Convegno “CAPIRE L’APOCALISSE”, Chianciano (Siena) 1-2/10/16
COLLEGAMENTI DELL’APOCALISSE CON I PROFETI
Schema anticipato della seconda relazione di Fernando De Angelis (deanfer@alice.it) (12/9/16)
(Possono essermi inviate considerazioni e domande, ma le risposte saranno date durante e dopo il Convegno)
In questa seconda relazione vedremo alcuni rapporti fra l’Apocalisse e alcuni profeti dell’AT, soffermandoci soprattutto su Babilonia; faremo sostanzialmente un riassunto e un adattamento del contenuto nel mio libro.
A. Isaia, Ezechiele e l’Apocalisse.
Gli ultimi 27 capitoli di Isaia (Isa 40-66) sono dedicati al futuro di Israele, a partire dalla fine della schiavitù (40:2) e da una rinnovata presenza di Dio fra il suo popolo (40:9-11), fino a concludersi con nuovi cieli e nuova Terra, dove viene riaffermato il ruolo di Gerusalemme. Dato che anche l’Apocalisse termina con nuovi cieli, nuova Terra e una nuova Gerusalemme, allora risulta evidente che essa rimane interna ad Isaia; non si prefigge perciò di rivelare dei nuovi piani di Dio, ma di aggiornare e sviluppare quanto già detto da Isaia.
L’Apocalisse riprende alcuni tratti dell’ampia descrizione fatta da Ezechiele su Tiro, applicandoli a Babilonia-Roma (cfr. Apo 18:9-19 con Eze capp. 26-27). L’assenza del Tempio nella nuova Gerusalemme (Apo 21:22) sembra confermare come la descrizione fattane da Ezechiele (Eze 40-44), per gli apostoli non riguardava il futuro, ma fosse destinata a coloro che costruirono il secondo Tempio (seppur realizzandolo con alcune varianti).
B. Daniele, Zaccaria e l’Apocalisse.
In Daniele 7:1-4 è scritto: «Daniele fece un sogno, mentre era a letto, ed ebbe delle visioni nella sua mente. Poi scrisse il sogno e ne fece il racconto. Daniele disse: “Io guardavo, nella mia visione notturna […] quattro grandi bestie salirono dal mare, una diversa dall’altra. La prima era simile a un leone e aveva ali d’aquila”». Questi versetti ci fanno vedere che le parole “sogno”, “visione” e “profezia”, nel contesto dei profeti, possono avere lo stesso significato. Il leone alato che Daniele “vede” non era reale, naturalmente, ma era una rappresentazione simbolica suscitata da Dio nella mente di Daniele, allo scopo di fargli comprendere qualcosa.
A volte, la visione non aveva lo scopo di annunciare il futuro, ma di illustrare come Dio vedeva la realtà già presente. In Zaccaria 3:1-3 è scritto: «Mi fece vedere il sommo sacerdote Giosuè, che stava davanti all’angelo del Signore, e Satana che stava alla sua destra per accusarlo». Mentre Zaccaria vedeva Giosuè che affrontava un difficile processo… Giosuè stava tranquillamente dormendo sul suo letto. Insomma Zaccaria non stava vedendo il futuro, ma un retroscena del presente, osservato dal punto di vista di Dio.
Siccome Giovanni riprende il cosiddetto “linguaggio apocalittico” di Daniele e Zaccaria, allora è necessario comprendere i soprastanti schemi da loro usati, altrimenti nell’Apocalisse potremmo vedere un realismo e un annuncio di futuro anche dove il messaggio è più complesso.
Come detto, mi sono accorto in seguito che l’Apocalisse riprende da Daniele sulla scia del discorso profetico di Gesù, che però ora teniamo in second’ordine, per non complicare le cose. Daniele annunciò la venuta di un Figlio d’uomo che avrebbe inaugurato il regno di Dio, ma dopo una Bestia (impero) venuta «dal mare» molto malvagia, provvista di «dieci corna», che avrebbe fatto guerra ai santi e li avrebbe per un po’ vinti (Dan 7:2-27). Giovanni, parallelamente, immagina una seconda venuta del Figlio d’uomo (Apo 14:1 e cap. 19) che assomiglierà alla prima, cioè preceduta da un periodo di straordinaria espansione della malvagità, con una terribile Bestia che sale «dal mare» e che aveva «dieci corna», alla quale fu dato «di far guerra ai santi e di vincerli» (Apo 13:1,7).
L’Apocalisse può essere vista anche come completamento del libro di Daniele, che termina dichiarandosi sigillato «fino al tempo della fine» (12:10), mentre l’Apocalisse svela il futuro con l’apertura di sette sigilli posti in un libro (5:1). Ciò è reso più esplicito con l’apertura dell’ultimo sigillo, col quale «si sarebbe compiuto il mistero di Dio, com’egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti» (10:7). All’epoca degli apostoli, quest’affermazione di Giovanni faceva pensare soprattutto a Daniele.
Un collegamento esclusivo viene suggerito da Giovanni usando l’espressione «un tempo, dei tempi e la metà di un tempo», perché essa si trova solo in Daniele (7:25; 12:7-9). L’espressione «un tempo, dei tempi e la metà di un tempo» è indeterminata e Giovanni la usa in Apocalisse 12:14, ponendola in parallelo con il precedente versetto 6, dove il tempo è indicato con 1260 giorni: Giovanni, così, interpreta «un tempo, dei tempi e la metà di un tempo» come corrispondente a 1260 giorni, che equivalgono a tre anni e mezzo (dando dunque il valore di due anni a “dei tempi”). Il periodo di tre anni e mezzo si riaffaccia in altri due passi dell’Apocalisse, dov’è espresso nella forma di 42 mesi (11:2; 13:5). Siccome la settantesima settimana di Daniele arrivava fino al compimento di «una giustizia eterna» (Dan 9:24) non ancora realizzata, allora Giovanni si trovava a vivere nella seconda parte della settantesima settimana. Riteniamo, insomma, che la vera spiegazione dell’ultima parte della settantesima settimana di Daniele sia rappresentata proprio dall’insieme dell’Apocalisse.
L’Apocalisse “sviluppa” un altro concetto introdotto da Daniele: quello della risurrezione, chiarendo che quella degli ingiusti avverrà in un secondo tempo, rispetto a quella dei giusti (20:4-15).
Zaccaria vede alla fine una Gerusalemme purificata, nella quale si recheranno tutte le nazioni per rendere omaggio al Dio di Israele, attraverso la celebrazione della festa delle capanne (14:16-21). Parallelamente, alla fine dell’Apocalisse è scritto che «le nazioni cammineranno alla sua luce [di Gerusalemme] e i re della terra vi porteranno la loro gloria» (21:24). Zaccaria è importante anche per un’altra questione: in 11:14 è annunciato che Dio romperà «la fratellanza fra Giuda e Israele» e più avanti che «Giuda stesso combatterà contro Gerusalemme» (14:14), con il contesto che non lascia dubbi sul fatto che Dio si schiererà dalla parte di Gerusalemme.
Dopo Zaccaria, insomma, Gerusalemme finirà per rappresentare tutto Israele non solo di fatto, ma anche con il supporto profetico. Qualcuno non vede nell’Apocalisse la presenza di Israele, ma è evidente che qui “Gerusalemme” significa anche “Israele”.
C. Dalla Babilonia di Geremia a quella dell’Apocalisse
Geremia avvisò che Gerusalemme e il Tempio sarebbero stati distrutti da Babilonia per ordine di Dio; ma dopo settant’anni Dio avrebbe fatto tornare il suo popolo, con il quale avrebbe stabilito un nuovo e più profondo rapporto (29:4-14). Nei due capitoli finali (50-51), però, Geremia vede una Babilonia che è tutt’altra cosa: perché finirà per inorgoglirsi del ruolo avuto, diventerà «il cuore dei nemici di Dio» e sarà distrutta (Ger 51:1,55).
Parallelamente, Gesù aveva annunciato che Gerusalemme sarebbe stata circondata da eserciti e distrutta (Luca 21:5,20). Era Roma la potenza imperiale di quel momento e perciò era evidente che sarebbe stato il suo esercito a distruggere il secondo Tempio, assumendo il ruolo che era stato di Babilonia.
Gesù, Pietro e Paolo invitarono ad essere sottomessi alle autorità politiche romane (Mat 22:21; Rom 13:1; 1Pie 2:13-14). Giovanni va oltre e vuole indicare la fine che attende Roma, uno strumento di Dio che si stava sempre più inorgogliendo e che aveva preso a perseguitare i cristiani. Giovanni perciò prende a riferimento i capitoli finali di Geremia, rievocando così tutto il discorso su Babilonia fatto da quel profeta; non lascia dubbi sul fatto che Roma rappresenti la nuova Babilonia: «La donna che hai vista è la grande città che domina sui re della terra» (17:18); chi, se non Roma, era in quel momento «la grande città che domina sui re della terra»?
Israele è la sposa di Javè, ma quando si dà agli idoli è considerata una “prostituta” (Osea 2:2; Eze 16:8-15). “Babilonia” e “prostituta”, nell’AT, erano due realtà distinte, mentre in Apocalisse 17:5 appaiono come una stessa cosa, dato che la donna ha scritto sulla fronte: «Babilonia la grande, la madre delle prostitute». Come se non bastasse, a questa “Babilonia-Prostituta” viene associata anche Tiro, una città che primeggiava sul piano commerciale (cfr. Eze 27:12-25 con Apo 18:11-16; anche Eze 27:32 con Apo 18:18). Babilonia infine è vista anche come “Bestia”, ma non solo la prima Bestia moderatamente malvagia, perché poi essa si unisce alla “Bestia che sale dal mare/abisso” (Apo 17:16), che in Daniele e in Apocalisse rappresenta il regno più malvagio (Dan 7:7).
D. Tentativo d’interpretazione dei capitoli 17-18
Nell’Apocalisse la scena è occupata soprattutto dalla Bestia che sale dal mare/abisso, quando perciò si parla della Bestia senza altra indicazione, ci si riferisce ad essa.
L’evento annunciato dal capitolo 17 è dato dalla caduta di Babilonia-Prostituta, ma al centro dell’azione c’è la Bestia, che è indubbiamente un impero e su di essa sta seduta una donna ricca di gioielli derivanti dalla sua prostituzione. Chi è a cavallo di una bestia ne ha il comando, ma nel nostro caso succede poi che la Bestia disarciona la donna e diventa protagonista in prima persona. L’emergere della Bestia è descritto in modo un po’ complicato, ma il senso generale è chiaro. Dall’impero esistente emergerà la Bestia come ottavo re: ciò sembra riprendere da Daniele, dove “un piccolo corno”, cioè un piccolo re, prende il posto dei regni precedenti e si ingrandisce «fino a raggiungere l’esercito del cielo» (Dan 8:8:10).
Questo potente impero mondiale non avrà più bisogno dell’appoggio della Prostituta, cioè della religione degenerata, perciò «odieranno la prostituta, la spoglieranno e la lasceranno nuda» (v. 16). Il fatto che la Prostituta finirà per essere disprezzata dai suoi amanti, riprende quanto era stato già detto in Ezechiele: «Radunerò tutti i tuoi amanti […] ti spoglieranno delle tue vesti, ti prenderanno i bei gioielli e ti lasceranno nuda» (Eze 16:36-40).
Oltre a ribadire la malvagità di Babilonia, in 18:2-3 viene sottolineato un aspetto commerciale con un linguaggio, come accennato, usato a suo tempo da Ezechiele verso Tiro (cfr. Apo 18:11-19 con Eze 27:12-32).
Nei versetti finali del capitolo 18, cioè 20-24, Babilonia viene vista anche come un simbolo del male di ogni tempo: «In lei è stato trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti quelli che sono stati uccisi sulla terra» (v. 24). Il sangue di tutti i martiri di tutti i tempi non può essere stato versato su una città reale, perciò qui Babilonia assurge a simbolo universale.
E. Qualche collegamento col contesto storico.
C’è da chiedersi se la complessa raffigurazione di Babilonia abbia un qualche aggancio con i tempi di Giovanni. Era chiaro che il popolo di Dio, rappresentato da Gerusalemme, era di nuovo degenerato, in quanto prima aveva rifiutato il Messia Gesù, poi aveva ucciso Stefano e tentato di fare lo stesso con Paolo (Atti 7:59 a 8:1; 13:45,50; 14:2,19; 18:12; 23:12). La maggioranza del popolo di Israele, perciò, non era più la sposa di Javè, ma era divenuta di nuovo “Prostituta”.
Giovanni aveva osservato l’unità fra Prostituta e Babilonia quando i Giudei avevano spinto i Romani a crocifiggere Gesù. Gerusalemme era poi parte dell’impero romano, perciò ci era di fatto connessa. La Prostituta, insomma, si era messa a sedere sulla Bestia, stabilendoci un’alleanza che rinnegava quella con Dio. Siccome Dio mette inimicizia fra la propria sposa ed i suoi amanti (Eze 23:22): allora per Giovanni era evidente come quell’alleanza non potesse durare e lo dimostrava l’annunciata distruzione del Tempio da parte di Roma.
Stando ai profeti, però, nel popolo di Dio degenerato c’è sempre un “residuo” dal quale ripartire. L’Apocalisse lo anticipa in 11:1-14 (ravvedimento di Gerusalemme), lo ribadisce con i 144.000 Ebrei che stanno vicini a Gesù (7:4; 14:1), confermandolo inequivocabilmente alla fine, con la nuova Gerusalemme (21:2). Giovanni, in conclusione, scrive in momenti difficili, ma sulla base dell’AT riesce a far vedere la luce in fondo al tunnel.