Fernando De Angelis

PAOLO E GESÙ

Capire meglio Paolo per capire meglio Gesù

Paolo e Gesù 2. 

C’È UN SOLO DIO, IL PADRE, E UN SOLO MEDIATORE, GESÙ UOMO (APOSTOLO PAOLO)

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1.Introduzione

2.Il linguaggio di Paolo su Gesù e Dio Padre

3.L’impostazione “trinitaria” della prima Lettera di Pietro

4.L’essere Messia di Gesù è al centro dalla 1Giovanni

5.Il variegato uso di “Signore” negli Atti degli apostoli

A.Anche negli Atti c’è al centro Gesù come Messia

B.“Signore” riferito a Gesù

C.“Signore” riferito a Javè/Dio Padre nelle citazioni dell’Antico Testamento

D.“Signore” riferito a Javè/Dio Padre in altri casi

E.“Signore” con riferimento più o meno incerto

F.Versetti trinitari

6.Esaltazione di unità e distinzione nell’Apocalisse

1.INTRODUZIONE

Per spiegare la divinità di Gesù, di solito si comincia con il fare riferimento a Giovanni 1:1 e 10:30, affermando che «Gesù è Dio» e che «Gesù è uno con il Padre e perciò sono la stessa cosa». Presto però si arriva a concludere che non possiamo capirlo bene perché è un mistero troppo grande, sentendosi così autorizzati a restare nella confusione. Prima dell’unità fra Padre e Figlio, però, sia Giovanni 1:1 che 10:30 ne affermano la distinzione: «La Parola era con Dio, e la Parola era Dio»; «Io e il Padre, siamo uno».

L’unità fra Padre e Figlio, poi, va intesa nel senso che Giovanni stesso precisa, nel riferire la preghiera di Gesù per i discepoli: «Siano uno, come noi siamo uno». I discepoli non sono certo chiamati a essere la stessa persona, ma a essere un’unità di spirito, cosi come Gesù e il Padre sono «uno» in spirito e perché hanno la stessa natura divina, restando persone distinte.

La dottrina ufficiale di tutta la cristianità afferma che Padre, Figlio e Spirito Santo hanno la stessa natura divina, cioè sono della stessa “sostanza”, ma restano persone distinte. Spesso però la cristianità trascura la sua stessa dottrina ufficiale, praticando l’equivoco. Il figlio di un gatto ha la natura di un gatto, così il Figlio di Dio ha la stessa natura del Padre.

Fin dalle prime parole della sua Lettera a Timoteo, Paolo mostra di avere idee molto chiare, semplici e precise su Gesù e sul suo rapporto con il Padre. Mentre più avanti (2:5) si esprime con una frase che è molto apprezzata dai protestanti, perché afferma che Gesù è il solo mediatore fra Dio e gli uomini, ma si trascura sistematicamente la precisazione di Paolo che «c’è un solo Dio», cioè il Padre, ribadendo che Gesù resta «uomo».

Mi sono già dedicato altre volte a questo tema. Alcune pagine sono presenti nel libro sugli Atti (“Note agli Atti”, “Collegamento n. 4. L’insegnamento della divinità di Gesù nel Nuovo Testamento”, 2016, pp. 36-41). Nel mio libro sul Vangelo di Matteo, in corso di preparazione, all’argomento è dedicata una parte del capitolo 4 (par. 3, “Giovanni: la divinità di Gesù come filo conduttore”) e una scheda (“Approfondimento n. 4. Riportare la Trinità in Galilea”). Queste più recenti formulazioni riprendono e adattano alcune parti di un ampio studio fatto precedentemente, intitolato “La Trinità fra Antico e Nuovo Testamento” (50 pp. in A4, del 2010), reperibile online (link). Per facilitare chi desidera consultare anche i precedenti scritti, ho predisposto un “Dossier Trinità”, cioè una cartella contenente questo file e i tre precedenti, rendendomi disponibile a inviarlo come allegato email a chi me ne farà richiesta all’indirizzo deanfer2018@gmail.com.

2.IL LINGUAGGIO DI PAOLO SU GESÙ E DIO PADRE

Paolo si esprime su Gesù e sul Padre già nell’intestazione della sua prima Lettera a Timoteo: «Paolo, missionario del Messia Gesù per ordine di Dio, nostro Salvatore, e del Messia Gesù, nostra speranza, a Timoteo… » (1Tim 1:1-2).

Nel dire «Per ordine di Dio […] e di Gesù», Paolo delinea una chiara distinzione fra Padre e Figlio. Gesù è però anche indicato come strettamente partecipe delle decisioni del Padre («per ordine di Dio […] e del Messia Gesù») e ciò non sarebbe possibile se Gesù non ne condividesse la natura divina, cioè se non fosse «uno» con il Padre. Subito sotto (v. 3) Paolo ripete quest’associazione: «Grazia, misericordia, pace, da Dio Padre e dal Messia Gesù». Mentre nel primo versetto è implicito che Paolo, scrivendo «Dio», intende il Padre, qui è reso esplicito.

Nello scrivere «per ordine di Dio, nostro Salvatore, e del Messia Gesù, nostra speranza», Paolo utilizza lo schema ebraico classico di mettere in parallelo due espressioni, con la seconda che ribadisce e arricchisce la prima. Dio Padre è definito «nostro Salvatore» e Gesù «nostra speranza»: due caratteristiche necessariamente convergenti. Anche se altrove «nostro Salvatore» indica Gesù (per es. Fil 3:20), nella 1Timoteo è riferito senza dubbio al Padre (vedere anche 2:3 e 4:10), ma non c’è contraddizione, perché Padre e Figlio collaborano agli stessi obiettivi e spesso il Padre opera tramite il Figlio, non solo nella redenzione, ma fin dalla creazione (Giov 1:3; Rom 3:22; 1Cor 8:6; 2Cor 5:18-20; Col 1:16-20; Ebr 1:2).

Più avanti, Paolo si esprimerà ancor più chiaramente: «C’è UN SOLO DIO e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, il Messia GESÙ, UOMO» (2:5).

Abbiamo visto che in 1:3 per «Dio» Paolo intende il Padre. In 2:5 lo rende implicito il contesto, ma una conferma inequivocabile la troviamo in un’espressione parallela presente in 1Corinzi 8:6: «Per noi c’è un solo Dio, il Padre». Scrivendo a Timoteo, Paolo non aveva bisogno di precisarlo, ma nella chiesa di Corinto c’erano molti credenti di provenienza pagana e perciò potevano crearsi malintesi, rendendo opportuna la precisazione.

La visione di Gesù come mediatore permea tutto il Nuovo Testamento, dove ricorre spesso l’espressione «per mezzo di Gesù» o similari (per es. Giov 1:3; Rom 5:17; Ebr 9:15). Gesù rappresenta perciò una specie di ponte, avendo un lato in unione con Dio e l’altro umano. Nella sua funzione di mediatore è perciò implicita la sua divinità, ma quello che Paolo ribadisce esplicitamente è che Gesù resta UOMO, anche dopo la risurrezione e la salita al cielo. Se infatti la divinità di Gesù è esaltata al punto che ne è svalutata l’umanità, allora anche la sua funzione mediatrice si svaluta.

In altri casi, Gesù è sentito come più rassicurante e così diventa l’obiettivo più che il mezzo; si arriva così a porre Gesù al centro e Dio Padre in secondo piano. All’opposto, può succedere che Gesù stesso divenga sostanzialmente inarrivabile e così si manifesta un distacco fra noi e Dio. Il traguardo finale che il Nuovo Testamento ci pone davanti non ha questi squilibri, come ora vediamo. Anche se sul tema, essendo molto vasto, dobbiamo limitarci all’indispensabile.

Per il Nuovo Testamento i credenti in Gesù sono persone che hanno iniziato un cammino che li porterà a essere tutti come Gesù (1Cor 15:49; Fil 3:21; 1Giov 3:2), con le diversità umane che si armonizzeranno e diventeranno un’unità, perché componenti sempre più precise del «corpo di Gesù» (Efe 4:11-13). L’insieme dei credenti non solo sarà unita nel Messia Gesù, ma entrerà nella relazione fra Gesù e il Padre: «Che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi»;  (Giov 17:21). L’armonia fra natura umana e natura divina, che si è pienamente realizzata in Gesù, diverrà allora la condizione anche dei credenti.

Riassumendo con qualche libertà, si potrebbe allora dire che il Nuovo Testamento presenta prima la “duità” fra Padre e Figlio; poi la “trinità” fra Padre, Figlio e Spirito Santo; infine la “quadriunità”, costituita dall’inserimento dei credenti uniti all’interno dei rapporti trinitari.

Vediamo ora più completamente il passo di 1Corinzi 8:6, al quale abbiamo già accennato: «Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Messia, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo». Il termine «Signore» ha una grande ampiezza di significati, potendo essere un semplice titolo di cortesia rivolto a un uomo, fino a indicare il nome di Dio (Tetragramma) nella traduzione greca dell’Antico Testamento. Riferito a Gesù, il titolo di «Signore» si collega per lo più all’essere il nostro re. Anche qui Paolo si concentra sulla funzione mediatrice di Gesù («mediante») e su un parallelismo fra Gesù e il Padre, che implica la natura divina di Gesù.

Un’altra espressione similare di Paolo si trova in Efesini 4:4-6: «Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati a una sola speranza, quella della vostra vocazione. V’è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti». Mentre in 1Corinzi 8:6 Paolo ha reso esplicito che per «un solo Signore» intendeva Gesù Messia, in Efesini 4:5 sembra implicito, ma Paolo lo ha reso esplicito nelle parti precedenti della stessa Lettera, avendo già più volte usato l’espressione «Signore Gesù Messia» (1:2,3,17; 3:11).

«Sopra di tutti, fra tutti e in tutti» può considerarsi una ripetizione, dove prima è rievocato il Padre («sopra tutti»), mentre Gesù è sottinteso in «fra tutti», dato che lo ha in precedenza definito come «capo supremo della chiesa» e come «pietra angolare» alla quale sono unite le altre pietre rappresentate dai credenti (Efe 1:22; 2:20-22; cfr. Mat 18:20). Infine Dio è presente «in tutti» per mezzo dello Spirito Santo, come già fatto intravedere da Paolo nella stessa Lettera, parlando prima di un «sigillo dello Spirito Santo» posto evidentemente nel cuore del credente, poi prospettando un «essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore» (Efe 1:13; 3:16; cfr. Giov 14:17).

Le tre persone della Trinità sono dunque ricondotte all’unità e all’armonia per il fatto che il Padre è «sopra tutti». La loro unità si realizza anche nel discepolo di Gesù, che si relaziona da subito con la Trinità, seppur in modi più o meno profondi. Efesini 4:4-6 si può allora definire un passo “quadriunitario”.

Per tre volte, insomma, il Nuovo Testamento riporta in modo esplicito che Paolo, quando scriveva “Dio”, intendeva il Padre. Non sono molti i concetti di Paolo che troviamo chiaramente espressi per tre volte. Eppure sembra che i cristiani, teologi o non teologi, tengano poco presente la sua sintesi, quando si inoltrano e si confondono nel complesso rapporto fra Gesù e il Padre.

3.L’IMPOSTAZIONE “TRINITARIA” DELLA PRIMA LETTERA DI PIETRO

Si sa che Paolo possedeva una raffinata cultura, sia biblica che greco-romana. Si sentiva però debitore «verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti» (Rom 1:14). Così, per farsi capire da tutti, usava un linguaggio accessibile a tutti. Pietro e Giovanni, invece, erano pescatori della Galilea e si capiva subito che erano «popolani senza istruzione» (Atti 4:13). Data la loro diversità con Paolo, diviene interessante esaminare anche il loro linguaggio su Gesù e sul Padre. Lo faremo concentrandoci anche in questo caso su due Lettere scritte “agli amici”, cioè sulla 1Pietro e sulla 1Giovanni.

Iniziamo con una serie di citazioni dalla 1Pietro.

1:1-2. «Pietro, apostolo di Gesù Messia, agli eletti […] secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, a ubbidire e a essere cosparsi del sangue di Gesù Messia: grazia e pace vi siano moltiplicate».

1:3. «Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Messia».

1:21. «Per mezzo di lui [Messia] credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza siano in Dio».

2:5-6. «Anche voi […] graditi a Dio per mezzo di Gesù Messia».

3:15. «Glorificate il Messia come Signore nei vostri cuori».

3:18. «Anche il Messia ha sofferto […] per condurci a Dio».

3:21-22. «Gesù Messia che, asceso al cielo, sta alla destra di Dio».

4:11. «In ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Messia».

5:10. «Il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna nel Messia».

Come si vede, anche Pietro con «Dio» intende il Padre. Gesù è il «nostro Signore», che svolge il principale ruolo di mediatore («per mezzo»), associato strettamente al Padre. Di Gesù si sottolinea il suo essere «Messia», cioè il Salvatore promesso a Israele.

Pietro mette più volte in evidenza anche l’opera dello Spirito Santo: sia nei primi due versetti riportati sopra, sia nei seguenti.

1:10-11. «I profeti […] cercavano di sapere l’epoca e le circostanze cui faceva riferimento lo Spirito del Messia che era in loro».

1:12. «Coloro che vi hanno predicato il Vangelo, mediante lo Spirito Santo inviato dal cielo».

4:6. «Gli uomini possano vivere mediante lo Spirito, secondo la volontà di Dio».

4:14. «Se siete insultati per il nome del Messia, beati voi! Perché lo Spirito di gloria, lo Spirito di Dio, riposa su di voi».

Questa Lettera di Pietro si può perciò considerare nell’insieme “trinitaria”, con i versetti 1:1-2 e 4:14 che lo sono in sé.

Anche diversi anni fa provai a cercare la semplicità del linguaggio degli apostoli in riferimento alla Trinità, ma il tentativo si arenò presto. Perché il Nuovo Testamento non usa sempre un linguaggio “neotestamentario” e proprio in questa Lettera ce n’è qualche esempio. Il problema più evidente è che l’Antico Testamento usa un linguaggio “monoteista semplice” e, dove nell’originale c’è il Tetragramma (Javè) la traduzione greca già in uso fra i Giudei traduceva «Signore». Anche se gli apostoli indicano Gesù come «il Signore», nelle citazioni dell’Antico Testamento «Signore» si riferisce di solito al Padre. Riportiamo tre citazioni che Pietro fa dell’Antico Testamento.

1:25. «Mediante la parola vivente e permanente di Dio [Padre] […] la parola del Signore [Dio] rimane in eterno» (cfr. Isa 40:6-8).

2:3. «Se davvero avete gustato che il Signore [Javè] è buono» (cfr. Sal 34:8).

3:12-13. «Gli occhi del Signore [Javè] sono sui giusti […] ma la faccia del Signore [Javè] è contro quelli che fanno il male» (cfr. Sal 34:15-16).

All’altro estremo troviamo che “Signore” poteva essere rivolto a una persona qualsiasi come forma di cortesia, come succede anche oggi. Pietro riporta il caso di Sara che indicò il marito Abramo con «signore» (3:6; cfr. Gen 18:12) (bisogna tener conto che negli originali le lettere erano tutte maiuscole).

Paolo e Pietro, insomma, mostrano un “linguaggio abituale” che si usava fra credenti e che era diverso da quello “condizionato” da particolari circostanze, come vedremo chiaramente nel paragrafo 5, dove faremo un confronto con il modo da loro usato nelle varie situazioni riportate negli Atti degli apostoli.

4.L’ESSERE MESSIA DI GESÙ È AL CENTRO DALLA 1GIOVANNI

Riportiamo una serie di citazioni dalla prima Lettera di Giovanni.

1:3. «La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Messia».

1:5-7. «Dio è luce […] il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica di ogni peccato».

2:1. «Noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Messia».

2:22. «Chi è il bugiardo se non colui che nega che Gesù è il Messia? Egli è l’anticristo che nega il Padre e il Figlio».

3:21-24. «Abbiamo fiducia davanti a Dio […] Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo, Gesù Messia […] Da questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato».

4:2. «Da questo conoscerete lo Spirito di Dio: ogni spirito, il quale riconosce pubblicamente che Gesù Messia è venuto nella carne, è da Dio».

4:9. «Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo».

4:15. «Chi riconosce pubblicamente che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane il lui».

5:1. «Chiunque crede che Gesù è il Messia, è nato da Dio».

5:5-6. «Chi è che vince il mondo se non colui che crede che Gesù è il Figlio di Dio? […] Ed è lo Spirito che ne rende testimonianza».

Il linguaggio di Giovanni è come quello di Paolo e di Pietro. Ciò è un inequivocabile segno che si tratta non di scelte personali, ma di un modo di esprimersi comune a tutta la Chiesa del tempo apostolico.

Anche Giovanni, quando scrive «Dio», intende il Padre (1:5-7; 3:21-24; 4:9; 4:15; 5:1), con Gesù che è «il Figlio di Dio». La definizione di «mediatore» di Gesù data da Paolo in 1Timoteo, abbiamo visto che Pietro la esprime con «per mezzo» o equivalenti, mentre Giovanni introduce il bel termine di «avvocato», che è un mediatore in campo giuridico, che in questo caso opera efficacemente per farci ottenere e per mantenerci la grazia di del Padre, giudice supremo.

C’è però una particolare accentuazione di Giovanni sulla necessità di riconoscere in Gesù non solo il Figlio di Dio e il nostro mezzo di salvezza, ma l’essere il MESSIA. Un’accentuazione che vedremo essere presente anche negli Atti, ma che molti non colgono, perché il significato del termine «Cristo» è per loro ignoto o troppo vago.

Ci chiariamo con un esempio. Se uno dice: «Dobbiamo credere che Fernando è il De Angelis», fa un’affermazione di poco significato, che serve solo a identificare chi è il vero Fernando. Se io invece mi chiamassi «Fernando il Medico», dire: «Dobbiamo credere che Fernando è il Medico» assumerebbe un significato preciso, con il sottinteso che Fernando è il «vero Medico», che solo conosce la giusta medicina, con la quale possiamo guarire da una malattia mortale.

Se io fossi «Fernando il Medico» e andassi in Africa, continuando a chiamarmi «Medico», cioè senza tradurre la parola, molti mi chiamerebbero «Medico» senza saperne il significato, oppure identificandomi nella categoria degli stregoni. Conta poco, poi, se uno sa cosa significa «medico» in italiano, ma poi non conosce quali siano le preziose cure che prescrivo. Affermare che «Fernando è il Medico», allora, significa proporre non solo una persona, ma anche un medico e una particolare cura.

Molti cristiani, purtroppo, attribuiscono alla parola «Cristo» la stessa funzione che ha «De Angelis», cioè di un cognome che serve a indicare con precisione l’individuo. Pochissimi ne comprendono la rilevanza che aveva per i destinatari della prima Lettera di Giovanni. Loro leggevano l’Antico Testamento in greco, dove la parola ebraica «Messia» era già stata tradotta con il greco «Cristo», cioè «Unto». «L’Unto» rappresentava la speranza finale nella quale convergeva tutto l’Antico Testamento e indicava quello straordinario re figlio di Davide che sarebbe venuto a istaurare il regno di Dio sulla Terra. Ci limitiamo a estrarre solo qualche espressione dal Salmo 2: «I re della terra si danno convegno e i principi congiurano insieme contro Javè e contro il suo Unto […] “Tu sei mio figlio, oggi io t’ho generato. Chiedimi, io ti darò in eredità le nazioni e in possesso le estremità della terra”» (vv. 2-8).

L’importanza che Giovanni attribuisce a questo tema si può vedere anche dal fatto che, dopo averlo affermato in 2:2, lo riprende in 4:2 e, più evidentemente, in 5:1. Chi afferma che «Gesù è il Cristo», ma senza comprenderne sufficientemente il significato, assomiglia perciò a chi lo nega ed è pericolosamente vicino all’Anticristo.

I nazisti si proclamavano combattenti “per Dio e per Gesù”, ma negavano l’ebraicità di Gesù e il suo essere in continuità con l’Antico Testamento, aiutati in ciò dal termine «Cristo», incompreso dai più. Siccome l’italiano «Unto» non farebbe capire granché, abbiamo scelto di usare sistematicamente «Messia» al posto di «Cristo». Non tutti capiscono il significato di «Messia», ma quasi tutti colgono che il suo significato si trova nell’Antico Testamento, connotando perciò Gesù come un frutto maturato all’interno del popolo Ebreo.

  1. IL VARIEGATO USO DI “SIGNORE” NEGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

Abbiamo suddiviso i versetti in base al significato che viene dato a “Signore”.

A.Anche negli Atti c’è al centro Gesù come Messia.

Dagli Atti si vede che la predicazione era incentrata sul fatto che Gesù era il Messia promesso. Significativa è l’espressione che usa Pietro nella prima predicazione a Pentecoste: «Sappia dunque con certezza la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Messia quel Gesù che voi avete crocifisso» (2:36). Qui «Signore» è nel senso di «re», che è pure il principale senso di «Messia», inteso come «Unto re», cioè erede di Davide. I significati dei due termini sono dunque convergenti e anche «Principe», in 5:31, se consideriamo Dio come re supremo in cielo, è assimilabile a «re sulla Terra».

Certamente in 2:36, con «Signore», Pietro non voleva significare «Javè», come si può capire dal Salmo 110:1, sul quale Pietro ha fatto leva (cfr. 2:34-35) e che recita: «Javè ha detto al mio Signore: “Siedi alla mia destra, finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi”». Pietro voleva dire che Gesù è quel «mio signore» annunciato da Davide, non certo che Gesù è Javè. D’altronde la sua affermazione che «Dio ha costituito Signore e Messia quel Gesù» non avrebbe senso, se la trasformiamo in «Dio ha costituito Dio e Messia quel Gesù».

Di seguito un elenco di passi che, negli Atti, riguardano Gesù come Messia.

2:36: «Dio ha costituito Signore e Messia quel Gesù che voi avete crocifisso».

4:26: «I principi si sono riuniti insieme contro […] il suo Messia».

5:42: «Non cessavano di insegnare e di portare il lieto messaggio che Gesù è il Messia».

8:5: «Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Messia».

8:37: «Io credo che Gesù Messia è il Figlio di Dio».

9:22: «Saulo […] confondeva i Giudei […] dimostrando che Gesù è il Messia».

9:34: «Gesù Messia ti guarisce»

10:36. Pietro annunciò a Cornelio il «lieto messaggio di pace per mezzo di Gesù Messia».

15:26: «Per il nome del Signore nostro Gesù Messia».

17:3: «Dimostrando che il Messia doveva morire […] “il Messia […] è quel Gesù”» (Paolo).

18:5: «Testimoniando ai Giudei che Gesù era il Messia» (Paolo).

18:28. Apollo dimostrava «con le Scritture che Gesù è il Messia».

20:21: «Ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Messia» (cfr. 11:17).

24:24: Il governatore Felice ascoltò Paolo sulla fede «nel Messia Gesù».

26:22-23: «I profeti e Mosè hanno detto […] che il Messia avrebbe sofferto».

28:31: «Insegnando le cose relative al Signore Gesù Messia».

B.“Signore” riferito a Gesù.

1:21: «Signore Gesù» (4:33; 20:35).

1:24: «Tu, Signore, che conosci i cuori». Preghiera a Gesù, considerato il contesto (cfr.1:21).

2:36: «Dio ha costituito Signore e Messia quel Gesù che voi avete crocifisso».

5:14: «Si aggiungevano uomini e donne in gran numero, che credevano nel Signore».

7:59-60: «Lapidarono Stefano che invocava Gesù e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito” […] “Signore, non imputar loro questo peccato”».

8:16: «Erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù».

9:1-17. Nella conversione di Paolo, per 10 volte «Signore» si riferisce chiaramente a Gesù.

9:31-42. Oltre ai 10 della prima parte, questa seconda parte del cap. 9 ne contiene altri 5.

10:36: «Gesù Messia. Egli è il Signore di tutti»

11:16-17: «Mi ricordai allora di quella parola del Signore che diceva: “Giovanni ha battezzato con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo” [Atti 1:5] […] Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato anche a noi che abbiamo creduto nel Signore Gesù Messia».

11:20-23: «Il lieto messaggio del Signore Gesù. La mano del Signore era con loro;  e grande fu il numero di coloro che credettero e si convertirono al Signore»

11:22-24: «Quando Barnaba giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò, e li esortò tutti ad attenersi al Signore […] E una folla molto numerosa fu aggiunta al Signore».

12:7,11,17: «Un angelo del Signore […] “Il Signore ha mandato il suo angelo” […] Pietro raccontò in che modo il Signore lo aveva fatto uscire dal carcere».

13:2: «Mentre celebravano il culto del Signore».

14:23: «Li raccomandarono alla grazia del Signore, nel quale avevano creduto».

15:11: «Salvati mediante la grazia del Signore Gesù».

15:26: «Per il nome del Signore nostro Gesù Messia».

15:35-36: «Paolo e Barnaba […] portando […] il lieto messaggio della Parola del Signore […] “Ritorniamo ora a visitare […] le città in cui abbiamo annunziato la Parola del Signore”».

21:13-14 «Per il nome del Signore Gesù» […] «Sia fatta la volontà del Signore».

«“Chi sei, Signore?” Ed egli mi rispose: “Io sono Gesù il Nazareno” […] Allora dissi: “Signore, che devo fare?” E il Signore mi disse».

22:18-19: «Vidi Gesù […] E io dissi: “Signore, essi…”».

23:11 Il Signore disse a Paolo: «Come hai reso testimonianza di me a Gerusalemme…».

26:15: «Io dissi: “Chi sei, Signore?” E il Signore rispose: “Io son Gesù…”».

La lunghezza di questo elenco, rispetto agli altri, mostra subito che “Signore” indicava principalmente Gesù, confermando così quanto emerso nelle Lettere degli apostoli viste prima.

Tralasciamo di esaminare i vari passi, essendo in sé sufficientemente chiari, soffermandoci invece sul capitolo 9, perché per ben 15 volte ci troviamo la parola “Signore”, con un suo significato che si concentra su Gesù. Le circostanze diverse consentono a Luca di introdurre un’evidente discontinuità fra un linguaggio incerto, usato nel capitolo 8, e la chiarezza del significato di “Signore” nel capitolo 9. Il capitolo può essere diviso in tre parti: nelle prima (vv. 1-22) viene raccontata la conversione di Paolo, nella seconda (vv. 23-31) ce ne sono gli sviluppi e nella terza (vv. 32-41) il protagonista diventa Pietro.

Come noto, mentre Paolo andava verso Damasco per perseguitare i seguaci di Gesù, gli sfolgorò intorno una luce e sentì una voce. Domandò allora: «Chi sei, Signore?» (9:5). È ammissibile tradurre mettendo la “S” maiuscola, ma il contesto fa pensare a una “formula di cortesia” rivolta da Paolo a uno che sul momento è sconosciuto. Il racconto di Luca così prosegue: «E il Signore: “Io sono Gesù, che tu perseguiti”». Mentre Paolo aveva detto «Signore» in senso generico, subito dopo Luca indica Gesù come «il Signore», rafforzando quest’associazione in tutto il capitolo.

Per istruire Paolo, Gesù usò Anania, che cominciò con il dirgli: «Fratello Saulo, il Signore, quel Gesù che ti è apparso». Al neo convertito Paolo bisognava specificare che «il Signore» significava Gesù, associazione che nell’ambito della Chiesa veniva data per scontata, come ben si vede dalle Lettere degli apostoli. Nella 1Corinzi, per esempio, in un passo già ricordato, Paolo scrive che «per noi c’è un solo Dio, il Padre […] e un solo Signore, Gesù Messia» (1Cor 8:6). La corrispondenza fra «il Signore» e Gesù è poi confermata da Paolo più avanti, quando scrive: «Nessuno può dire: “Gesù è il Signore!” se non per lo Spirito Santo» (1Cor 12:3).

Quando Paolo giunse a Gerusalemme, Barnaba raccontò agli apostoli «come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato» (9:27): in quel contesto di credenti, non c’era bisogno di precisare che «il Signore» significava Gesù. Il brano si conclude con la constatazione che la Chiesa: «Camminando nel timore del Signore e nella consolazione dello Spirito Santo, cresceva costantemente di numero». L’espressione «timore del Signore», presa in sé, farebbe pensare al Padre, ma dopo dodici volte che «il Signore» ha indicato Gesù è pure lecito pensare che riguardi lo stesso Gesù. L’una cosa non esclude l’altra, visto come Gesù si è associato al Padre e la piena sintonia fra Padre e Figlio.

Nell’episodio successivo, Pietro si rivolge a un paralitico dicendogli: «Enea, Gesù Messia ti guarisce; alzati e rifatti il letto» (9:34). Poi prosegue con Pietro che risuscita Tabita (9:40) e con la constatazione che «ciò fu risaputo in tutta Ioppe, e molti credettero nel Signore» (9:42). Dato che le guarigioni venivano fatte nel nome di Gesù, il «Signore» nel quale inducevano a credere era evidentemente Gesù.

C.“Signore” riferito a Javè/Dio Padre nelle citazioni dell’Antico Testamento.

2:20-21: «Il grande e glorioso giorno del Signore […] chiunque avrà invocato il nome del Signore» (cfr. Gioele 2:28-32).

2:25: «Io ho avuto continuamente il Signore davanti agli occhi» (cfr. Sal 16:8).

2:34: «Il Signore [Javè, Sal 110:1] ha detto al mio Signore: “Siedi alla mia destra, finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi”».

4:26: «I principi si sono riuniti insieme contro il Signore [Javè, Sal 2:2] e contro il suo Messia».

7:31-33: Mosè «udì la voce del Signore [Javè] […] il Signore [Javè] gli disse» (cfr. Eso 3:4-7).

7:49: «Quale casa mi costruirete, dice il Signore [Javè, cfr. Isa 66:1-2]».

13:47: «Così infatti ci ha ordinato il Signore, dicendo: “Io ti ho posto come luce”»[cfr. Isa 49:6].

15:17: «Dice il Signore [Javè, Amos 9:12] che fa queste cose».

È opportuno ribadire in sintesi quanto precisato già altrove. Al tempo degli apostoli, anche nelle sinagoghe si leggeva l’Antico Testamento nella versione greca detta dei Settanta, dove il Tetragramma indicante il nome di Dio (Javè) veniva reso con “Signore”. In sintonia con la consolidata scelta gli Ebrei, che evitavano di pronunciare il Tetragramma, per non correre il rischio di farlo «invano», violando così uno dei dieci comandamenti (cfr. Eso 20:7). Ne deriva che, nelle citazioni dell’Antico Testamento presenti nel Nuovo, “Signore” indica Javè.

D.“Signore” riferito a Javè/Dio Padre in altri casi.

2:39: «Per quanti il Signore [Javè], nostro Dio, ne chiamerà».

3:20: «Affinché il Signore [Javè] mandi il Messia, cioè Gesù».

4:24-30: «Signore [Javè], tu sei colui che ha fatto il cielo […] Adesso, Signore [Javè] […] si facciano segni e prodigi mediante il nome del tuo santo servitore Gesù».

Ci sono solo tre casi, al di fuori delle citazioni dell’Antico Testamento, nei quali “Signore” è chiaramente riferito a Javè/Dio Padre ed è bene soffermarcisi.

In 2:39 Pietro sta predicando a Gerusalemme e, a scanso di equivoci, aggiunge a “Signore” la precisazione di “nostro Dio”. Dato che Pietro si sta rivolgendo a Ebrei, l’espressione «il Signore nostro Dio» era un modo indiretto ma chiaro per evocare il Tetragramma.

In 3:20 c’è un’altra predicazione di Pietro a Gerusalemme. Anche qui il contesto rende indubitabile che con “Signore” si evochi il Tetragramma, sia perché in 3:18 si parla del Dio dei profeti, sia perché il Messia era notoriamente un inviato di Javè.

In 4:24-30 è riportata una preghiera dei discepoli e potrebbe sembrare incoerente che usino “Signore” per indicare il Padre. Un motivo potrebbe essere dato dal fatto che la preghiera include una citazione dell’Antico Testamento (v. 26), dove era necessario usare “Signore”. Usarlo anche prima e dopo, allora, rendeva il tutto più coerente. Anche qui viene messa un’aggiunta, con la quale si specifica che ci si sta riferendo al Creatore di tutte le cose, così da rendere chiaro che “Signore” indicava Javè.

E.“Signore” con riferimento più o meno incerto.

2:47: «Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità».

8:22-39: «Prega il Signore». «Pregate voi il Signore». «Annunziato la Parola del Signore». «Un angelo del Signore». «Lo Spirito del Signore».

13:10-12: «Le rette vie del Signore? Ecco ora la mano del Signore…». «Dottrina del Signore».

13:48-49: «La Parola di Dio […] E la Parola del Signore».

15:40: «Raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore».

16:14-15: «Lidia, che temeva Dio […]: “Se avete giudicato che io sia fedele al Signore”».

Non sono molti questi casi di possibile ambivalenza di significato del termine “Signore”, ma sono comunque significativi. Un argomento plausibile lo ricaviamo dal contesto familiare. Ci sono cose che vengono attribuite a me, altre a mia moglie, ma c’è pure qualcos’altro nel quale l’intreccio con mia moglie è così stretto che viene attribuito a tutti e due, cioè ai “De Angelis”. Fra il Padre e Gesù la relazione e la collaborazione sono strettissime (cfr. per es. Giov 5:19-30), perciò in certi casi diventa opportuno non fare una chiara distinzione. In questo senso, allora, “Signore” assume la funzione di una specie di “cognome”, sia di Gesù che del Padre.

Guardando in particolare i vari casi, c’è da notare che in Atti 2:47 il contesto non aiuta a definire chi è evocato con «Signore», perché prima è stato usato sia in riferimento a Gesù (in 2:36, cfr. par. B) che a Dio Padre (in 2:39, cfr. par. D). Potrebbe allora valere per entrambi.

Nell’opera di aggiungere alla comunità dei credenti, messa in evidenza in 2:47, la collaborazione fra Gesù e il Padre è massima, come messo ben in evidenza in Giovanni 6:44-45, dove Gesù dice: «Ogni uomo che ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me». Se ne deduce che è soprattutto il Padre a operare nel mondo e a indirizzare chi lo ascolta a Gesù, il quale accoglie il credente fra i suoi discepoli, essendo Gesù visto come «Signore» in primo luogo in riferimento alla Chiesa (cfr. per es. Apo 2:8,18).

Il passo 8:22-38 si caratterizza per contenere cinque volte la parola “Signore” con un significato non ben precisato. Si compone di due parti, rappresentate dai vv. 22-25 e 26-38).

Nella prima parte (vv. 22-25) viene raccontato l’ammonimento rivolto da Pietro al mago Simone di Samaria, che si era convertito, ma nel quale rimanevano tracce delle vecchie perversioni. Pietro fra l’altro gli disse: «Il tuo cuore non è retto davanti a Dio. Ravvediti dunque di questa tua malvagità; e prega il Signore affinché, se è possibile, ti perdoni il pensiero del tuo cuore». Simone rispose: «Pregate voi il Signore per me». Dato che Pietro ha prima nominato Dio (vv. 20-21), l’invito a pregare «il Signore» del v. 22 si è portati a pensare che significhi un pregare Dio. Nel v. 25 è scritto che Pietro e Giovanni, «dopo aver reso testimonianza e aver annunziato la parola del Signore, se ne ritornarono a Gerusalemme». Siccome gli apostoli rendevano testimonianza di Gesù, allora questo riferimento al Signore fa pensare a Gesù.

Il secondo episodio (8:26-38) inizia dicendo che «un angelo del Signore parlò a Filippo» (v. 26). Se nel v. 25 «Signore» indicava Gesù, allora quel significato va esteso anche a questo v. 26. Nel concludere il racconto, viene detto che «lo Spirito del Signore rapì Filippo» (v. 38) e anche qui, per continuità, ci si dovrebbe riferire a Gesù. Tanto più che in 16:6-7 Luca parla prima dello Spirito Santo e poi dello Spirito di Gesù, usando le due espressioni come fossero sinonimi.

In 13:10-12 troviamo Paolo che si rivolge a un falso profeta giudeo che lo ostacolava e gli dice: «Non cesserai mai di pervertire le rette vie del Signore? Ecco, ora la mano del Signore è su di te e sarai cieco». C’è da supporre che, in questo scontro fra due giudei, per “Signore” intendessero il Dio di Israele. Il proconsole romano, dopo aver assistito alla scena, «credette, colpito dalla dottrina del Signore». Dato che Paolo era in un contesto di evangelizzazione e il proconsole romano stava evidentemente ascoltando la testimonianza di Gesù, allora l’ultima citazione di “Signore” fa più pensare a Gesù, piuttosto che al Padre, senza vedere (qui come altrove) le due possibilità come alternative.

Anche 13:48-49 è inserito in un contesto di evangelizzazione. C’è scritto che «gli stranieri, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la Parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero. E la Parola del Signore si diffondeva». Essendo le circostanze simili a quelle del passo precedente, sono simili anche le conclusioni che se ne possono trarre.

In 15:40 Paolo è «raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore». Vista la frase in sé, il significato di “Signore” resta incerto. Per ben sei volte, però, Paolo termina una sua Lettera, raccomandando chi la legge alla «grazia del Signore Gesù» (1 e 2Corinzi; Filippesi; 1 e 2Tessalonicesi; Filemone). Molto significativa è la fine della 2Corinzi, dove si evoca tutta la Trinità, con la grazia che viene associata a Gesù: «La grazia del Signore Gesù Messia e l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi».  Dato che il passo di 15:40 è collocato in un contesto di credenti e dato che Luca era un discepolo di Paolo, allora la «grazia del Signore» della quale si parla viene da riferirla più direttamente a Gesù, anziché al Padre. Sempre vedendo le due possibilità come alternative.

Pure 16:14-15 si colloca in un contesto evangelistico. Qui Paolo parla con una donna «che temeva Dio». «Il Signore le aprì il cuore per renderla attenta» e così fu subito battezzata. Poi disse a Paolo: «Se avete giudicato che io sia fedele al Signore, entrate in casa mia». Evitiamo il commento, trattandosi di un caso analogo ai precedenti. Precisiamo solo che il primo “Signore” potrebbe essere più facilmente collegabile a Dio Padre, mentre il secondo più a Gesù.

F.Versetti trinitari.

Facciamo un semplice elenco di versetti degli Atti nei quali, in un unico contesto, si parla di Padre, Figlio e Spirito Santo. Ciò per mostrare come la dottrina qui esposta sia la stessa che troviamo nelle Lettere degli apostoli, anche se la diversità di uditori e di circostanze presenti negli Atti ha costretto Luca a usare una diversità di linguaggi.

2:33: «Gesù dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite».

2:38-39: «Ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Messia […] e voi riceverete il dono dello Spirito Santo […] per quanti il Signore, nostro Dio, ne chiamerà».

4:24-26: «Alzarono concordi la voce a Dio, e dissero: “Signore, tu sei colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che sono in essi; colui che mediante lo Spirito Santo ha detto […]: ‘I re della terra si sono sollevati […] contro il Signore e contro il suo Messia’ ”».

4:29-31: «Adesso, Signore […] si facciano segni e prodigi mediante il nome del tuo santo servitore Gesù […] e tutti furono riempiti dello Spirito Santo».

5:30-32: «Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù […] costituendolo Principe e Salvatore […] Noi siamo testimoni di queste cose e anche lo Spirito Santo, che Dio ha dato».

7:55: «Stefano, pieno di Spirito Santo […] vide la gloria di Dio e Gesù […] alla sua destra».

8:14-16: «Saputo che la Samaria aveva accolto la Parola di Dio, mandarono da loro Pietro e Giovanni […] affinché ricevessero lo Spirito Santo; infatti […] erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù».

10:38: «Gesù di Nazaret, come Dio lo ha unto di Spirito Santo».

11:16-17: «Avevo appena cominciato a parlare quando lo Spirito Santo scese su di loro […] dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato anche a noi che abbiamo creduto nel Signore Gesù Messia».

11:22-24: «Quando Barnaba giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò, e li esortò tutti ad attenersi al Signore con cuore risoluto, perché egli era un uomo buono, pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla molto numerosa fu aggiunta al Signore».

16:6-10: «Lo Spirito Santo vietò loro di annunziare la parola in Asia […] Cercavano di andare in Bitinia, ma lo Spirito di Gesù non lo permise […] Paolo ebbe durante la notte una visione […] cercammo subito di partire per la Macedonia, convinti che Dio ci aveva chiamati là».

20:21-24: «Ho avvertito solennemente Giudei e Greci di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Messia […] Lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni».

28:23-25: «Annunziava loro il regno di Dio rendendo testimonianza […] riguardo a Gesù […] “Ben parlò lo Spirito Santo”».

6.ESALTAZIONE DI UNITÀ E DISTINZIONE NELL’APOCALISSE

Sui rapporti di Gesù con il Padre dopo la sua ascensione al cielo, nella restante parte del Nuovo Testamento ci sono solo dei cenni. Per renderci conto di come si conclude il nostro argomento,  allora, ci soffermeremo su qualche significativo passo in Apocalisse, avvantaggiati dall’averlo affrontato altrove (“La struttura fondamentale dell’Apocalisse”, 2016).

I segni della crocifissione non sono stati cancellati dalla risurrezione (Giov 20:24-27) e nemmeno dall’ascensione in cielo, dove Gesù è descritto come «un Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato» (Apo 5:6). In tutta l’Apocalisse Gesù sarà indicato continuamente come «l’Agnello», anche quando regnerà sulla nuova Gerusalemme, su un trono condiviso con Dio Padre (22:1-5).

La distinzione fra Gesù e il Padre, in Apocalisse, non lascia spazio a equivoci o fantasie varie, ma paradossalmente anche l’unità fra Padre e Figlio è totale. Una bella e efficace sintesi della miscela fra distinzione e unità, si trova quando tutti gli esseri viventi esprimono le seguenti parole di adorazione: «A colui che siede sul trono, e all’Agnello, siano la lode, l’onore, la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli» (5:13).

In conclusione, prima della risurrezione la vera e profonda natura di Gesù era stata  compresa poco e da pochi. Gli Atti degli apostoli fanno vedere che essi hanno adottato lo stesso metodo progressivo che troviamo nei Vangeli, cominciando a presentare Gesù soprattutto come uomo (Atti 2:22-23; 17:31) e adeguando il linguaggio al tipo di ascoltatori. In nessuna predicazione descritta negli Atti viene introdotto esplicitamente il tema della divinità di Gesù. Nelle loro Lettere, invece, gli apostoli si esprimono con più chiarezza non perché avessero in seguito compreso meglio, ma perché il comunicare con altri credenti rendeva possibile usare il linguaggio che era divenuto tipico della Chiesa. Come abbiamo visto attraverso le tre Lettere viste più in dettaglio (di Paolo a Timoteo, la 1Pietro e la 1Giovanni).