Ping pong 032.
LA CERTEZZA DELLA SALVEZZA IN ROMANI E IN GIOVANNI
LETTERA FIRMATA
RISPOSTA
1.Siamo servi o figli?
2.Passare dai versetti della Bibbia ai suoi vari libri
3.Centralità teologica della Lettera ai Romani
4.Liberati dalla colpa derivante dal peccato
5.Lo Spirito Santo libera dalla potenza del peccato
6.Certi della salvezza perché adottati come figli
7.Importanza del destino d’Israele. Opere come frutto della salvezza
8.La perseveranza dei credenti in Giovanni
9.Perseveranti fino alla fine per grazia e non per opere
REPLICA
RISPOSTA ALLA REPLICA
LETTERA FIRMATA. Caro Fernando, alcuni affermano che si può già da ora essere certi della propria salvezza finale e dicono: «Una volta salvati, sempre salvati». Nel Nuovo Testamento trovo però che gli apostoli esortavano a non peccare, a santificarci e a perseverare: «Senza la santificazione nessuno vedrà il Signore» (Ebr 12:14); «Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato» (Mat 24:13). Siamo chiamati ad allontanarci sempre più dal peccato, perché esiste il pericolo di restare fuori dal regno di Dio. Gesù ha avvertito chiaramente quelli che hanno solo creduto, ma senza operare: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli […] allontanatevi da me, malfattori!» (Mat 7:21-23). Tu cosa ne pensi? [Dopo le mie risposte, segue una Replica]
1.SIAMO SERVI O FIGLI?
Caro fratello (11/12/18), il tuo esprimerti assomiglia a quello di un “servo di Dio”, che è ricompensato in base ai propri meriti e che può essere sempre licenziato. Da quel poco che ti conosco sono però portato a pensare che la tua esperienza è quella di “figlio di Dio”, che essendo stato a un certo punto adottato, rimarrà sempre figlio. Scrive Paolo ai credenti Romani: «Voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: “Abbà! Padre!” Lo Spirito stesso attesta insieme al nostro spirito che siamo figli di Dio. Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi del Messia» (Rom 8:15-17). Ai versetti che tu citi, però, non voglio contrapporre altri versetti, ma indagare la Parola di Dio in modo diverso.
2.PASSARE DAI VERSETTI DELLA BIBBIA AI SUOI VARI LIBRI
Sappiamo che può bastare un solo versetto della Bibbia, se è ben usato, a produrre in una persona una vita nuova e l’inizio del cammino con Dio. Quando cominciamo a leggere la Bibbia è normale l’essere attratti da particolari espressioni che troviamo qua e là, così ci facciamo un tesoro di conoscenza fatto da un’insieme di versetti, collezionati di solito in sintonia con l’ambiente di chiesa nel quale siamo spiritualmente rinati. Molti restano sempre in questa rassicurante visione della Bibbia, basata solo su alcuni passi. “Bibbia” però significa “Biblioteca” e i vari suoi libri sono stati rivelati da Dio in tempi successivi, con ciascuno che ha un obiettivo preminente, scritto in circostanze diverse e con autori umani tutti guidati dallo Spirito Santo, che però non ne ha annullato la specifica personalità. I versetti che ti ho citati non li ho presi da una Lettera di Paolo a caso e l’essere inseriti nel capitolo 8 non è come se facessero parte del capitolo 2. Chi conosce la Lettera ai Romani sa che nel capitolo 8 Paolo conclude tutto un articolato ragionamento, perciò quelle parole richiamano nella sua mente il modo come Paolo ci è arrivato. Ho però l’impressione che tu non abbia approfondito la Lettera ai Romani nel suo insieme, perciò proverò a fartene uno schema.
3.CENTRALITÀ TEOLOGICA DELLA LETTERA AI ROMANI
Un amico mi ha raccontato com’è iniziato il suo nuovo rapporto con Dio. Era molto attento alle pratiche religiose, ma a un certo punto ha incontrato qualcuno che gli ha detto che Dio è pronto ad accoglierci come figli così come siamo. Si oppose a questo messaggio di una grazia non collegata al comportamento e l’altro concluse: «Non ho intenzione di disputare, perciò ti chiedo solo di leggere con attenzione la Lettera ai Romani, quando torni a casa». Lo fece, ne capì il chiaro messaggio, lo accettò e cominciò a sperimentare una nuova vita in Gesù, una vita da figlio amato da Dio e che voleva amare Dio. Tutta la riforma protestante ha preso avvio da un percorso simile fatto da Lutero. Ogni discussione sulla teologia del Nuovo Testamento deve partire dalla Lettera ai Romani, che si distacca da tutte le altre Lettere di Paolo per circostanze e obiettivi. Tutte le altre, infatti, sono state scritte a persone che già conoscevano Paolo e il messaggio che predicava; in esse Paolo ha affrontato temi e situazioni dettati da particolari circostanze. La Lettera ai Romani è stata invece scritta a persone che non lo conoscevano e l’ha scritta per comunicare quel messaggio che aveva più volte cercato di portare di persona, senza esserci ancora riuscito (Rom 1:10-15). Ha affidato così la sua visione del Vangelo a questa Lettera, nella quale espone le premesse del messaggio, poi il suo contenuto, poi risponde alle più comuni obiezioni, ne trae le conclusioni e le applica alla vita concreta. Il tutto non come “nuovo messaggio” di Dio, ma come riaffermazione di un modo di fare di Dio che non cambia. Ecco perché ogni passaggio viene giustificato con citazioni dell’Antico Testamento. Paolo però si rendeva conto che poteva essere compreso BENE solo da chi già conosceva la precedente rivelazione di Dio e perciò è a loro che si è rivolto, precisando di parlare «a persone che hanno conoscenza della legge» (7:1). Noi cristiani, però, di solito saltiamo questa precisazione di Paolo e pretendiamo di capire BENE il suo messaggio senza conoscere sufficientemente l’Antico Testamento.
4.LIBERATI DALLA COLPA DERIVANTE DAL PECCATO
Paolo comincia affermando che Dio si è rivelato a tutti gli uomini attraverso la creazione e la coscienza, mentre i Giudei hanno in più ricevuto la legge di Mosè. Perciò tutti hanno una legge e tutti possono essere valutati in base al loro comportamento (2:10-11). Ma sulla base della giustizia di Dio «non c’è NESSUN giusto» (3:10), perciò tutto il mondo è colpevole di fronte a Dio (3:19). Perché la legge di Dio non è un mezzo per meritarsi la salvezza, ma per arrivare a capire che siamo trasgressori (3:20). Paolo prosegue scrivendo: «Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio […] mediante la fede in Gesù Messia» (3:21-22). Sono due sistemi separati, ma spesso vengono mescolati e così si concepisce una salvezza un po’ basata sul sacrificio di Gesù e un po’ sul buon comportamento. Paolo nel capitolo 4 mostra poi che questo modo di operare di Dio non è una novità, perché non solo Abramo (prima della legge di Mosè) fu giustificato a motivo della sua fede, ma lo stesso avvenne anche a Davide (dopo la legge di Mosè). Come prima la nostra condanna era certa perché legati al peccatore Adamo, così ora la salvezza è certa per quelli che si sono legati a Gesù (5:12-21).
5.LO SPIRITO SANTO LIBERA DALLA POTENZA DEL PECCATO
Anche ai tempi di Paolo c’era chi interpretava la grazia di Dio come un poter peccare liberamente: «Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi?» (6:1); «Peccheremo forse perché non siamo sotto la legge ma sotto la grazia?» (6:15). Paolo fa notare che l’amore per il peccato è in contrasto con la conversione a Gesù. Poi torna sulla nostra incapacità a osservare la legge anche dopo essere divenuti credenti: «Il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio» (7:19). Ponendosi la domanda: «Chi mi libererà da questo corpo di morte?» (7:24). Per alcuni è come se la Lettera ai Romani finisse qui. Si rassegnano a una vita spiritualmente incoerente, aspettando che la morte li liberi dal loro corpo irrimediabilmente corrotto.
Paolo però non si ferma lì. Prima ribadisce che il credente non perde la salvezza a causa della sua imperfezione: «Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono nel Messia Gesù» (8:1). Poi mostra due categorie di uomini: quelli che sono «nella carne» e quelli nei quali «abita» lo Spirito Santo. Quelli che sono nella carne amano il peccato e non possono piacere a Dio. Ai credenti invece dice: «Voi però non siete nella carne ma nello Spirito, se lo Spirito di Dio abita veramente in voi. Se qualcuno non ha lo spirito del Messia, egli non appartiene a lui […] se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato il Messia Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali […] tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio». Alla domanda «CHI mi libererà?» posta in 7:24, nel capitolo 8 Paolo risponde indicando il liberatore nello Spirito Santo, che abita nel vero credente.
6.CERTI DELLA SALVEZZA PERCHÉ ADOTTATI COME FIGLI
È a questo punto che s’inserisce il passo che abbiamo citato all’inizio e del quale ripetiamo solo alcune parole: «Voi non avete ricevuto uno spirito di servitù … se siamo figli, siamo anche eredi» (8:15-17). La certezza del destino finale del credente è poi ribadita da Paolo rivelando che la conversione di ciascuno è frutto di un disegno eterno di Dio: «Quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo […] e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati». Poi prosegue con un’altra domanda: «Se Dio è per noi chi sarà contro di noi?» (8:31) Concludendo che niente e nessuno «potranno separarci dall’amore di Dio che è nel Messia Gesù, nostro Signore» (8:39).
7.IMPORTANZA DEL DESTINO D’ISRAELE. OPERE COME FRUTTO DELLA SALVEZZA
Per alcuni la parte essenziale della Lettera finisce con il capitolo 8. Per Paolo resta invece da affrontare una questione non secondaria. Infatti, come potremmo fidarci delle promesse di Dio se non ha mantenuto e non manterrà quelle a Israele? Così, nei capitoli 9-11, Paolo mostra in che modo Dio ha mantenuto quelle promesse, che porterà a compimento fino a che «tutto Israele sarà salvato» (11:26).
Solo dopo aver chiarito l’opera di Dio per noi e in noi Paolo esorta a un comportamento pratico coerente (capp. 12-15). Perché è il credente che produce le opere, non sono le opere che ci fanno diventare credenti.
8.LA PERSEVERANZA DEI CREDENTI IN GIOVANNI
Giovanni mostra una particolare attenzione al tema della perseveranza dei credenti. Nel suo Vangelo divide subito gli uomini in due categorie principali: quelli che non ricevono Gesù e quelli che invece credono in lui (Giov 1:10-12). Presto però chiarisce che per essere veri credenti c’è bisogno che anche Gesù si fidi di noi, perché nel nostro credere in Gesù ci possono essere motivazioni superficiali o distorte. Infatti è scritto che «molti credettero nel suo nome, vedendo i segni miracolosi che egli faceva. Ma Gesù non si fidava di loro, perché conosceva tutti» (Giov 2:23-24).
Poi Giovanni entra nel tema in modo specifico: «Molti credettero in lui. Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”» (8:30-32). Questi Giudei avevano fatto un primo passo nella giusta direzione, ma per arrivare a conoscere la verità e a essere liberi dovevano perseverare nel cammino iniziato. La perseveranza avrebbe mostrato se erano già dei veri discepoli, cioè serviva non per conservare la fede, ma per arrivare a una vera fede. Quelli che avevano “creduto” in lui, Gesù poi li definirà «figli del diavolo» (8:44) e loro finiranno per considerare Gesù come un indemoniato (8:44-48)!
Un modo di credere ancora inefficace è quello di chi ha capito chi è Gesù, ma non è ancora pronto a pagarne il prezzo: «Molti, anche tra i capi, credettero in lui; ma a causa dei farisei non lo confessavano, per non essere espulsi dalla sinagoga» (12:42). Fra costoro è inevitabile inserirci Nicodemo, che prima andò da Gesù di notte, ma poi venne gradualmente allo scoperto (3:1-2; 7:50; 19:39). Fra i capi che ebbero bisogno di tempo per maturare una vera fede in Gesù, possiamo inserirci anche quei molti sacerdoti che in seguito accolsero la predicazione di Pietro (Atti 6:7).
Determinante è ciò che Giovanni rivela su Giuda. Sulla base degli altri tre Vangeli si sarebbe portati a pensare che Giuda a un certo punto “perde” la fede e tradisce Gesù. Giovanni chiarisce invece presto che Giuda, nel suo intimo invisibile agli uomini, era sempre stato «un diavolo» e un «ladro» (6:70; 12:6).
Giovanni non si limita però a questi esempi, seppur molto significativi, ma nella sua prima Lettera torna sul tema. Si dilunga spesso sui criteri per distinguere chi «dice» di essere credente e chi lo è veramente, stabilendo un principio generale: «Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; perché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi» (1Giov 2:19). Non dice: «Non sono più dei nostri», ma afferma che non lo erano nemmeno prima, quando sembravano credenti, applicando così a tutti l’esempio di Giuda.
9.PERSEVERANTI FINO ALLA FINE PER GRAZIA E NON PER OPERE
Pietro era determinato a perseverare fino a dare la propria vita, ma questo contò poco, mentre risultò efficace l’amore e la preghiera di Gesù per lui (Luca 22:31-34). Paolo, non a caso, esortò i Galati a proseguire il cammino di fede così come l’avevano cominciato, cioè continuando ad avere fede in Gesù e nell’opera dello Spirito Santo (Gal 3:2-3). Il nostro avvocato Gesù ci ha affidato nella mani del Padre: «Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati […] Padre santo, conservali nel tuo nome […] quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta» (Giov 17:9-12). Gesù non ha pregato solo per gli apostoli, ma anche per i discepoli che sarebbero venuti dopo: «Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola» (Giov 17:20).
Grazie, Padre nostro che sei nei cieli, che anche noi oggi possiamo essere fiduciosi nella tua mano di protezione, che ha cominciato in noi un’opera buona e che la porterà fino alla fine (Fil 1:6).
REPLICA
Caro fratello, ho letto con attenzione la tua risposta e come al solito sei stato chiaro. Però mi sembra che la tua interpretazione sia in contrapposizione con il resto del Nuovo Testamento. Per questo ho ancora qualche dubbio sulla dottrina “una volta salvati, sempre salvati”. Ho l’impressione che chi la sostiene perda di vista che la Bibbia ci dice chiaramente che in noi sono presenti due nature, che ci spingono in direzioni opposte, perciò non c’è solo la nuova creatura in Cristo. Bisogna perciò stare attenti a quale curiamo di più, perché vincerà quella nutrita meglio.
La mia convinzione è che Gesù ci dona la salvezza gratis, senza potercela guadagnare con opere, in quanto è impossibile all’uomo. Una volta che abbiamo creduto e siamo salvati, però, bisogna mantenere questa posizione, con la nostra mano nella mano di Dio senza staccarsi, altrimenti si è in pericolo. Evidentemente, ogni tanto la nostra natura carnale ci porterà a fare qualche errore, però per questi errori fatti ogni tanto non volendo, per non aver vegliato sufficientemente, la Bibbia dice che abbiamo un Avvocato preso il Padre. Se perciò riconosciamo, confessiamo e abbandoniamo i nostri errori, egli è pronto a perdonarci, avendo un Sommo Sacerdote che può simpatizzare con noi nelle nostre debolezze (Ebr 4:15-16).
Nella Bibbia trovo scritto chiaramente che la salvezza si può perdere (per es. Ebr 6:4-8; 10:26-29; 1Pie 4:17-18; Col 1:22-23; Fil 2:12; Tito 2:11-12). Su questo argomento non sono perciò d’accordo con te. Spero che ciò non ti irriti e che mi capirai, continuando nel nostro rapporto di fratelli e amici, augurandoti tante benedizioni nel Messia.
RISPOSTA ALLA REPLICA. Il tema spingerebbe a un dialogo ampio e complesso, ma è opportuno non dilungarci ulteriormente, con la disponibilità ad affrontare eventuali richieste di approfondimento su qualche specifico aspetto. Dato che ho incentrato la mia risposta sulla Lettera ai Romani, traggo le conclusioni ripartendo da essa. Nelle dispute, ognuno è convinto di avere ragione e Paolo ci si rassegna, ma poi invita a controllare se i forti siamo noi e i deboli gli altri: «Noi, che siamo forti, dobbiamo sopportare le debolezze dei deboli» (Rom 15:1). Il problema non è tanto se abbiamo ragione, ma come essere d’aiuto all’altro. Paolo ce ne indica pure il modo: «Accogliete colui che è debole nella fede, ma non per sentenziare sui suoi scrupoli» (Rom 14:1). Ogni credente, dopo essere nato «bambino in Gesù» (1Cor 3:1), inizia un cammino che lo porterà a raggiungere «la statura perfetta del Messia» (Efe 4:13). Questo cammino è più sicuro e più veloce se amiamo e teniamo vicino quelli che sono diversi da noi e che, proprio per questo, ci permettono di beneficiare di aspetti di Gesù che a noi mancano.
Si tende a concentrarsi sulle formulazioni dottrinali, ma non è secondario come poi vengono messe in pratica. Un credente mi ha raccontato di alcune chiese che professano la dottrina della perdita della salvezza, ma nella pratica molti si sentono sicuri che Dio li aiuterà a raggiungere il traguardo. Altre chiese insistono sulla certezza della salvezza, cercando di rassicurare anche quelli che nella realtà non sono “nati di nuovo” e che non fanno vedere la presenza in loro dello Spirito di Dio: questi andrebbero aiutati a realizzare un vero rapporto con Dio, evitando di rassicurare una loro coscienza che comunque non riesce a stare tranquilla.
Le dispute vanno evitate il più possibile, tanto più su questo sito, nato per offrire una possibilità di dialogo aperto. Non a caso, ci abbiamo messo un post che invita a non usare una mal compresa “sana dottrina” per far del male agli altri (vedere sana dottrina). Con un altro post che propone un modo per ricostruire i rapporti deteriorati con i fratelli in Gesù (vedere ricostruzione dei rapporti).
Un grazie al fratello per le domande e soprattutto per la replica, nella quale ha mantenuto la sua amicizia in Gesù nonostante la diversità di opinioni. Amicizia che evidentemente contraccambio.