ai Giudei invitandoli ad un pentimento che avrebbe evitato l’ira di Dio (Atti 3:17-26). Solo con la successiva predicazione di Stefano viene espressa la inevitabilità della catastrofe (Atti 7:51-53).

LA STORIA È IN SÉ PROFETICA. Per la mentalità occidentale, storia e profezia riguardano l’una il passato e l’altra il futuro. Nella Bibbia, invece, ciò che è successo (storia) riflette un Dio che non cambia e perciò è di per sé anche un annuncio del futuro. Un esempio chiaro è nello stesso discorso profetico di Gesù: «Come fu ai giorni di Noè, così sarà alla venuta del Figlio dell’uomo» (Mat 24:37). Fra i fatti del passato e quelli del futuro non saranno certamente uguali i dettagli, ma gli schemi di fondo tendono a ripetersi.

Se non teniamo presente questo principio, l’interpretazione di certe profezie dell’Antico Testamento risulterà del tutto inadeguata. Per esempio, ci sono profezie che si sono realizzate prima di Cristo e che perciò sono diventate storia: quando il Nuovo Testamento le applica a Cristo non significa che quelle profezie si riferivano direttamente a lui; gli studiosi parlano di “riadempimento della profezia”, ma in realtà si tratta del “riadempimento della storia”. Così si spiega, per esempio, perché Matteo consideri la strage di Ebrei fatta dagli Assiri nel regno di Samaria (2Re 17:6; cfr. Ger 31:15) come profetica della strage dei neonati operata da Erode (Mat 2:16-18); oppure veda il racconto storico dell’uscita di Israele dall’Egitto (Osea 11:1) come profetico della parallela uscita di Gesù (Mat 2:15).

A CHE PUNTO È L’EVANGELIZZAZIONE DEL MONDO? Se consideriamo le nazioni che allora erano culturalmente connesse, cioè il bacino del Mediterraneo e le aree ad esso collegate, si può considerare che una prima evangelizzazione del mondo si era già realizzata in tempi apostolici, dato che Paolo aveva portato il Vangelo nel centro culturale (Atene) e in quello politico (Roma) di quel mondo. Una valutazione simile è in qualche modo lo stesso Nuovo Testamento a farla, come si può ricavare da alcuni passi: questo è uno dei motivi che faceva ritenere possibile un ritorno di Cristo fin dai tempi apostolici (Giov 21:21-23).

Atti 2:5. Prima predicazione rivolta a «uomini religiosi di ogni nazione che è sotto il cielo».

Romani 1:8. La fede di quelli di Roma era già «divulgata in tutto il mondo».

Romani 15:23. Sembra che Paolo considerasse di aver evangelizzato già tutto l’Oriente.

Colossesi 1:6. Il Vangelo portava frutto e cresceva già «nel mondo intero».

1Timoteo 3:16. Cristo «è stato predicato fra le nazioni, è stato creduto nel mondo».

STRUTTURA CICLICA. Una caratteristica non trascurabile è che Gesù usa la tipica struttura ciclica dei profeti, con la quale viene prima riassunto il senso generale del messaggio, per poi approfondire alcuni aspetti. Anche Matteo, come scrittore, usa un approccio ciclico, dato che il capitolo 23 è cronologicamente separato dal 24, ma il suo contenuto introduce già una prima panoramica profetica.

Considerando l’insieme dei capitoli 23-25, si possono individuare le seguenti sezioni:

23:1-33. Motivazioni morali della imminente catastrofe;

23:34-36. Prima anticipazione escatologica («Tutto ciò ricadrà su questa generazione»);

23:37-39. Seconda anticipazione escatologica («Non mi vedrete più finché…»);

24:1-3. Gesù risponde a due domande: distruzione del Tempio e fine di quel mondo al suo ritorno;

24:4-14. Riassunto complessivo e inequivocabile di Gesù su ciò che accadrà fino al suo ritorno.

24:15-28. Primo approfondimento “problematico” (collegamento con Daniele e grande tribolazione).

24:29-35. Secondo approfondimento “problematico” (sole che si oscura e stelle che cadono). «Questa generazione non passerà prima che tutte queste cose…».

24:36-51. Prima esortazione alla vigilanza («Nell’ora che non pensate…»).

25:1-13. Seconda esortazione alla vigilanza (parabola delle dieci vergini).

25:14:30. Terza esortazione alla vigilanza (parabola dei talenti).

25:31-34. Riaffermazione del ritorno finale di Gesù e della instaurazione del suo regno.

25:35-45. Criteri per la separazione dei giusti dagli ingiusti.

25:46. Riaffermazione del traguardo finale già delineato da Daniele (eterna separazione fra giusti e ingiusti).

 

4. BREVE COMMENTO ALLE VARIE SEZIONI

 

A. Capitolo 23.

 

23:1-33. Cause morali della imminente catastrofe.

Le condanne qui espresse non coinvolgono solo gli scribi e i farisei, ma essendo essi le guide del popolo, la loro condanna radicale e definitiva non può che coinvolgere tutto Israele. Che questa condanna sia una premessa al discorso profetico si può vedere nel fatto che non è solo un’analisi della situazione, ma anche l’annuncio di un imminente giudizio, presente nella seguente espressione che fa da ritornello: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti».

 

23:34-36. Prima sintesi escatologica («Tutto ciò ricadrà su questa generazione»).

Il legame più forte fra questo capitolo e il successivo è che in ambedue è annunciato il giudizio sulla generazione che stava ascoltando (cfr. 24:34).

Siccome ai più sembra che quanto annunciato da Gesù non si sia verificato entro quella generazione, per non concludere onestamente che la profezia ha fallito, si inventano fantasiose interpretazioni. Per esempio «questa generazione» sarebbe quella che sperimenterà la «grande tribolazione» (24:21), oppure sarebbe la generazione di peccatori alla quale anche noi apparteniamo. Bisogna però chiedersi cosa capirono gli ascoltatori e, per fare un caso analogo, cosa capirono gli ascoltatori di Pietro quando disse loro: «Salvatevi da questa perversa generazione» (Atti 2:40).

Se una profezia ci appare falsa, dobbiamo riesaminare il nostro modo di comprenderla, senza illuderci di poterla rendere accettabile attraverso una falsa interpretazione.

 

23:37-39. Seconda anticipazione escatologica («Non mi vedrete più finché…»).

«Gerusalemme, Gerusalemme». Dall’Esodo in poi, la storia si era prima incentrata sulle dodici tribù di Israele e poi sulla tribù di Giuda, ma già dal tempo dei profeti Gerusalemme rappresentava sempre più tutto Israele. Gesù adottò questo sviluppo, che ritroviamo poi anche in Apocalisse (11:8; 21:9-26).

«La vostra casa sta per esservi lasciata deserta». Annuncio della distruzione di Gerusalemme.

«FINCHÉ…». La distruzione di Gerusalemme non sarebbe stata la fine della sua storia, ma solo una parentesi che primo o poi si chiuderà, per lasciare il posto ad una ritrovata sintonia fra Gesù e la sua città.

 

B. Capitolo 24.

 

24:1-3. Le due domande specifiche alle quali Gesù risponde con il discorso profetico: distruzione del Tempio e fine di quel mondo al suo ritorno.

Abbiamo considerato che, per Gesù, la sua crocifissione, la distruzione del Tempio e la fine di questo mondo erano connesse logicamente: con la distruzione del mondo che si realizzerà in modo simile a quella di Gerusalemme. Crediamo che sia per questi motivi che, nel discorso profetico, non sia a volte facile distinguere se si stia parlando della fine di Gerusalemme o di quella del mondo, quando probabilmente si riguarda entrambe.

 

24:4-14. Riassunto complessivo e inequivocabile di Gesù su ciò che accadrà fino al suo ritorno.

In questa prima parte della sua risposta, Gesù delinea una progressione degli eventi giungendo ad una fine che, tenendo conto della domanda del v. 3, significa la fine di questo mondo e il suo ritorno. Questo quadro complessivo iniziale è una bussola, che consenta di orientarsi sulla collocazione degli altri elementi che poi Gesù aggiungerà, permettendo di distinguere fra l’essenziale e i successivi dettagli, che possono pure essere importanti, ma che comunque vanno inseriti e subordinati al disegno di base già tracciato.

C’è da chiedersi allora perché, spesso, le discussioni sulle profezie fra credenti cominciano dai dettagli e trascurano il quadro generale tracciato con chiarezza da Gesù? Rispettare la rivelazione biblica non significa solo rispettare un certo testo, ma anche collocarlo dove la Bibbia lo colloca. Il concetto di “grande tribolazione” si trova nel passo successivo (v. 21) e del rapimento in cielo dei credenti non c’è traccia: eppure molte discussioni fra “esperti” cominciano con l’esprimere la propria scelta su una “grande tribolazione” che ci dovrebbe essere prima (o dopo) il supposto rapimento in cielo, con alcuni pronti a rompere la collaborazione con chi ha una veduta non coincidente con la propria, svalutando così la convergenza sull’essenziale.

In questi versetti Gesù delinea un progressivo deteriorarsi del mondo, fino ad una guerra di tutti contro tutti, in un’umanità sempre più soggiogata da falsi Cristi e falsi profeti. Parallelamente e paradossalmente anche il Vangelo progredirà e si espanderà a tutti i popoli, con un’umanità degradata che odierà sempre più i credenti in Cristo, rendendo sempre più difficile l’essere veri cristiani. La piena luce del ritorno di Gesù arriverà nella mezzanotte morale, cioè proprio quando la malvagità sarà massima, come ancora più esplicitamente detto in 2Tessalonicesi 1:8.

Per gli ascoltatori era facile cogliere il parallelismo con la venuta del Figlio dell’uomo/Messia profetizzata da Daniele; su Daniele ci torneremo, perciò ora ci limitiamo a citarne solo un versetto: «Quando la forza del popolo santo sarà interamente spezzata, allora queste cose si compiranno» (12:7; cfr. 7:25-27).

24:15-28. Primo approfondimento “problematico” (collegamento con Daniele e grande tribolazione).

Il v. 15 richiama Daniele 11:31, con un inciso: «Chi legge faccia attenzione!», rivolto evidentemente non da chi parlava agli ascoltatori (Gesù), ma di chi ha scritto ai lettori (Matteo); infatti, mentre gli ascoltatori di Gesù conoscevano Daniele e ci ponevano mente in modo spontaneo, noi lettori abbiamo in genere bisogno di essere esortati a farlo… e spesso non lo facciamo, o lo facciamo male. Andiamo dunque a dare un’occhiata al passo di Daniele.

Il re del settentrione, cioè dell’attuale Siria, «riverserà la sua ira contro il patto santo […] per suo ordine, delle truppe si presenteranno e profaneranno il santuario, la fortezza, sopprimeranno il sacrificio quotidiano e vi collocheranno l’abominazione della desolazione» (Dan 11:28-31). Nel Riassunto dell’AT (cap. 23) abbiamo visto che il libro di Daniele ha una struttura ciclica, che si va concentrando sempre più sul periodo che precede il “quinto regno”, cioè il regno di Dio. È opinione condivisa, e ce n’è una conferma storica, che il passo di Daniele si riferisca ai dominatori greci della Terra Promessa, che cercarono di distruggere la fede ebraica e l’uso del Tempio. Uccisero molti Ebrei, ma i Maccabei organizzarono una reazione che ebbe alla fine successo e che portò alla riconsacrazione del Tempio, istituendo la specifica festa “della Dedicazione”, non prevista da Mosè ma alla quale Gesù volle partecipare (Giov 10:22).

Quando Gesù lo cita, i più suppongono che lì ci sia una profezia che doveva ancora realizzarsi, mentre Gesù ne cita una già realizzatasi, affermando così un concetto “sorprendente”, cioè che i fatti della sua prima venuta andavano considerati come profetici della sua seconda venuta. Di questo uso che Gesù fa di Daniele spesso non c’è coscienza, ma è essenziale per comprendere l’Apocalisse, che invece lo adotta su larga scala (vedere il mio libro La struttura fondamentale dell’Apocalisse, La Pietra angolare, 2016).

 

Molte discussioni si accendono sul concetto e sulla collocazione della grande tribolazione citata nel v. 21 e ripresa in Apocalisse 7:14: discussioni a nostro avviso per lo meno esagerate. Una delle questioni più dibattute è se la grande tribolazione ci sarà prima o dopo il rapimento in cielo della chiesa: avendo noi la certezza che, dopo il rapimento sulle nuvole (2Tes 4:17), accompagneremo il Signore sulla Terra a regnare escludendo una salita della chiesa in cielo, il dibattito posto in questi termini ci sembra perciò biblicamente surreale e crediamo che sia per questo che dalla Bibbia non si può ricavare nessuna risposta oggettiva.

Bisogna poi non dimenticare la struttura ciclica del racconto di Matteo 23-25, con il riassunto complessivo rappresentato da 24:4-14, dove Gesù descrive una progressione, non una discontinuità, con la persecuzione che arriverà ad essere generalizzata alla fine (v. 9-11) e dopo la quale giungerà la salvezza, senza quell’intermezzo fra grande tribolazione e regno di Cristo che nel testo in esame non c’è, ma che è necessario adottare se si suppone il rapimento in cielo della chiesa.

La ciclicità non riguarda solo il modo di raccontare la storia, ma la storia stessa, perché la seconda venuta di Cristo è annunciata come simile alla sua prima venuta. Questa ciclicità della storia è sinteticamente espressa in 1Giovanni 2:18: «L’anticristo deve venire, e di fatto già ora sono sorti molti anticristi». Applicato al nostro caso, potremmo dire: «Siccome la grande tribolazione finale deve venire, già dal tempo apostolico si sono manifestate forti tribolazioni». Chiediamoci: i cristiani dati in pasto ai leoni nel Colosseo, credevano che sarebbero stati rapiti in cielo prima della grande tribolazione, o che invece fossero già nella grande tribolazione? Discorso analogo dovremmo farlo per i cristiani che sono nei territori controllati dal radicalismo islamico e dei quali ci ricordiamo troppo poco, sottoposti proprio ai nostri giorni a sofferenze indicibili. Chi è nella tribolazione la vive come qualcosa di grande, perciò illuderci che ne saremo esenti, senza soffrire con chi soffre, significa adagiarsi in un cristianesimo da salotto estraneo al Nuovo Testamento.

La struttura ciclica del racconto è ben evidente nel fatto che questo brano (24:15-28) riprende temi già introdotti in quello precedente (24:4-14). Oltre alla tribolazione già vista (24:9 in cfr. a 24:21), c’è l’annuncio dell’apparire di falsi cristi (24:5 in cfr. a 24:23-26) e di falsi profeti (24:11 in cfr. a 24:24), concludendo ambedue con la fine di questo mondo e il ritorno di Cristo (24:14 in cfr. a 24:27).

Il chiarimento sul suo ritorno pubblico dato da Cristo in questo brano lo fa assomigliare al lampo e lo distingue da una sua attuale presenza segreta, registrata già negli Atti degli apostoli e affermata altrove (Mat 28:21; Giov 14:19; Atti 9:5; 22:18; 26:16; Apo 3:20).

Il versetto 28 risulta enigmatico: «Dovunque sarà il cadavere, lì si raduneranno le aquile». Non avendo una spiegazione adeguata, ci limitiamo a confessare la nostra lacuna.

 

24:29-35. Secondo approfondimento “problematico” (sole che si oscura e stelle che cadono). «Questa generazione non passerà…».

Questo brano si concentra su ciò che succederà «dopo la tribolazione» (v. 29), descrivendo eventi celesti che è difficile integrare nel quadro generale dei capp. 23-25, dato l’annuncio di un sole che si oscurerà, con le stelle che cadranno dal cielo (v. 29). Siccome tutto ciò non si è ancora verificato, c’è un evidente contrasto con il limite di tempo della generazione che stava ascoltando, ribadito nella parte finale (v. 34), ma già anticipato in 23:36.

Una prima considerazione è che per Gesù, come sottolineato nel punto 3, distruzione del Tempio e fine del mondo sono non solo collegate, ma maturano in modo simile. Tenendo presente questo, ha poco senso separare nettamente ciò che si riferisce alla distruzione del Tempio e ciò che riguarda la fine del mondo.

Ci spieghiamo con un esempio. Disse il figlio al genitore, scendendo dalla macchina: «Perché mi hai fatto mettere la cintura di sicurezza se poi non è successo niente?». Chi è responsabile di altri, evidentemente, deve prepararli all’evento peggiore e tanto meglio se poi non si verifica. Nel discorso profetico di Gesù la fine del mondo è indubbiamente vista in connessione con la distruzione del Tempio, ma si tratta dell’ipotesi peggiore e di una profezia condizionata, che si sarebbe verificata solo se poi Israele e il mondo avessero continuato a rifiutare totalmente Gesù (cfr. il rapporto fra profezia e storia nel punto 3). Abbiamo già accennato che Pietro interpretò il discorso profetico di Gesù come condizionato, perché lasciò intravedere una «restaurazione di tutte le cose» e non la catastrofe, se ci fosse stato ravvedimento.

A Dio sarebbe bastata la presenza a Sodoma di 10 giusti per non distruggerla (Gen 18:32). Considerando questo, già i 120 discepoli che attendevano la discesa dello Spirito Santo (Atti 1:15) erano un numero significativo, perché se per salvare una città come Sodoma ne sarebbero bastati 10, per salvare le 12 tribù d’Israele potevano esserne sufficienti 10 per ogni tribù, cioè 120. Ci fu poi la prima predicazione che produsse 3.000 conversioni, alle quali se ne aggiunsero altre 2.000 e molti altri, compreso un gran numero di sacerdoti (Atti 2:41; 4:4; 5:14; 6:7), con il popolo d’Israele che inizialmente ebbe grande simpatia per gli apostoli (Atti 5:13,26); infine molti Gentili si convertirono a Cristo (Atti 11:20-21; 18:10).

D’altronde è detto chiaramente che, finché sulla Terra avverranno conversioni, Dio continuerà ad essere paziente, anche in presenza di una grande malvagità (2Pie 3:9; Apo 6:9-11).

 

Nel discorso di Gesù vengono messi insieme l’oscurarsi del sole e il cadere delle stelle, ma i due aspetti richiamano parti diverse dell’Antico Testamento e perciò li vedremo separatamente.

L’oscuramento del sole può essere dato da un cambiamento interno al sole o da una barriera che si interpone. L’espressione si trova 8 volte nell’Antico Testamento: Esodo 10:12-15; Amos 8:9; Isaia 13:9-11; Ezechiele 32:7-8; Gioele 2:10-11; Gioele 2:31 (o 3:4, secondo altre versioni); Gioele 3:14-15 (o 4:15); Amos 8:9; Sofonia 1:15. In Esodo 10:15 e in Gioele 2:10 ci si riferisce ad un’invasione di cavallette le quali, essendo innumerevoli, quando si alzano in volo oscurano il sole. Mentre in Amos 8:9 e in Ezechiele 32:7 l’espressione è associata ai giudizi sul regno di Samaria e sull’Egitto: giudizi che ci sono già stati, ma senza cambiamenti nel sole. L’oscuramento del sole, insomma, nell’Antico Testamento è sempre associato ad un giudizio di Dio ed è evidente che si tratta di una “espressione codificata” usata in senso simbolico (vedi Riassunto dell’AT, cap. 42/G).

Anche le stelle che cadranno dal cielo richiamano un passo dell’Antico Testamento, e precisamente Daniele 8:9-12, dove si tratta di un evento simbolico prodotto da un re particolarmente malvagio.

Pur non potendosi escludere un successivo adempimento letterale di uno spegnersi del sole e di un cadere delle stelle, l’espressione di Gesù in Matteo 24:29 non era percepita dagli ascoltatori come da prendersi alla lettera, ma come annuncio di un nuovo giudizio di Dio simile a quelli del passato. Dato che l’interpretazione simbolica poggia sulla Parola di Dio precedente e siccome si armonizza con tutto il contesto, riteniamo allora che Matteo 24:29 vada inteso in senso simbolico. Che sia stato usato un linguaggio simbolico è d’altronde confermato dal fatto che, subito dopo, esiste ancora una Terra nella quale sono presenti tutte le tribù, con Gesù che ci arriva per regnare insieme ai suoi discepoli (vv. 30-31).

 

In Daniele 7:13-14 viene descritto un “Figlio d’uomo” che sale sulle nuvole per ricevere da Dio un dominio eterno. Gesù, annunciando che vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole (cioè scendere) con gran potenza e gloria (24:30), identifica se stesso con lo straordinario re profetizzato da Daniele che, dopo aver ricevuto l’investitura, scende per prendere possesso di quel regno, esteso su tutta la Terra.

Gesù, per riepilogare, fa una specie di “aggiornamento” del quadro profetico di Daniele, operando scelte niente affatto scontate e che forniranno a Giovanni l’orientamento per l’Apocalisse (che così appare come un ampliamento del discorso profetico). Gesù, per esempio, conferma di essere il Figlio dell’uomo annunciato da Daniele, ma una parte dell’opera profetizzata, cioè il pieno manifestarsi del regno di Dio, non può essere realizzata subito, avendo bisogno di una sua “seconda venuta”, che sarà preceduta da avvenimenti simili a quelli riguardanti la prima venuta. Il progetto complessivo di Daniele, cioè l’avvento del regno di Dio e l’eliminazione dei malvagi, restano però pienamente validi, ma Gesù li porterà a compimento a suo tempo.

«Io vi DICO in verità che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute» (24:34). È un’espressione analoga a quella vista in 23:36 e lì commentata.

 

24:36-51. Prima esortazione alla vigilanza («Nell’ora che non pensate…»).

Dentro la cornice temporale di quella generazione, non è determinato e né determinabile il giorno preciso. Da questo Gesù prende spunto per esortare alla VIGILANZA, un tema ribadito subito altre due volte e al quale è dato uno spazio sproporzionato, cioè fino 25:30. Il motivo di questa insistenza esagerata potrebbe essere rappresentato dal fatto che la vigilanza sarebbe stata sempre necessaria, prima in attesa della fine di Gerusalemme, poi di quel mondo (per ora protrattasi per più di 2000 anni).

«Nell’ora che non pensate, il Figlio dell’uomo verrà» (v. 44). Se c’è un muro di sbarramento, il pallone andrà sempre dalla parte opposta, perché se viene lanciato verso il muro rimbalza e torna indietro. L’espressione di Gesù è come un muro di sbarramento contro la pigrizia, perché se pensiamo che non sia il momento del suo ritorno… ci dice che è un buon motivo per ritenere che sta arrivando!

 

C. Capitolo 25.

 

25:1-13. Seconda esortazione alla vigilanza (parabola delle dieci vergini).

Significativa la precisazione che il ritorno di Gesù può tardare (v. 5). Vogliamo però soffermarci sulla descrizione di un’abitudine di quei tempi, messa in pratica dalle vergini e che consisteva nell’andare incontro a chi stava arrivando, in modo da accompagnarlo nell’ultimo tratto e certamente non per tornare indietro. Essendo un’abitudine che è riportata più volte nel Nuovo Testamento (Mat 21:1-10; Luca 15:20; Giov 11:20,29; Atti 28:15), allora non abbiamo dubbi su come i Tessalonicesi interpretassero l’andare incontro a Gesù sulle nuvole (1Tess 4:17): per loro era evidente che, dopo l’incontro nell’aria, avrebbero accompagnato Gesù sulla Terra per regnare, come mostra anche la successiva parabola dei talenti, seguita dalla descrizione del suo glorioso ritorno, quando inviterà i suoi discepoli ad essere partecipi del suo regno sulla Terra (25:34).

25:14:30. Terza esortazione alla vigilanza (parabola dei talenti).

La promessa di un regno “terrestre” che Gesù fa ai suoi discepoli è ancor più chiara nella parallela parabola delle mine, riportata in Luca 19:11-27, dove «l’uomo nobile» si assenta per andare a ricevere l’incarico di re. Tornando per regnare, assegnerà ai suoi fedeli servitori il potere su alcune città.

«Dopo molto tempo» (v. 19). Un segno che Gesù stava pensando anche oltre la distruzione di Gerusalemme, che comunque non è avvenuta presto, ma dopo 40 anni.

25:31-34. Riaffermazione del ritorno finale di Gesù e della instaurazione del suo regno.

Che sia una ripresa di temi già visti è chiaro perché 25:31-34 è parallelo a 24:27-31. È qui inequivocabile quale sia la prospettiva finale che Gesù mette davanti ai suoi discepoli: un suo glorioso regno sulla Terra con la loro piena partecipazione. Quando Gesù tornerà, infatti, non saranno i credenti (“le pecore”) ad essere allontanati dalla Terra, ma i malvagi (”i capri”).

25:35-45. Criteri per la separazione dei giusti dagli ingiusti.

È un passo che mette in imbarazzo chi concepisce la salvezza come risultato di una fede che si manifesta in un certo momento nel cuore della persona, senza che sia necessaria una vera novità di vita. Questo passo è però in piena armonia con l’insieme del Nuovo Testamento. Per esempio, in Ebrei 12:14 c’è l’avvertimento che senza la santificazione, cioè senza un progressivo adeguamento concreto della nostra vita al modello di Dio, «nessuno vedrà il Signore». In 1Giovanni 4:20, invece, un amore per Dio che non si estenda al fratello è considerato falso. L’elenco sarebbe lungo, perciò terminiamo con un precedente passo dello stesso Vangelo di Matteo, dove Gesù sottolinea che l’amore per Dio e per il prossimo sono inseparabili (Mat 22:36-40).

Bisogna fare attenzione anche all’esagerazione opposta, perché Gesù sta parlando in un contesto ebraico, dove il fratello aveva anche il dovere di un adeguato comportamento morale e dove il soccorso si sottintendeva al bisognoso “incolpevole”. Quando invece il bisogno di qualcuno dipende dalla sua condotta peccaminosa, più che di aiuto ha bisogno di ravvedimento.

 

25:46. Riaffermazione del traguardo finale già delineato da Daniele (eterna separazione fra giusti e ingiusti).

Gli ingiusti «se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna». Una chiusura parallela a Daniele 12:2, ripresa poi dall’Apocalisse (20:10; 22:5). Daniele dà a vita eterna il significato di “vita dopo la risurrezione”, significato mantenuto poi in tutto il Nuovo Testamento.