MT 4.9b. Condivido che sia riduttiva “l’idea che nell’Antico Testamento per Israele si intenda SOLO un gruppo
legato da vincoli di sangue” e che sia sbagliato dar risalto al nuovo, nascondendo i suoi elementi di
continuità col vecchio, come appunto la presenza anche nell’AT di una “fede senza confini territoriali e
razziali”, tuttavia è anche vero che “nelle altre epoche non fu concesso ai figli degli uomini di conoscere
questo mistero, COSÌ COME ORA, per mezzo dello Spirito…vale a dire che gli stranieri sono eredi con
noi [ebrei], membra con noi di un medesimo corpo…” (Ef.3:5-6). Di fatto il concetto di elezione richiama
il concetto di selezione (Am.3:2), anche se pure “i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla
tavola dei loro padroni” (Mt.15:27). Forse la grande novità è che ora non si tratta più di casi isolati quali
quelli che citi, ma di “nazioni, tribù, popoli e lingue” (Ap.7:9 cfr. Is.21:10-12).
MT 4.10a. Noi ritroviamo la nostra vera identità stando con i fratelli ebrei;
DAF 4.10. Credo di aver detto la frase che mi attribuisci, ma non ricordo bene quanto l’ho spiegata. In sé
appare anche a me un po’ esagerata, ma come lo sono le frasi con le quali si fa una sintesi, perciò chiarisco.
Stefano parlò di Giuseppe e di Mosè perché li considerò come prefigurazioni di Cristo (Atti 7). Giuseppe e
Mosè furono costretti a vivere al di fuori del loro popolo, sposarono delle non ebree e stavano per perdere la
loro identità, che ritrovarono quando si riunirono ai loro fratelli, che erano certamente meno “santi” di loro,
ma che in ogni caso erano depositari della storia di quel popolo. La nostra radice è in Abramo perciò
personalmente , come “figlio di Abramo”, sento un legame e un debito anche con quegli Ebrei che non hanno
accettato Gesù come Messia, nonostante le non trascurabili diversità. Paolo arrivò a dire che, per amore dei
suoi fratelli increduli, sarebbe stato quasi disposto a separarsi da Cristo e che, quando Israele accoglierà Gesù
come Messia, ciò sarà per tutti di grande benedizione (Rom 9:3; 11:11-15).
MT 4.10b. Condivido quasi tutto quello che dici in questo punto, anche se non ne farei una questione
di identità, ma semmai di riconoscenza, di simpatia e di rispetto per le alterne vicende di un popolo che
Dio ha scelto e per il quale ha ancora un programma che ci riguarda da vicino. Puoi farne una questione
di identità (ma quale?) con gli esempi che citi, visto che Giuseppe, Mosè e Paolo erano Ebrei, quindi
subentra anche un legame di sangue. Questo legame può anche sfociare in un “debito” spirituale per
quelli di “casa tua” (Lc.8:39). Questo è quello che fa Paolo quando, in un discorso diretto a “voi
stranieri” (Rm.11:13)“ sui rapporti con l’Israele incredulo (“i rami”), avoca a se il ruolo di “provocare la
gelosia di QUELLI DEL MIO SANGUE, e di salvarne alcuni” (v.14), mentre ai non ebrei, ingiunge solo,
pur riconoscendo di essere “diventati partecipi della radice e delle linfa dell’olivo” (v.17), di non
insuperbirsi (v.18), ma di temere (v.20).
MT 4.11a. Se non ci facciamo carico di Israele, ci attende l’ira di Dio; 12. Ecc. ecc. ecc.
DAF 4:11. Qui suppongo di essere stato meno estremo di quanto la frase indichi, ma la sostanza cambia
poco. Abbiamo appena visto che Giuseppe e Mosè rappresentarono la parte di Israele più vicina a Dio e
perciò possono essere assimilati al “residuo” del quale parlano i profeti (per es. Isa 1:9; cfr. Rom 9:27-29). Il
compito del residuo, però, non è quello di prendersi tutta l’eredità e andarsene, ma quello di farsi carico di
tutto il popolo e di portarlo alla salvezza. La Chiesa è “il residuo di Israele”? Posso anche ammetterlo, ma
solo se come residuo ci poniamo l’obiettivo di essere d’aiuto a quelli rimasti indietro, non se invece usiamo
la grazia che ci è stata fatta per disprezzare il popolo di chi ce l’ha portata.
In Genesi 12:3, Dio promette ad Abramo che benedirà quelli che lo benediranno e maledirà quelli che lo
malediranno. Abramo è visto come un tutt’uno con la sua discendenza, perciò credo che quella promessa
riguardi anche gli Ebrei di oggi. L’attuale Stato di Israele può anche sbagliare e quando succede dobbiamo
ammetterlo, ma credo che il nostro amore per loro debba essere fermo come lo è per un familiare.
La cristianità applica abbondantemente a sé i Salmi ed in uno di loro è scritto: «Se ti dimentico,
Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; resti la mia lingua attaccata al palato, se io non mi ricordo di te, se
non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia» (Sal 137:5-6). Credo che dobbiamo applicare a noi
anche questi versetti e che sia sempre pericoloso scartare le parti della Bibbia che non ci piacciono.
MT 4.11b. Anche qui condivido buona parte di ciò che dici, anche se rifuggo da ogni estremismo
intorno al tema di Israele, ove un amore acritico verso Israele è stato eletto a fine assoluto, da
raggiungere con mezzi alquanto discutibili, quale ad esempio quello di sostenere economicamente
l’apparato bellico di Israele o mettere insieme un pluralismo esegetico, privo di una linea teologica
chiara ed unitaria. Per quanto riguarda poi il rapporto tra la Bibbia e l’Israele di oggi, credo che esso
sia fatto non solo di “promesse”, ma anche di “minacce” (cfr. Deut.30).
MT 4.12a. Ora, riconoscendo nelle tue “rivisitazioni” dei testi biblici che citi, degli spunti esegetici
interessanti, non credi che siano queste delle conclusioni azzardate, sia da un punto di vista esegetico
che teologico? Non credi che la definizione del rapporto tra Antico e Nuovo Testamento vada ricercata
nella valutazione teologica che ne hanno dato gli autori del Nuovo Testamento, piuttosto che in questo
“elenco delle continuità” al quale si può opporre benissimo “un elenco delle discontinuità”, dando
l’impressione di voler risolvere la questione “ai punti”?
DAF 4.12. Le mie convinzioni sull’Antico Testamento ho cominciato a formarmele attraverso il Nuovo,
perché essendo un Gentile ho anch’io letto la Bibbia “al contrario”. Rileggendola poi per il verso giusto, si
sono aggiunti molti altri argomenti, ma l’impianto di fondo è rimasto quello ricavato dal Nuovo.
In un Convegno, anni fa esposero una lista dei contrasti fra Antico e Nuovo Testamento: ne fui contento,
perché così potevo controllare le mie convinzioni, che erano già “unitarie”: dopo aver esaminato quella lista
non ci trovai nemmeno un’argomentazione valida! Perché è vero che le differenze ci sono, ma credo che
siano TUTTE riconducibili al concetto di sviluppo (si amplia e si precisa ciò che era stato già introdotto) e a
quello di aggiornamento (verificandosi nuove circostanze, Dio ci adatta i suoi immutabili principi).
Recentemente qualcuno mi ha fatto vedere una lista che, nella Bibbia Thompson, è posta prima del
Vangelo di Matteo e che fa un confronto fra l’Antico e il Nuovo Testamento, elencando 17 argomenti: per lo
più mi sembrano sciocchezze, ma alcune ritengo che arrivino addirittura ad offendere Dio.
Se tu mi farai un elenco delle “discontinuità”, convincendomi che ce ne sia almeno una valida, non riterrò
più che la “continuità” sia vittoriosa per KO.
MT 4.12b. Non credo che la questione vada risolta ai punti, anche perché sarebbe una sorta di
“vittoria di Pirro”, fondata sulle macerie di una Bibbia contraddittoria e dilaniata da opposte evidenze.
Invece è molto meglio considerare le continuità e le discontinuità della Scrittura come fasi dell’esegesi
e del processo di osservazione del testo, da mettere poi insieme in un quadro interpretativo e teologico
più ampio e unitario, che ci mostri il continuum che si dispiega dalla Genesi all’Apocalisse, visto che si
tratta di una stessa trama e di una stessa storia salvifica, senza per questo relativizzare i punti di
svolta, il prima e il dopo, il primo ed il secondo, il vecchio e il nuovo, il così e il non così, prendendo atto
che ci sono linee che si protendono dall’inizio alla fine e linee che si interrompono. “Sciocchezze” non
sono le discontinuità o le continuità, ma il volerne fare un “elenco” da contrapporre all’altro “elenco”,
senza rendersi conto che così si sta segando l’albero ove tutti noi, sinceri lettori della Bibbia, siamo
seduti. Da una tal cosa nessuno ne esce vittorioso per KO. Invece, mettendo insieme continuità e
discontinuità e cogliendone il loro valore complementare, possiamo delineare un discorso unitario, senza
finire per fare proiezioni indebite, cristianizzando l’AT e giudaizzando il NT. Insomma, ne deriverà un
risultato che è più della somma delle parti!
MT 5. Entrando più nel merito delle tue affermazioni su elencate:
MT 5.1. Se Israele non ha rigettato il Messia, perché Paolo dice che “Israele… hanno urtato nella
pietra d’inciampo” (Rm.9:31-32), “non si sono sottomessi alla giustizia di Dio” (10:3) e parla di “caduta”
(11:11), “ripudio” (11:15), “I Giudei…Colmano senza posa la misura dei loro peccati; ma ormai li ha
raggiunti l’ira finale” (1Ts.2:14-16)?
DAF 5.1. Come spiegato in 4.1, il significato esplicito di questi versetti naturalmente lo condivido, ma ne
contesto i significati impliciti che spesso ci si associano, come il pensare che il nostro popolo italiano abbia
fatto meglio.
MT 5.2a. Se l’evangelizzazione dei pagani c’è stata prima di Paolo a cura della sinagoga, di quale tipo
di vangelo stiamo parlando, visto che il solo aver mischiato croce e legge ha portato Paolo a dire ai
Galati che quello era “un altro vangelo” (Gal.1:6), figuriamoci cosa avrebbe detto di un “vangelo senza
croce”, visto che la croce per “i Giudei è scandalo” (1Cor.1:23)?
DAF 5:2. Della Lettera ai Galati se ne fa spesso un uso non rispettoso dell’insieme del testo. Riconosco di
non essere ancora arrivato a farne un’analisi dettagliata, ma nel modo in cui viene utilizzata ci trovo spesso
qualcosa di inappropriato. Legge e grazia, per esempio, per Paolo sono prima rappresentati da Abramo e da
Mosè (3:15-24), poi da Sara e Agar (4:21-31), cioè da elementi interni all’Antico Testamento. Solo a chi
legge l’Antico Testamento con i paraocchi può sfuggire che esso è pieno della grazia di Dio, a cominciare
dall’amore che Dio continuò ad avere per l’umanità anche dopo il peccato di Adamo, nonché al perdono di
Dio verso Israele dopo che aveva fatto il vitello d’oro (in Esodo 33:12-19 la parola “grazia” ricorre 7 volte!).
Se nell’Antico Testamento non ci fosse stato un Dio di grazia, la storia del popolo di Israele sarebbe
potuta finire in ogni momento: per esempio e ancor più con la distruzione del primo Tempio. I profeti
annunciarono con pari forza il giudizio e la grazia di Dio. Parallelamente, nel Nuovo Testamento la grazia di
Dio non è senza legge e basterebbe pensare al discorso di Gesù sul Monte (Mat 5-7). I Galati davano alla
legge un posto sbagliato, ma chi la metteva al posto giusto la trovava compatibilissima con la fede in Cristo,
dato che in Atti 21:20 si può vedere (ma i più chiudono gli occhi!) che le decine di migliaia di Ebrei che
avevano creduto in Cristo erano «tutti zelanti per la legge»!
Nell’ultima parte di questo punto mi pare che tu cali di tono, dato che Paolo afferma prima che per i
Giudei la croce è scandalo, poi prosegue dicendo che per i Gentili è pazzia: ciononostante, con la sua
predicazione della croce, alcuni Ebrei e alcuni Gentili comunque si convertirono.
MT 5.2b. Temo che qui non hai capito il senso della domanda, che comunque ha più un valore retorico,
per cui la riformulo sotto la forma di ciò che penso: non credo che prima di Paolo ci sia stata
un’evangelizzazione dei pagani, nel senso in cui ce l’ha fatto conoscere nelle sue lettere, il cui epicentro
è proprio quella croce che per i Giudei è scandalo e per i Greci pazzia.
MT 5.3a. Se la sinagoga e la chiesa sono la stessa cosa, perché Paolo dice con enfasi “di questa [la
chiesa] io sono diventato servitore” (Col.1:25), se già era al servizio delle “sinagoghe” (At.9:2) quando
perseguitava i cristiani?
DAF 5.3. Credo di aver sostanzialmente risposto già al punto 4.3. Paolo era diventato servitore della
“assemblea (chiesa) dei discepoli di Gesù”, che in un contesto di credenti poteva essere indicata
semplicemente come “assemblea” (chiesa). Paolo predicava prima nelle sinagoghe e poi anche fuori. Solo
una minoranza di Giudei e di Gentili si convertiva. I convertiti non uscivano dalle sinagoghe, ma di solito ne
erano espulsi dalla maggioranza che aveva rifiutato di credere. Gentili ed Ebrei che seguivano Cristo,
insomma, finivano per formare un’altra “assemblea”, che si può chiamare sia “chiesa” sia “sinagoga”. Paolo
era prima al servizio della maggioranza degli Ebrei, poi del “residuo” di quel popolo, al quale si associavano
un certo numero di Gentili. Solo chi ha fatto un’analisi superficiale del Nuovo Testamento può ritenere che
Paolo, dopo aver incontrato l’ebreo Gesù sulla via per Damasco, abbia cessato di essere un Ebreo.
MT 5.3b. Nessuno ha affermato che “Paolo, dopo aver incontrato l’ebreo Gesù sulla via per Damasco, abbia
cessato di essere un Ebreo”, ma che lui considerava completamente differente il suo ruolo nella chiesa di
Cristo rispetto al suo ruolo nella sinagoga, indice questo della radicale differenza che faceva l’ebreo
Paolo tra le due entità (cfr. Flp.3:4-9).
MT 5.4a. Se il Nuovo Patto è stato stipulato con i reduci da Babilonia perché Geremia usa la formula
escatologica “Ecco, i giorni vengono” (31:31a), lasciando intendere un intervallo non così immediato,
inoltre, perché Geremia dice che i destinatari sono “la casa d’Israele con la casa di Giuda” (31:31b),
quando dall’esilio era ritornata solo la casa di Giuda, e infine, perché Gesù dice: “Questo calice è il
nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi” (Lc.22:20)?
DAF 5.4. Anche in questo caso ritengo di aver per lo più risposto: nel punto 4.4 su Geremia e nel 4.5 su
Luca 22. Aggiungo solo che non mi risulta che dall’esilio sia tornata solo la tribù di Giuda. Prima di tutto
perché fra i Giudei si erano continuamente inseriti anche quei membri delle altre tribù che volevano essere
più coerenti con la loro fede in Dio (2Cro 11:13-17; 15:9; 30:11); in secondo luogo perché nell’esilio la
separazione “politica” fra regno del Nord e regno di Giuda non aveva più rilevanza. Nelle sinagoghe si
accoglievano anche i simpatizzanti Gentili, perciò non si faceva certo distinzione fra Ebrei appartenenti
all’una o all’altra tribù, anche se la prevalenza e il nome restarono quelli di Giuda.
MT 5.4b. Ciò che dici in questo punto riguardo all’integrazione di “membri delle altre tribù” nel
regno di Giuda è interessante, ma è sufficiente per relativizzare la distinzione politico-religiosa tra
“Israele” e “Giuda”? È vero poi che l’esilio abbia dato il colpo di grazia a questa distinzione? Non voglio
sminuire quella che potrebbe essere una buona pista esegetica (cfr. Esd.6:17; 8;35), però ci sono alcuni
fatti che militano contro questa tesi: 1. la profezia ha distinto in modo netto “la casa d’Israele” e “la
casa di Giuda” (Ger.31.31b); 2. la letteratura post-esilica (Esdra, Nehemia, Ester, Aggeo, Zaccaria,
Malachia) continua a mantenere questa distinzione; 3. Esdra 1:5 specifica che “Allora i capi famiglia di
GIUDA e di BENIAMINO, i sacerdoti e i Leviti, tutti quelli ai quali Dio aveva destato lo spirito, si
misero in cammino verso Gerusalemme per ricostruire la casa del Signore”.
MT 5.5a. Se esistono diversi nuovi patti, perché Paolo parla semplicemente di “due patti” (Gal.4:24)
e l’autore agli Ebrei parla semplicemente di un “primo” e di un “secondo” patto (Eb.7:22; 8:6-7,13;
9:18)?
DAF 5.5. Vorresti allora dire che il patto con Abramo non esiste? Nell’Antico Testamento vedo due serie
di patti: una “innovativa” e l’altra “conservativa”. Nella serie “innovativa” metterei i patti con Adamo ed
Eva, con Noè, Abramo, sul Sinai e con Davide (Gen 1-3; 9:1-17; 12:1-3; Eso 19 e segg.; 1Cro 17:11-14). In
essi viene rispettato il patto precedente che però subisce un aggiornamento, reso necessario dalle circostanze.
La serie “conservativa” è legata al patto sul Sinai, che strettamente parlando riguardava solo quella
generazione, al punto che Mosè ne fa un altro alla fine dei suoi giorni nelle pianure di Moab, cioè quando
ormai c’era un’altra generazione (Deu 28:69 a 29:27). Questo “nuovo patto di Mosè” non cambia la
sostanza, ma ha il senso di un rinnovato impegno a mettere in pratica la legge data sul Sinai. Alcuni dei
migliori re di Giuda posteriori a Salomone, promossero anch’essi un patto che rinnovasse l’impegno del
popolo ad osservare la legge di Mosè (2Cro 15:12; 23:16; 29:10; 34:31). Significativo che fra di essi ci sia
anche Giosia, con il quale Geremia si sentiva molto in sintonia (2Cro 35:25). Anche il nuovo patto
annunciato da Geremia rientra in questa tipologia, perché attraverso di esso ci sarà una più efficace
osservanza della legge di Mosè («metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore», 31:33). A
Gesù, straordinario e conclusivo “re Figlio di Davide”, si addiceva proprio il promuovere col suo popolo un
rinnovo del patto, non per cambiare i fondamenti della legge di Dio, ma per viverli in modo più profondo.
MT 5.5b. Il senso della domanda è che tra “primo” e “secondo”, “antico” e “nuovo” patto (Eb.7:22;
8:6-7,13; 9:18), non c’è menzione di “nuovi patti intermedi”, e questo ci aiuta a dare il giusto posto ed il
giusto valore anche al “nuovo patto di Mosè” con la nuova generazione sulle pianure di Moab
(Deut.28:69; 29:27), che non è certamente quello del “Nuovo Patto” profetizzato da Geremia.
MT 5.6. Se la teologia dei patti è una beffa, perché il NT parla di “patti” al plurale (Gal.4:24;
Rm.9:4), marcando le differenze tra il “primo” ed il “secondo” patto?
DAF 5.6. Vedi 4.6 e il soprastante 5.5.
MT 5.7a. Se l’epistola ai Romani non è una novità con la sua esposizione di Paolo del “suo Vangelo”
(Rm.2:16; 16:25; 2Tm.2:8), dove egli ci ha lasciato un’esposizione ordinata di quel Vangelo che ha
ricevuto per “rivelazione” (Gal.1:12; 2:2) e che ha dovuto esporre con “timore di correre o di aver corso
invano” (v.2) alle “colonne” della chiesa di Gerusalemme (v.9) e che altrove ha definito “il mistero del
vangelo” (Ef.6:19), cioè quel “mistero che è stato fin dalle più remote età nascosto in Dio, il Creatore di
tutte le cose” (Ef.3:9), “così come ora, per mezzo dello Spirito, è stato rivelato ai santi apostoli e
profeti di lui” (v.5)?
DAF 5.7. Riporto in maniera più ampia Efesini 3:5-6: «Nelle altre epoche non fu concesso ai figli degli
uomini di conoscere questo mistero, così come ora è stato rivelato ai santi apostoli e profeti di lui; vale a dire
che gli stranieri sono eredi con noi, membra con noi di un medesimo corpo». Certo, il battesimo del non
circonciso Cornelio (Atti 10), come la costituzione della chiesa di Antiochia composta da non circoncisi (Atti
11:19-25), rappresentarono delle novità che dovettero essere affrontate al massimo livello (Atti 15). Il
rapporto fra Israele e i Gentili, come pure quello fra il Dio di Israele e i Gentili, si posero in modo nuovo e ci
fu perciò una nuova rivelazione da parte di Dio; comunque si conosceva “qualcosa” anche prima, seppur non
«così come» era stato poi rivelato agli apostoli.
Quel “qualcosa” che si conosceva prima non è che fosse poca cosa. Per esempio, quando Giona predicò
nella pagana Ninive, i Niniviti si ravvidero e ristabilirono un buon rapporto con Dio sulla base di una “legge
morale universale”. Non fu loro chiesto di circoncidersi, né di recarsi a Gerusalemme per compiere sacrifici
animali. Paolo si comporterà poi con i Gentili in modo del tutto analogo a quello di Giona.
In Malachia, poi, di fronte ad un popolo di Israele che era arrivato a disprezzare il suo Dio, Dio si vanta
che «dall’oriente all’occidente il mio nome è grande fra i Gentili; in ogni luogo si brucia incenso al mio
nome e si fanno offerte pure; perché grande è il mio nome fra i Gentili» (1:11); un chiaro segno, questo, di
quanto il culto del Dio di Israele si fosse già diffuso prima di Cristo. Ma c’è di più, dato che fra i circoncisi i
“timorati di Dio” erano rimasti in pochi mentre si erano diffusi fra i non circoncisi, allora si stabilì
un’alleanza di fatto fra tutti i timorati di Dio, circoncisi o non circoncisi che fossero: «Allora quelli che
hanno timore del Signore si sono parlati l’un l’altro; il Signore è stato attento e ha ascoltato; un libro è stato
scritto davanti a lui, per conservare il ricordo di quelli che temono il Signore e rispettano il suo nome» (Mal
3:16). Il battesimo dei non circoncisi che viene introdotto in Atti 10, allora, può anche essere visto come un
riconoscimento formale di una sostanza già realizzatasi prima di Cristo.
MT 5.7b. Malachia 1:11 è il verso più discusso del libro e le divergenze interpretative hanno sempre
impegnato sia cristiani che Giudei. Riporto quella che mi sembra più plausibile: “L’affermazione è
iperbolica: al confronto del culto sacrificale profanato dai sacerdoti d’Israele a Gerusalemme, il
sacrificio dei pagani offerto in qualsiasi altro luogo è puro” (Reventlow H.G.). Comunque, dire che “i l
battesimo dei non circoncisi che viene introdotto in Atti 10, allora, può anche essere visto come un riconoscimento
formale di una sostanza già realizzatasi prima di Cristo”, mi sembra esagerato. Pietro fissa a Pentecoste “il
principio” di quel tipo di esperienza (Atti 11:15) e lo vede come un adempimento di quanto detto da
Giovanni Battista sul Battesimo dello Spirito Santo (v.16) e tutta la fratellanza ebraico cristiana che lo
ascoltava gli ha dato ragione (v.18).
MT 5.8a. Se non c’è grande novità tra il ruolo dello Spirito Santo nell’Antico e nel Nuovo
Testamento, perché Gesù ha detto ai suoi discepoli di attendere il compimento della promessa
riguardante lo Spirito (At.1:4-8) e perché Paolo parla del “nuovo regime dello Spirito”, distinto da quello
“vecchio della lettera” (Rm.7:6), perché data temporalmente “la legge dello Spirito della vita” da quando
Dio “ha mandato il proprio Figlio in carne simile a carne di peccato” (Rm.8:2-3), e a far data da ciò,
associa tutta l’attività dello Spirito descritta in Romani 8?
DAF 5.8. Queste domande porterebbero quasi a concludere che nell’Antico Testamento lo Spirito Santo
fosse assente, mentre abbiamo già visto (punto 4:8) che svolgeva un ruolo importante e simile a quello nel
Nuovo Testamento, seppur su un numero di persone più limitato.
MT 5.8b. D’altro canto la tua risposta porterebbe a pensare che la presenza dello Spirito Santo nel
Nuovo Testamento sia superficiale, più di ordine quantitativo che qualitativo. Propongo la seguente
sintesi: anche nell’Antico Testamento lo Spirito Santo era presente e non dobbiamo liquidare il suo
ruolo veterotestamentario troppo in fretta, tuttavia è nel Nuovo Patto che, secondo la profezia doveva
raggiungere il culmine della sua azione e così è stato!
MT 5.9a. Se il concetto di Israele etnico è un errore, perché Paolo, parlando dei “miei parenti
secondo la carne, cioè gli Israeliti”, dice che a loro “appartengono l’adozione, la gloria, i patti, la
legislazione, il servizio sacro e le promesse …” (Rm.9:3-4)? Come dovremmo considerare l’elezione
d’Israele e tutte le profezie che lo riguardano e che ancora devono adempiersi?
DAF 5.9. Paolo aveva legami di sangue con alcuni, ma certamente non con tutto il popolo di Israele, che
abbiamo visto (4.9) essere composto anche da persone di razza diversa. Il concetto di popolo non si collega
necessariamente ad una “razza pura”. Il popolo di Israele non era rappresentato da un razza, ma da una fede,
una cultura, una Terra Promessa, una missione universale, una storia.
Credo che la storia di Israele non possa concludersi senza un ristabilimento dell’armonia col suo Dio,
come innumerevoli volte ribadito da Mosè e dai profeti. La forte crescita in Israele di Ebrei che riconoscono
il Messia Gesù (cosiddetti “Ebrei messianici”), la simpatia sempre più evidente fra i “Cristiani per Israele” e
lo Stato di Israele, l’evangelizzazione che con Internet può raggiungere pressoché tutti, mi spinge a pensare
che ci stiamo rapidamente avvicinando alla “fine di questo mondo” e al varo della nuova Terra.
MT 5.9b. Qui il tuo discorso assume quella valenza che non esprimi al punto 4.9, ma che temevo
avesse. Aggirare il concetto di un Israele etnico con l’argomento della “razza pura” mi sembra debole.
Dio ha scelto Israele come nazione e ad esso ha legato delle promesse nazionali che avranno un
compimento letterale. Il fatto che ne entrino a far parte elementi razziali diversi, come anche previsto
dalla legge, non inficia questo progetto. Per il resto condivido il fatto che “la storia di Israele non possa
concludersi senza un ristabilimento dell’armonia col suo Dio” e questo avverrà quando “essi guarderanno a me,
a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio” (Zac.12:10).
MT 5.10a. Se noi troviamo la nostra vera identità stando con i fratelli ebrei, perché Gesù era ebreo
(Gesù era anche maschio), perché questo non viene ribadito nell’insegnamento apostolico in modo
normativo, ma anzi abbiamo raccomandazioni a prendere le distanze da un certo fermento giudaico
(Col.2:16-19; Flp.3:2; Gal.6:12-16; 1Tm.1:5-11; Tt.1:10-11,13-14; 3:9; Eb.13:9)?
DAF 5.10. La chiesa di Antiochia era composta prevalentemente da non circoncisi (Atti 11:19-21), ma fu
istruita da due Ebrei molto preparati, dato che Barnaba era un levita (aiutante dei sacerdoti nel Tempio) e
Paolo era stato alla scuola del grande Gamaliele (Atti 4:36; 5:34; 11:19-26; 22:3). Le chiese dei Gentili
crescevano accanto alle chiese di Ebrei e le più avevano una composizione mista. La vicinanza fra Gentili ed
Ebrei era nei fatti. I primi segni di un orgoglio dei Gentili ci sono già nel Nuovo Testamento, al punto che
Paolo invita a stare in guardia (Rom 11:18-20; 14:3), ma poi si manifesteranno in tutta la loro dirompenza,
quando ci sarà la lunga guerra fra Roma e Gerusalemme, Gerusalemme sarà distrutta e gli Ebrei dispersi, con
la conseguente sparizione di quelle chiese di Ebrei che, nel Nuovo Testamento, costituivano il punto di
riferimento basilare. È in questo contesto che prende forma e avanza il “cristianesimo platonizzato” di
Origene (185-253) che trasforma Gesù in un discepolo di Platone, poi arriva l’obbligo di uniformarsi ad una
dottrina stabilita dalla commistione fra autorità politiche e vescovi ad essa graditi (Concilio ecumenico di
Nicea, 325), l’introduzione del culto delle immagini e di quello dei santi, e via dicendo.
Noi cristiani di oggi siamo figli di questa storia, protestanti compresi, evangelici compresi. È vero che
Lutero ha iniziato a riscoprire le origini del cristianesimo proclamando un ritorno alla Bibbia, ma credo che
quello sia stato solo un primo passo ed espongo due ragioni: 1) Lutero ha mantenuto l’impostazione
costantiniana con la conseguente sovrapposizione fra chiesa e società civile, continuando a battezzare i
neonati e stabilendo un rapporto di protezione da parte dell’autorità politica; 2) essendo un frate agostiniano,
aveva come riferimento il platonizzante Agostino, conservando un anti-ebraismo estremo che arrivò ad
affermare: «Meglio essere un maiale che un Ebreo», «La nostra colpa verso gli Ebrei è di non averli
ammazzati tutti»!
Certo anche oggi, come ai tempi apostolici, c’è il pericolo sia dei “giudaizzanti” che dei “paganeggianti”;
occorre perciò essere vigili e attenersi alle indicazioni che troviamo nel Nuovo Testamento. Anche questo è
un obiettivo del Movimento “Leggere & Intelligere”, dove già convivono “filo ebraici” e “anti giudaizzanti”,
che si aiutano volentieri l’un l’altro al fine di mantenersi nei limiti della Parola di Dio.
MT 5.10b. È interessante questo ricorso alla teologia storica che in parte condivido, anche se ormai
è diventato una sorta di passepartout per liquidare duemila anni di cristianesimo e propagandare la
propria visione delle cose, ritenuta più rispondente all’originale. Questo fenomeno non è nuovo. Persino
il giovane Bonhoeffer affermava nel lontano 1928: “lo spirito greco, il più grande nemico del
cristianesimo da sempre… la dove domina lo spirito greco, il pensiero cristiano di Dio non viene capito.
Lo spirito greco conduce alla mistica… la mistica e la buona novella, però, si escludono radicalmente l’un
l’altra”. Il punto è che da questa critica radicale sono nate scuole radicalmente opposte. Ma la mia era
una domanda di natura esegetica e l’unica risposta di tale natura che si può dare è che non c’è niente
nell’insegnamento apostolico che renda normativo ed identitario il nostro rapporto con “i nostri fratelli
ebrei”. Talvolta mi par di leggere in filigrana in queste tue idee una sorta di strategia dove, da un lato
relativizzi l’elezione nazionale ebraica estendendola oltre i confini territoriali e razziali e dall’altro la
assolutizzi elevandola ad unica identità possibile per chi è discepolo di Gesù. Eppure, il progetto di Gesù
portato avanti da Paolo, era quello di raggiungere “le estremità della terra” con un messaggio universale
capace di raggiungere ogni popolo, lingua e nazione, quindi nel rispetto delle identità nazionali e razziali.
MT 5.11a. Se è vero che Dio ci giudica se non ci facciamo carico di Israele, perché questo non viene
ribadito nell’insegnamento apostolico, in modo normativo, pur riconoscendo il ruolo di Israele nei piani
di Dio?
DAF 5.11. Sappiamo che l’evangelizzazione dei Gentili fu opera principalmente di Paolo, che esortò a
fare le cose che avevano viste in lui (Fil 4:9). E fra le varie cose che Paolo mostrava, c’era anche un amore
per gli Ebrei increduli, per i quali era pronto a sacrificare la propria vita andando a testimoniare a
Gerusalemme, pur sapendo che non ne sarebbe uscito libero (Atti 20:22-25; 21:10-13).
Da Atti 15 è chiaro che i Gentili non hanno nessun obbligo verso la legge di Mosè, ma solo di attenersi
alla morale universale ricavabile dalla Genesi. Che noi Gentili non dobbiamo imitare goffamente gli Ebrei è
fuor di dubbio, ma amarli ed essere riconoscenti è un altro discorso. Nel tempo apostolico non era nemmeno
immaginabile che i cristiani potessero essere anti-ebraici e disprezzare quel popolo al quale appartenevano
sia Gesù e sia quegli apostoli che li avevano evangelizzati!
MT 5.11b. Ciò che dici qui mi pare abbastanza condivisibile, tanto che suggerirei, al posto di un
esempio implicito lasciato da Paolo, una sua esplicita ingiunzione rivolta ad una chiesa gentile: “Non date
motivo di scandalo né AI GIUDEI, né ai Greci, né alla chiesa di Dio” (1Cor.10:32). Questa distinzione
fra Giudei, Greci e chiesa di Dio, mostra il valore che Dio continua a dare all’Israele etnico nel novero
delle nazioni, ma mostra anche l’equilibrio con cui dobbiamo trattare ciascuna di queste tre entità.
MT 6.1a. Venendo al discorso sul rapimento, di cui hai ulteriormente parlato in una successiva nota su
facebook, hai ribadito che per rapimento intendi semplicemente l’incontro nell’aria tra Gesù e la sua
chiesa a cui seguirà subito dopo la discesa gloriosa sulla terra. Ora, senza voler essere troppo
dogmatici, non credi che questa sia in realtà una negazione del rapimento inteso come traslazione della
chiesa dalla vista del mondo per un certo lasso di tempo, allorquando si svolgeranno la risurrezione e la
trasformazione degli eletti, il tribunale di Cristo e le nozze dell’Agnello nel cielo? Non credi che questi
eventi, che riguarderanno la chiesa rapita, richiedano un certo lasso di tempo?
DAF 6.1. Nel giugno scorso ho scritto una spiegazione della “Struttura fondamentale dell’Apocalisse”.
Con Marco Distort, che ha scritto due libri sull’Apocalisse, abbiamo programmato di farci un Convegno
insieme, constatando che le nostre vedute sono “complementari e convergenti”. Il Convegno è programmato
a cavallo del primo ottobre prossimo a Chianciano (Siena) e lì sarà anche presentato il mio libro. Scusami se
per una risposta adeguata alle tue complesse domande ti rinvio a quel Convegno ed a quel libro, mentre ora
mi limito a confermarti che non credo che la chiesa sarà sottratta per un tempo alla vista del mondo.
MT 6.1b. Per quel che mi riguarda invece ribadisco di intendere il rapimento come la traslazione della
chiesa dalla vista del mondo per un certo lasso di tempo, allorquando si svolgeranno la risurrezione e la
trasformazione degli eletti, il tribunale di Cristo e le nozze dell’Agnello nel cielo.
MT 6.2a. Non credi che certi testi che paiono affermare una discesa senza variazioni del Cristo coi
suoi, in realtà stiano contraendo i tempi come i profeti dell’AT hanno contratto i tempi e gli eventi
relativi alle due venute del Messia?
DAF 6.2. I profeti dell’Antico Testamento contraevano i tempi per quegli avvenimenti lontani che non
riguardavano i loro ascoltatori, i quali altrimenti sarebbero stati ingannati. I profeti di un certo periodo,
insomma, confidavano che una descrizione più precisa degli avvenimenti lontani sarebbe poi stata precisata
dai profeti che sarebbero sorti in prossimità di quei tempi. Nel Nuovo Testamento si riteneva possibile un
ritorno di Cristo entro quella generazione (per es. 1Tes 4:15), perciò questo principio è poco applicabile.
MT 6.2b. L’argomento della contrazione temporale delle due venute del Messia fatta dai profeti
dell’AT non serve come argomento pro-rapimento, ma per spiegare il silenzio profetico in merito al
rapimento, e mostrare che tale silenzio non è utilizzabile come argomento contro il rapimento. La
giustificazione che dai della contrazione temporale nell’AT non mi convince del tutto, se non nel fatto
che effettivamente il rapimento non li riguardava, perché riguardava la chiesa (1Ts.4:13-18) e quindi era
un “mistero” (1Cor.15:51-53 cfr. Col.1:25-26).
MT 6.3a. Non credi che citare brani dei Vangeli per affermare che Cristo torna e basta, senza
ulteriori distinzioni di tempi, fasi ed eventi, non è corretto da un punto di vista esegetico, visto che la
luce profetica in cui si muovevano prima di pentecoste era ancora incompleta e contratta, e che,
secondo le parole di Cristo, uno dei ruoli dello Spirito sarebbe stato proprio quello di annunziare “ le
cose a venire” (Gv 16:12-13)?
DAF 6.3. Sono d’accordo a tal punto che diversi anni fa ho scritto un’escatologia del Nuovo Testamento
partendo proprio dagli apostoli e per gli stessi motivi che tu indichi (“Profezie facili degli apostoli Pietro e
Paolo”). Quei testi profetici dei Vangeli che nelle varie occasioni cito di più, sono la parabola delle zizzanie e
il ritorno in gloria di Gesù (Mat 13:36-43; 25:31-34), dove viene usato un linguaggio molto semplice, rivolto
a persone semplici e perciò da comprendere secondo un semplice senso comune.
Tutt’altra cosa è il discorso escatologico di Gesù (Mat 24), dove viene usato un linguaggio apocalittico: è
un testo molto difficile e il concetto di “contrazione profetica” potrebbe effettivamente essere di aiuto.
Recentemente ne ho esposto a voce un’interpretazione nella quale mi avvalgo di certi schemi utilizzati dai
profeti dell’Antico Testamento… prima o poi spero di scriverci qualcosa, ma per il momento mi fermo qui.
Caro Tonino, per finire ti ringrazio per il grande servizio di chiarezza che hai fatto, elevando il dialogo su
un piano più consono al nostro professarci cristiani. Considero il tuo lavoro come una tappa importante sulla
quale intanto soffermarsi, per poi eventualmente ripartire con altri percorsi, che proseguano con lo stesso
atteggiamento fraterno.
MT 6.3b. Credo che sia stato utile varare questa “Appendice dialettica alla Conferenza”, nata in
quest’ambito e per quest’ambito, che ha dato ad entrambi e a chi ci legge la possibilità di chiarire le
nostre rispettive posizioni, che restano distanti, come due treni che corrono in parallelo, ma verso
“conclusioni” teologicamente diverse. Con questo “dialogo” abbiamo cercato di interfacciarci dai vari
finestrini e vagoni della nostra rispettiva locomotiva teologica e, per non perdere il contatto abbiamo
fatto un tratto camminando forse in senso opposto alla nostra direttrice di marcia, ma poi dobbiamo
prendere atto che, parafrasando Bonhoeffer, “non serve a molto correre nel corridoio di un treno in
senso opposto alla sua direzione di marcia”, ognuno continuerà a seguire QUELLA direzione di marcia! Il
discorso si fa così più ampio e risponde alla domanda di fondo: qual è la nostra direttrice di marcia?
Qual è la destinazione delle nostre “conclusioni”? Ma la “pretesa” di quest’Appendice era squisitamente
esegetica e qui mi fermo!